PRESEPI MODERNI
Piazza San Pietro: e Gesù dov'è?
Il tradizionale presepe in piazza san Pietro quest’anno si definisce “presepe della misericordia”, più precisamente è dedicato alle tradizionali sette opere di misericordia corporale. Realizzato dall’Abbazia Territoriale di Montevergine, dell’arcidiocesi di Benevento, è stato creato e donato a Francesco dalla bottega partenopea di Cantone e Costabile, due noti artisti di presepi napoletani che già avevano realizzato un altro presepe per piazza san Pietro. La rappresentazione, in stile settecentesco, con statue di altezza media di 2 metri, è posizionata sotto l’albero che arriva dalla Polonia e ha sollevato diversi commenti.
Il presepe, ha dichiarato l’autore Antonio Cantone, «non è un presepe lezioso, è particolare e fa riflettere. Non lascia indifferenti, ci sono delle provocazioni».
Fra le sette opere di misericordia corporale quella che più salta agli occhi, anche perché messa in primo piano, è certamente il “vestire gli ignudi”, dove un bellimbusto in posa plastica e con barba incolta viene rappresentato più o meno come mamma l’ha fatto. Di qua e di là dall’oceano sui social si commenta e, molto spesso, viene definita vagamente omoerotica la statua dell’ignudo da vestire: «Sembra più un ragazzo per il poster della palestra», si legge in un malizioso tweet dalla California, «che il povero Lazzaro alla porta del ricco o un miserabile samaritano malconcio». Altri si chiedono come mai la stella più che cometa, sia cadente, e altri si inquietano un po’ di fronte al “seppellire i morti”.
Comunque per quanto lo sforzo artistico di rappresentare le opere di misericordia corporale sia interessante, ciò che colpisce di questo presepe è che il bambino Gesù, vero protagonista in tutti i sensi, resti un po’ in disparte. Sembra che il bambinello fatichi a guadagnarsi il fuoco prospettico di questa rappresentazione.
Il presepe nacque a Greccio nel 1223 perché san Francesco d’Assisi non riusciva a placare il desiderio di ridestare la meraviglia per Dio che si fa uomo, per ricordare che «oggi è nato per voi un Salvatore, Cristo, Signore».
Nella rappresentazione allestita in piazza san Pietro nel 2017 si concettualizza la misericordia e passa un po’ in secondo piano il fatto dell’Amore che si fa carne e così manifesta in modo impressionante l’amore di Dio per gli uomini. Ve dere ogni persona come destinataria dell’amore di Dio, porta ad amarla se si ama Dio.
Il cervo, l'indù e l'arancino: il folklore che umilia le chiese
Il “ballerino” indù è il prete concelebrante di Budapest, mentre il menu all’altare di Tarvisio prevede cervo in processione. Il banchetto siciliano poi, non proprio un’ultima cena, si svolge invece alla presenza di santa Lucia. Fortuna che la santa martirizzata a Siracusa era cieca. Forse il buon Dio voleva risparmiarle l’affronto di vedere gozzovigliare nella sua chiesa i responsabili del prestigioso Club Med di Cefalù. Ma l’occhio di Facebook invece ha visto e ha provocato così la reazione della diocesi siciliana.
«Noi amiamo perché Egli ci ha amati per primo» (1Gv 4, 19), perciò nel presepe non c’è bisogno di tante provocazioni. E’ sufficiente quella del Bambinello.
Lorenzo Bertocchi
- VERSO IL NATALE
Il presepio secondo san Francesco
Il modello per eccellenza del presepio cristiano è il primo presepio allestito da san Francesco d’Assisi a Greccio nel 1223.
Oggi, stante il rarefarsi della cultura cristiana, sono sempre in meno a conoscere questa fondamentale notizia storica e, tra i pochi che l’hanno presente, pochi conoscono i racconti dettagliati delle Fonti Francescane (FF). Ora da queste FF salta fuori che non solo san Francesco allestì per la prima volta un presepio facendo rivivere le tradizioni antiche e adattandole alla sensibilità dei tempi nuovi, ma soprattutto che san Francesco era preoccupato di ricreare un preciso contesto dal quale scaturirono dei ricchi frutti spirituali.
Oggi, stante il rarefarsi della cultura cristiana, sono sempre in meno a conoscere questa fondamentale notizia storica e, tra i pochi che l’hanno presente, pochi conoscono i racconti dettagliati delle Fonti Francescane (FF). Ora da queste FF salta fuori che non solo san Francesco allestì per la prima volta un presepio facendo rivivere le tradizioni antiche e adattandole alla sensibilità dei tempi nuovi, ma soprattutto che san Francesco era preoccupato di ricreare un preciso contesto dal quale scaturirono dei ricchi frutti spirituali.
Dunque la lettura delle FF, in particolare di Tommaso da Celano, può procurarci diverse piacevoli sorprese ed essere ancora oggi il modello ideale della preparazione del presepio e dei frutti che ne devono conseguire. Certo, non si tratta necessariamente di ripetere gli avvenimenti di allora, ma di assimilarne lo spirito.
Esporremo il racconto in tre fasi diverse e successive, che sembrano ben segnate dal testo.
Esporremo il racconto in tre fasi diverse e successive, che sembrano ben segnate dal testo.
Prima fase: il “vedere” e le persone vive.
Lasciamo parlare il racconto: «C’era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne. Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse: “Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello”. Appena l’ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l’occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo» (Tommaso da Celano, Vita prima di san Francesco d’Assisi 1,30,84 in FF 468).
Lasciamo parlare il racconto: «C’era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne. Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse: “Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello”. Appena l’ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l’occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo» (Tommaso da Celano, Vita prima di san Francesco d’Assisi 1,30,84 in FF 468).
In seguito il presepio si è concretizzato nelle statue e tali sono i nostri presepi, anche se non del tutto perché, benché rari, si danno ancora presepi viventi (ad analogia delle drammatizzazioni della Passione nella settimana santa). Per san Francesco comunque il presepio era fatto di persone e credenti, come dal testo - il credente Giovanni - e come dal testo seguente che parlerà di un accorrere di gente. Anche oggi normalmente dovrebbero essere i credenti ad allestire il presepio e proprio a partire dalla loro fede.
Non solo, san Francesco voleva “vedere” il fatto storico, la scena evangelica, la condizione umana e povera della nascita del Redentore. Dunque due preoccupazioni o ispirazioni: l’anelito visivo, ma anche la “correttezza visiva” ispirata ai Vangeli. La “correttezza visiva” è sempre stata sostanzialmente conservata nella tradizione, mentre oggi comincia a sgretolarsi in quanto il presepio a volte diventa come... i carri del carnevale di Viareggio dove si mette di tutto purché sia attuale: personaggi politici o di riferimento cristiano di oggi, personaggi fantastici, personaggi ideologici sino ai presepi omosessuali. In questo procedimento riaffiora la tendenza a vedere noi più che a vedere Gesù Cristo e in fondo è lo stesso procedimento degli “abusi” in liturgia che si replicano con analoghi “abusi” nel presepio. Ma il messaggio del presepio di san Francesco va in altra direzione: vedere e vedere correttamente.
Seconda fase: non solo rappresentazione storica ed emotiva, ma celebrazione e conversione.
In realtà la rappresentazione fu una celebrazione dove regolarmente e anzi con particolare intensità si svolse il ministero della predicazione che diede il senso all’avvenimento, evitando che predetto senso si cogliesse unicamente guidati dall’emotività frutto di una Betlemme scenicamente ricostruita.
In realtà la rappresentazione fu una celebrazione dove regolarmente e anzi con particolare intensità si svolse il ministero della predicazione che diede il senso all’avvenimento, evitando che predetto senso si cogliesse unicamente guidati dall’emotività frutto di una Betlemme scenicamente ricostruita.
Lasciamo parlare il racconto: «E giunge il giorno della letizia, il tempo dell’esultanza! Per l’occasione sono qui convocati molto frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s’accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone sopra il fieno e si introducono il bue e l’asinello. In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l’umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme. (...) Il Santo è lì estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione e di gaudio ineffabili. Poi il sacerdote celebra solennemente l’Eucaristia sul presepio». Qui la versione di san Bonaventura precisa che san Francesco, stante la prassi restrittiva circa la celebrazione fuori degli edifici cultuali, «perché ciò non venisse ascritto a desiderio di novità, chiese ed ottenne prima il permesso del sommo Pontefice» (Leggenda Maggiore 10,7 in FF 1186).
Riprendiamo il racconto di Tommaso da Celano. Francesco assapora una consolazione mai gustata prima e nel frattempo «si è rivestito dei paramenti diaconali, poiché era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce tutti in desideri del cielo. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. Spesso, quando voleva nominare Cristo Gesù, infervorato di amore celeste lo chiamava il Bambino di Betlemme, e quel nome Betlemme lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come il belato di pecora. E ogni volta che diceva Bambino di Betlemme o Gesù, passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole» (Ivi, 1,30,85-6 in FF 469-470).
Non solo. Un successivo passaggio porta alla conversione di molti presenti quando a un uomo virtuoso - forse lo stesso Giovanni - sembra che Francesco scuota il Bambino da un sonno profondo e questo era immagine di ciò che stava avvenendo «perché, per i meriti del Santo, il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori di molti, che l’avevano dimenticato, e il ricordo di lui rimaneva impresso profondamente nella loro memoria. Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia» (Ivi, 1,30,86 in FF 470).
Dunque il presepio si concretizza nel sacramento dell’Eucaristia e nella predicazione di san Francesco, che in tal modo manifesta pubblicamente e intensamente il suo amore e la sua fede nel Redentore. E da questo benefico contagio nascono delle conversioni, dei ritorni alla vita cristiana. Anche oggi il presepio - nel suo allestimento e nel suo definitivo presentarsi - richiede in coloro che lo preparano un collegamento alla Parola e all’Eucaristia e alla conversione. Ma parla anche di queste cose a coloro che lo guardano, perché, chi è fuori dal fatto cristiano - o perché non lo vive o perché non è cristiano - non può non domandarsi come mai certuni allestiscano una simile scena e chi è il protagonista. E siccome nulla avviene per caso, dalla non fede o poca fede di certuni si spiega la proibizione a fare il presepio in luoghi pubblici: perché non si vuole manifestare la propria fede troppo debole o scomparsa, perché si vuole promuovere una società senza Gesù Cristo appoggiati a un “rispetto” per altri ai quali il presepio non ha mai fatto violenza, ma ai quali ha posto delle domande, ai quali chiede fede, conversione, ascolto della Parola, frequenza ai Sacramenti. Proprio come il presepio di san Francesco.
Terza fase: da ciò che passa a ciò che resta, dal presepio a una chiesa, da una sola notte alla normalità sacramentale.
La “notte del presepio” di san Francesco doveva concludersi. Come i nostri presepi, che ad un certo punto vanno disallestiti. Ma la conclusione di Tommaso da Celano ci guida alla definitiva evoluzione del presepio di Francesco verso la stabilità della vita cristiana:
La “notte del presepio” di san Francesco doveva concludersi. Come i nostri presepi, che ad un certo punto vanno disallestiti. Ma la conclusione di Tommaso da Celano ci guida alla definitiva evoluzione del presepio di Francesco verso la stabilità della vita cristiana:
«Oggi (1228) quel luogo è stato consacrato al Signore e sopra il presepio è stato costruito un altare e dedicata una chiesa ad onore di san Francesco, affinché là dove un tempo gli animali hanno mangiato il fieno, ora gli uomini possano mangiare, come nutrimento dell’anima e santificazione del corpo, la carne dell’Agnello immacolato e incontaminato, Gesù Cristo nostro Signore, che con amore infinito ha donato se stesso per noi» (Ivi, 1,30,87 in FF 471).
A fronte dell’odierna esperienza di chiese vuote e utilizzate per usi profani - perché mancano i fedeli - il presepio di san Francesco fiorì addirittura in una nuova chiesa per prolungare l’incontro sacramentale con Gesù Cristo. È il messaggio finale per il nostro presepio, destinato ad aumentare la fede di chi l’ha fatto e di chi lo guarda, ai quali il presepio chiede, se non proprio la costruzione di una nuova chiesa, per lo meno di rifrequentare quelle quasi vuote.
San Francesco vegli sui nostri presepi, ci preservi dagli abusi di collocarvi dei personaggi e delle scenografie strane, converta il cuore di certi presidi e amministratori perché permettano al presepio di esserci e di porre delle domande; ci faccia transitare dal presepio di statue (o simili) all’incontro sacramentale con Gesù Cristo. E sarà veramente un Buon Natale!
Riccardo Barile
(2. Fine)
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Il cervo, l'indù e l'arancino: il folklore che umilia le chiese
Il “ballerino” indù è il prete concelebrante di Budapest, mentre il menu all’altare di Tarvisio prevede cervo in processione. Il banchetto siciliano poi, non proprio un’ultima cena, si svolge invece alla presenza di santa Lucia. Fortuna che la santa martirizzata a Siracusa era cieca. Forse il buon Dio voleva risparmiarle l’affronto di vedere gozzovigliare nella sua chiesa i responsabili del prestigioso Club Med di Cefalù. Ma l’occhio di Facebook invece ha visto e ha provocato così la reazione della diocesi siciliana.
La campagna #salviamolechiese registra nuovi episodi degli “orrori”. Profanazioni di chiese a rimpinguare un catalogo come abbiamo visto ormai assortito al meglio, ma stavolta, e finalmente, a riparare i sacrilegi sono intervenuti vescovi solerti che hanno così dato il buon esempio di come si dovrebbe fare quando, per un motivo o per l’altro, qualcuno si mette in testa di utilizzare le chiese per scopi non legati al culto.
Due episodi a lieto fine almeno ci sono, lontani nello spazio, uno a Budapest in Ungheria e uno a Cefalù, ma non negli esiti.
LA SANTA E L'EDONISTA
Il primo si è svolto il 28 novembre nella chiesetta di Santa Lucia. Piccolo dettaglio: il tempio si trova all’interno del Club Med di Cefalù che nel dare il benvenuto ai visitatori sul suo sito dice così: “Club Med Cefalù è un luogo privilegiato per edonisti in cerca di un nido lussuoso e di un'esperienza autentica e raffinata dello stile di vita siciliano”. Con queste premesse edonistiche era inevitabile che ai responsabili del resort venisse in mente di farla davvero strana. Che cosa? La cena di gala che si è svolta nella struttura alla presenza di Henri Giscard d'Estaing, figlio dell’ex presidente francese, che è venuto fino in Sicilia per controllare lo stato di avanzamento del cantiere del nuovo resort in vista della prossima estate quando riaprirà più bello e lussuoso che pria.
La cena luculliana in onore del prestigioso ospite ha visto l’ingresso nel tempio di un catering, che ha attovagliato i commensali i quali hanno così potuto cenare sotto la statua di Santa Lucia, che da queste parti, come del resto in tutta la Sicilia è particolarmente venerata, soprattutto nei giorni che precedono la sua festa liturgica, ieri appunto.
Sui social così sono finite le foto dell’evento di gala ed è iniziata la protesta sacrosanta dei fedeli cefaludesi che proprio ieri avrebbero dovuto recarsi all’interno dell’edificio settecentesco per la messa votiva. Invece si sono trovati gli avanzi degli arancini al ragù, che ha costretto il titolare della Diocesi a traslocare le celebrazioni per la santa in altre chiese della città. Perché il danno andava riparato. Finalmente un vescovo che ragiona come Dio comanda. La diocesi infatti era all’oscuro di tutto perché l’edificio è di proprietà privata, ma è sottoposto secondo le leggi canoniche alla sua giurisdizione per quanto riguarda l’officio del culto. E quindi il vescovo può a ben diritto reclamare se la chiesa viene utilizzata per scopi profani. Come questo che ha visto protagonisti i vertici del resort inaccessibile, per via di tasca, ai celafudesi, che non sono edonisti, ma devoti.
Così il pastore ha dovuto prendere carta e penna, denunciare il fatto, ma soprattutto correre ai ripari: “Si rende noto alle comunità parrocchiali di Cefalù e ai devoti di santa Lucia che, a causa dell’uso improprio che ha visto la chiesa dedicata alla Santa vergine e Martire (in contrada Santa Lucia), adibiti ad usi profani non consoni alla santità del luogo, per quest'anno 2017, le celebrazioni in onore di santa Lucia si svolgeranno nelle singole parrocchie.
La chiesa di santa Lucia che si trova all'interno del Club Mediterranee è di proprietà privata pertanto la curia Diocesana non può vantarne nessun diritto, ma può proibire l’esercizio del culto in seguito a fatti spiacevoli non adeguati al decoro della chiesa”.
I parroci che gravitano sotto la perla normanna, hanno persino incontrato i proprietari del tempio. Questi si sono detti all’oscuro di tutto e oltre ad essere scandalizzati hanno promesso al vescovo Vincenzo Manzella che si impegneranno nel vigilare affinché in futuro la chiesa non venga fatta oggetto di usi così sacrileghi. Con gli ospiti che hanno piazzato i lussuosi tukul proprio a due passi dall’edificio, sarà una bella sfida.
Quel che è significativo notare non è soltanto l’intervento della diocesi, ma il fatto che il vescovo abbia deciso di non utilizzare la chiesa per la solennità di Santa Lucia perché il tempio era stato profanato e secondo le leggi canoniche prima di ricelebrarvi il culto bisogna fare un atto di riparazione. Una cosa che il circuito mediatico che si è fiondato sulla notizia non può capire. Infatti, l’accento è stato posto, nei titoli e negli articoli, sulle polemiche e non sul fatto sacrilego in sé.
GESUITIC KARMA
Paese che vai, vescovo che trovi. In Ungheria, precisamente a Budapest, un sacerdote gesuita indiano durante una concelebrazione, ha voluto mostrare ai fedeli e ai confratelli, l’annuncio dell’Angelo a Maria. Poteva bastare un quadro del Beato Angelico. Invece no. Ha pensato di vestirsi di tutto punto con il costume tipico indiano e ha eseguito una danza sull'altare. Ovviamente che fosse durante il momento della messa lo si può constatare dai paramenti dei sacerdoti, escluso il gesuita. Questi si chiama Padre George e ha danzato il 17 settembre scorso nella chiesa del Sacro cuore di Budapest, ma non è nuovo a queste performance paraliturgiche. Il tutto è documentato da questo video su Youtube, che un lettore solerte ci segnala definendolo “agghiacciante”. Vedere per credere. Musica arpeggiante, petto nudo e sonagli per la performance sotto lo sguardo inebetito dei poveri confratelli. Mancava solo il serpente che sbucava dal cesto.
Per fortuna, per dirla col Manzoni, c’è ancora timor di Dio a Budapest. A partire dal cardinale Arcivescovo Peter Erdo tutti hanno disapprovato questa scelta, tanto che il provinciale gesuita ha ufficialmente ammesso l'errore e chiesto scusa. E questo rassicura, soprattutto nel pensare che a volte basta davvero poco, un vescovo che senza fare la voce grossa, ma insegnando la legge di Dio, ristabilisce quello che prima di tutto è il diritto di Dio ad essere adorato in un modo consono e non narcisisticamente ed emozionalmente ispirato.
Quello delle emozioni e dunque degli interessi privati sembra essere ormai il principale criterio con cui okkupare le chiese per le proprie rivendicazioni.
T'ADORIAM CERVO IN SALMI'
Nulla contro la caccia, né con il suo protettore Sant’Uberto, ma che la sua festa liturgica debba diventare il pretesto per ostentare ai piedi dell’altare un cervo imbalsamato, o appena impallinato non importa, è davvero sconcertante. E ancor più sconcertante è che a scandalizzarsi siano stati non i fedeli, ma gli animalisti che hanno accusato i cacciatori presenti in chiesa di ostentare il macabro.
E’ successo nella chiesa di Tarvisio, comune friulano al confine tra Slovenia e Austria. “Il rituale – si legge -, infatti, doveva omaggiare Sant'Uberto, il patrono dei cacciatori, ma è stato anche l'occasione per festeggiare la riapertura alla caccia della riserva Melzi. Si tratta di un ex territorio protetto che la regione Friuli-Venezia Giulia ha deciso di concedere di nuovo ai cacciatori. La celebrazione, legata alla tradizione mitteleuropea, ha coinvolto anche suonatori di corno e la banda musicale degli alpini”. Sarebbe interessante approfondire il tema della messa mitteleuropea, ad esempio chiedendosi che cosa sia, però è significativo notare che la chiesa sembra diventata ormai il palcoscenico per qualsivoglia rivendicazione sociale e hobbistica. A quando la messa per il bricolage e l’elevazione del Black & Decker?
L'AMBIZIONE DELL'INCULTURAZIONE
Giova tornare all’ultimo ammonimento del cardinal Robert Sarah, prefetto del Culto divino, che non più tardi del settembre scorso denunciava il fallimento della pretesa dell’inculturazione all’interno delle messe.
“Molte liturgie sono davvero nient’altro che un teatro, un divertimento mondano, con tanti discorsi e gridi, strani al mistero che si celebra, tanti rumori, danze e movimenti corporali che assomigliano alle nostre manifestazioni folkloriche. Invece, la liturgia dovrebbe essere il momento di un incontro personale e di intimità con Dio. L’Africa soprattutto, e probabilmente anche l’Asia e l’America Latina, dovrebbero riflettere, con l’aiuto dello Spirito Santo, e con prudenza e volontà di portare i fedeli cristiani alla santità, sulla loro ambizione umana di inculturare la liturgia, in modo da evitare la superficialità, il folklore e l’autocelebrazione culturale. Ogni celebrazione liturgica deve avere come centro Dio, e Dio solo, e la nostra santificazione”.
Che poi, a pensarci bene, con tutto quel popò di cervo in salmì, che nessuno si sia preoccupato di scodellare sull’altare la polenta fumante, ci sembra per lo meno un grande spreco.
La chiesa di santa Lucia che si trova all'interno del Club Mediterranee è di proprietà privata pertanto la curia Diocesana non può vantarne nessun diritto, ma può proibire l’esercizio del culto in seguito a fatti spiacevoli non adeguati al decoro della chiesa”.
I parroci che gravitano sotto la perla normanna, hanno persino incontrato i proprietari del tempio. Questi si sono detti all’oscuro di tutto e oltre ad essere scandalizzati hanno promesso al vescovo Vincenzo Manzella che si impegneranno nel vigilare affinché in futuro la chiesa non venga fatta oggetto di usi così sacrileghi. Con gli ospiti che hanno piazzato i lussuosi tukul proprio a due passi dall’edificio, sarà una bella sfida.
Quel che è significativo notare non è soltanto l’intervento della diocesi, ma il fatto che il vescovo abbia deciso di non utilizzare la chiesa per la solennità di Santa Lucia perché il tempio era stato profanato e secondo le leggi canoniche prima di ricelebrarvi il culto bisogna fare un atto di riparazione. Una cosa che il circuito mediatico che si è fiondato sulla notizia non può capire. Infatti, l’accento è stato posto, nei titoli e negli articoli, sulle polemiche e non sul fatto sacrilego in sé.
GESUITIC KARMA
Paese che vai, vescovo che trovi. In Ungheria, precisamente a Budapest, un sacerdote gesuita indiano durante una concelebrazione, ha voluto mostrare ai fedeli e ai confratelli, l’annuncio dell’Angelo a Maria. Poteva bastare un quadro del Beato Angelico. Invece no. Ha pensato di vestirsi di tutto punto con il costume tipico indiano e ha eseguito una danza sull'altare. Ovviamente che fosse durante il momento della messa lo si può constatare dai paramenti dei sacerdoti, escluso il gesuita. Questi si chiama Padre George e ha danzato il 17 settembre scorso nella chiesa del Sacro cuore di Budapest, ma non è nuovo a queste performance paraliturgiche. Il tutto è documentato da questo video su Youtube, che un lettore solerte ci segnala definendolo “agghiacciante”. Vedere per credere. Musica arpeggiante, petto nudo e sonagli per la performance sotto lo sguardo inebetito dei poveri confratelli. Mancava solo il serpente che sbucava dal cesto.
Per fortuna, per dirla col Manzoni, c’è ancora timor di Dio a Budapest. A partire dal cardinale Arcivescovo Peter Erdo tutti hanno disapprovato questa scelta, tanto che il provinciale gesuita ha ufficialmente ammesso l'errore e chiesto scusa. E questo rassicura, soprattutto nel pensare che a volte basta davvero poco, un vescovo che senza fare la voce grossa, ma insegnando la legge di Dio, ristabilisce quello che prima di tutto è il diritto di Dio ad essere adorato in un modo consono e non narcisisticamente ed emozionalmente ispirato.
Quello delle emozioni e dunque degli interessi privati sembra essere ormai il principale criterio con cui okkupare le chiese per le proprie rivendicazioni.
T'ADORIAM CERVO IN SALMI'
E’ successo nella chiesa di Tarvisio, comune friulano al confine tra Slovenia e Austria. “Il rituale – si legge -, infatti, doveva omaggiare Sant'Uberto, il patrono dei cacciatori, ma è stato anche l'occasione per festeggiare la riapertura alla caccia della riserva Melzi. Si tratta di un ex territorio protetto che la regione Friuli-Venezia Giulia ha deciso di concedere di nuovo ai cacciatori. La celebrazione, legata alla tradizione mitteleuropea, ha coinvolto anche suonatori di corno e la banda musicale degli alpini”. Sarebbe interessante approfondire il tema della messa mitteleuropea, ad esempio chiedendosi che cosa sia, però è significativo notare che la chiesa sembra diventata ormai il palcoscenico per qualsivoglia rivendicazione sociale e hobbistica. A quando la messa per il bricolage e l’elevazione del Black & Decker?
L'AMBIZIONE DELL'INCULTURAZIONE
Giova tornare all’ultimo ammonimento del cardinal Robert Sarah, prefetto del Culto divino, che non più tardi del settembre scorso denunciava il fallimento della pretesa dell’inculturazione all’interno delle messe.
“Molte liturgie sono davvero nient’altro che un teatro, un divertimento mondano, con tanti discorsi e gridi, strani al mistero che si celebra, tanti rumori, danze e movimenti corporali che assomigliano alle nostre manifestazioni folkloriche. Invece, la liturgia dovrebbe essere il momento di un incontro personale e di intimità con Dio. L’Africa soprattutto, e probabilmente anche l’Asia e l’America Latina, dovrebbero riflettere, con l’aiuto dello Spirito Santo, e con prudenza e volontà di portare i fedeli cristiani alla santità, sulla loro ambizione umana di inculturare la liturgia, in modo da evitare la superficialità, il folklore e l’autocelebrazione culturale. Ogni celebrazione liturgica deve avere come centro Dio, e Dio solo, e la nostra santificazione”.
Che poi, a pensarci bene, con tutto quel popò di cervo in salmì, che nessuno si sia preoccupato di scodellare sull’altare la polenta fumante, ci sembra per lo meno un grande spreco.
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