14-12-2017: l'Italia sancisce il diritto di farsi uccidere
Da oggi il catalogo delle leggi intrinsecamente ingiuste
varate dal nostro Parlamento si è arricchita di una nuova norma, quella
sull’eutanasia, impudicamente definita “Norme in materia di consenso informato
e di disposizioni anticipate di trattamento”.
Ricordiamo in sintesi quali sono gli aspetti più letali di
questa legge (per un’analisi più dettagliata ci permettiamo di rinviare al
libro “Appuntamento con la morte”. Quali sono i trattamenti che si possono
rifiutare? Tutti, sia le terapie, anche salvavita, che idratazione e
nutrizione, le quali non sono terapie e ad oggi, di per se stesse, non
potrebbero essere fatte oggetto di rifiuto. La ventilazione non viene nominata,
ma implicitamente farà parte del novero di trattamenti che si potranno rifiutare.
Il paziente potrà rifiutare non solo l’attivazione di terapie anche salvavita
(oggi già consentito) e presidi vitali quali idratazione e alimentazione, ma
anche l’interruzione di terapie e presidi vitali già in essere (ad oggi
vietati).
Ergo non solo si legittima l’eutanasia omissiva – io medico
voglio lasciarti morire non dandoti le terapie utili a vivere (legittimazione
già consentita oggi) – ma anche l’eutanasia commissiva, ossia attiva: io
medico, ad esempio, ti stacco la Peg che ti alimentava ed idratava e così tu
potrai morire. Non solo quindi il paziente potrà sottrarsi alle cure non
sottoponendosi ad esse e così chiudere gli occhi per sempre, ma potrà chiedere
al medico che lo aiuti a morire. Nel testo di legge è esclusa solo una doppia
modalità per dare la morte: la cosiddetta iniezione letale e la preparazione di
un preparato altrettanto letale da consegnare al paziente il quale poi lo
assumerà da sé (aiuto al suicidio). Se si fossero inserite queste due metodiche
anche il più stupido degli stupidi avrebbe capito che questa non è una legge
contro l’accanimento terapeutico – così come vogliono vendercela – bensì una
legge a favore dell’eutanasia. Passiamo ad altre domande.
Quali sono le circostanze e quali i motivi che possono
legittimare la richiesta eutanasica?
Il Testo unico non indica nessuna condizione particolare né
nessuna motivazione specifica, perciò tutte le circostanze e tutte le
motivazioni addotte sono valide per chiedere di morire. In merito alle
condizioni, non solo i pazienti terminali, ma anche quelli che possono
guarire, i disabili, i sani - compresi
le persone anziane - possono accedere all’eutanasia di Stato. Chiunque in
qualsiasi condizione. L’eutanasia incondizionata esige anche che il consenso
valido per morire non sia solo quello attuale, ma anche quello contenuto nelle
Dat. Efficace perciò anche il consenso datato, inattuale che potrebbe
contrastare con la volontà del paziente incapace di esprimersi. Relativamente
alle motivazioni, ogni ragione è buona per morire e non c’è nemmeno l’obbligo
di esporla al medico, né di verificarla, né tanto meno di indicarla nella
cartella clinica. Perciò si può chiedere di morire non solo perché si soffre
terribilmente, ma anche perché si è depressi, infelici per una delusione
amorosa o perché un affare è andato male, stanchi semplicemente di vivere
perché anziani, etc. Basterà, all’atto pratico, sedare la persona e farla
morire di sete e di fame.
La legge italiana sull’eutanasia diventa così la norma più
permissiva che esista a livello mondiale perché almeno in Belgio, Olanda e
Canada, i paesi forse più liberal su questo tema, qualche paletto lo avevano
pur messo in merito all’accesso alla “dolce morte”.
Altra domanda: il medico può eccepire obiezione di
coscienza? No. Quindi se il paziente chiede di morire il medico dovrà obbedire,
ossia sarà costretto a compiere un assassinio. Va da sé che l’art. 579 cp che
punisce l’omicidio del consenziente non potrà più essere applicato nelle corsie
di ospedale. Dunque la richiesta di morte dovrà essere sempre soddisfatta dalle
strutture ospedaliere, comprese quelle cattoliche.
Ancora un quesito: chi decide per minori e incapaci? Ad oggi
il minore e l’incapace devono essere sempre curati dato che il rifiuto ad
iniziare un trattamento può essere prestato solo da persona maggiorenne e
capace di intendere e volere. La legge approvata oggi cambia completamente il
quadro: genitori e rappresentati legali avranno potere di vita e di morte su
figli e incapaci. E così avremo un lungo elenco di possibili condannati a morte:
pazienti in coma e affetti da sindrome locked-in o dal disturbi di coscienza,
disabili mentali, persone affette da patologie neurodegenerative (malati di
Alzheimer ad esempio), anziani con demenza senile, neonati prematuri o non
prematuri con sopravvivenza incerta o certa ma affetti da patologie più o meno
gravi, bambini e ragazzi sia malati fisicamente che solo depressi, etc. e
persino adulti capaci di intendere e volere che però, in base alla facoltà
concessa da questa legge, hanno preferito delegare il proprio consenso a terzi.
Vero è che la legge prevede che il consenso da parte dei rappresentati legali
deve essere prestato “avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e
della vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità”. Ma se, ad esempio,
continuare a vivere un’esistenza da disabile è considerato dal rappresentante
legale e dal medico contrario alla dignità dell’incapace sarà legittimo
staccare la spina. I casi Eluana e Charlie da eccezionali e illegali
diventeranno (forse) normale prassi assolutamente legale.
Infine un’ultima domanda: le Disposizioni anticipate di
trattamento, che scattano quando il paziente non è più cosciente, sono uno
strumento a tutela della sua libertà? No, perché sono inaffidabili. In primo
luogo perché le Dat congelano la volontà nel passato e non riescono ad
attualizzarla: ergo si potrà uccidere un paziente che, per ipotesi, se fosse
vigile potrebbe aver cambiato idea e deciso, in difformità con quanto scritto
nelle Dat, di continuare a vivere. Il problema delle Dat sta nel fatto che si
decide ora per allora non potendo prevedere quali saranno le patologie a cui si
andrà incontro e quindi anche quali i trattamenti terapeutici adatti. Quindi si
esprime un consenso disinformato e non informato. In secondo luogo una cosa è
decidere della propria salute da sano e un’altra quando si è sofferenti: sono i
sani che chiedono l’eutanasia, non i moribondi che spesso si aggrappano alla
vita con tutte le loro forze. In terzo luogo alcuni studi (cfr. R. PUCCETTI -
M.C. DEL POGGETTO - V. COSTIGLIOLA - M.L. DI PIETRO, Dichiarazioni anticipate
di trattamento (DAT): revisione della letteratura, in Medicina e Morale, a.
LXI, n. 3) ci dicono che molti cambiano idea sulle volontà espresse nelle Dat,
ma pochi si accorgono di aver cambiato idea e quindi non si sente l’esigenza di
rivedere le proprie volontà scritte.
In quarto luogo c’è il problema dell’interpretazione del
contenuto delle Dat spesso impreciso e vago, soprattutto perché il dichiarante
non di rado padroneggia male i termini medici. La presenza del fiduciario, dati
alla mano che ci provengono dall’esperienza di altri Paesi, non migliora il
quadro ed anzi lo peggiora. Tra l’altro la legge oggi varata non prevede
l’obbligo della presenza del medico allorchè si redigano le Dat. In quinto
luogo la nuova normativa non prevede dei criteri per accertare che il
dichiarante, al momento della redazione, fosse lucido, consapevole, non sotto
minaccia, non sotto l’effetto di droghe, etc. In sesto luogo le Dat
acquisiscono efficacia allorchè il paziente versi in una situazione di
“incapacità di autodeterminarsi”, espressione assai generica - non equiparabile di certo all’espressione
giuridica “incapacità di intendere e volere” - che potrebbe andare dal
momentaneo annebbiamento delle facoltà mentali, allo stato confusionario, al
coma, alla mancanza di lucidità e consapevolezza proprie ad esempio dei malati
di Alzheimer. Chi poi dovrà certificare questa incapacità? Non è dato di
saperlo. Infine il medico deve dare applicazione alle volontà indicate nelle
Dat e non può obiettare. Però in accordo
con il fiduciario, può disattenderle solo in due occasioni. In primo luogo se
il quadro clinico è mutato rispetto a quanto preventivato nelle stesse Dat. Se
il quadro clinico non è mutato il medico ha l’obbligo, se così previsto, di
dare la morte al paziente. Inoltre il medico può disattenderle, ma non c’è il
dovere di disattenderle. Ergo anche nel caso in cui il quadro clinico fosse
mutato e il medico si attenesse alle Dat non incorrerebbe in nessun guaio
giudiziario. Altra ipotesi in cui è lecita, ma non doverosa, la non
applicazione delle Dat: l’esistenza di terapie, non prevedibili nel momento in
cui furono redatte le Dat, che possono migliorare le condizioni di vita.
Facciamo il caso di Tizio, che aveva redatto le Dat, finito in coma a seguito
di incidente stradale. Tizio con le dovute e innovative terapie può salvarsi,
addirittura svegliarsi dal coma, ma certamente riporterebbe danni cerebrali che
ad esempio lo costringerebbero sulla carrozzina. Le terapie quindi sarebbero
salvavita, ma restituirebbero Tizio a suoi cari non certo in condizioni
migliori rispetto a prima dell’incidente. Di conseguenza il medico è obbligato
ad applicare le Dat, dunque è obbligato a commettere un omicidio.
In buona sostanza la ratio della nuova disciplina normativa
è composta dai seguenti punti. Primo: si introduce un vero e proprio diritto a
morire, declinato come diritto di togliersi la vita lasciandosi morire e
diritto di farsi uccidere. Secondo: si introduce un diritto ad uccidere sia in
capo a genitori e altri rappresentati legali sia in capo al medico, dato che
tale potere di uccidere viene legittimato da una norma giuridica. Terzo: si
introduce il dovere di uccidere in capo al medico dietro richiesta del diretto interessato
anche quando non è più vigile, ma che ha redatto le Dat al fine di voler
morire, e dei genitori, tutori etc.
Tommaso Scandroglio
I 5 anni terribili di un'Italia verso un non domani
Un Parlamento incostituzionale in fase terminale e sotto
accanimento terapeutico (in cauda venenum) ha prodotto una legge mortifera
sull’eutanasia pensando con ciò di tirare a campare. Atto finale di una
legislatura disgustosa e di un governo nato moribondo in forma di fotocopia.
Questo atto legislativo in extremis conclude un quinquennio terribile, tanto
più terribile quanto condotto da governi sedicenti tecnici o di emergenza o di
transizione o del presidente.
Sono stati i governi di Monti, Letta, Renzi e Gentiloni,
governi dei competenti e dei moderati, a darci le leggi più estremistiche della
vita repubblicana che alla fine del 2011, quando Berlusconi fu costretto a
gettare la spugna, non erano nemmeno minimamente all’orizzonte. Non sono stati
i rivoluzionari con la bandiera rossa ma i rassicuranti funzionari in doppio
petto. I governi post-ideologici ci hanno dato il peggior frutto che le
ideologie politiche ci possano dare: la decisione a maggioranza di cosa sia
uomo e donna, di cosa sia famiglia, di cosa voglia dire procreare e, ora, di
cosa sia la vita e cosa la morte.
Avesse il governo posto almeno la fiducia, la posizione
delle coscienze sarebbe rimasta nascosta sotto il dovere di scuderia. Ma il
voto “in coscienza” ha dimostrato che non solo la prassi politica bensì anche
la coscienza politica di molti parlamentari è profondamente corrotta. Avesse il
governo almeno posto la fiducia, la legge non avrebbe avuto i voti dei 5
Stelle, che fondano la loro demolizione della morale naturale proprio sul richiamo
alla morale, la demoliscono senza avere il progetto di farlo. Il che è il
massimo del tranello politico delle ideologie post-ideologiche.
In questi cinque torbidi anni di legislatura, con governi
pilotati a tavolino dall’alto e sorretti da frange mutevoli dell’opposizione,
l’Italia non ha diminuito il debito pubblico, si è riusciti a fatica a spostare
l’8 per cento delle macerie del terremoto, si è esultato per un aumento del pil
dell’1 per cento quando questa misura è il possibile errore statistico fisiologico
in previsioni di questo genere, si è voluto cambiare la Costituzione tramite un
parlamento incostituzionale e si è stati clamorosamente bocciati, si sono
finanziate con denaro pubblico le associazioni di compravendita del sesso
omosex e la Sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio che ne era
politicamente responsabile è ancora al suo posto, si è aperto ad una
irresponsabile politica migratoria subendo il ricatto di ONG conniventi con la
criminalità degli scafisti, si è approvata una legge, detta maldestramente
della buona scuola, che ha intasato le aule-insegnanti di docenti inutilizzati,
sono state salvate banche che prestavano ad amici più soldi di quelli che
avevano senza spiegare i rapporti politici intessuti con quelle banche stesse.
Questo bilancio pessimo comunque è pressoché nulla rispetto
alla legge Cirinnà che riconosce la unioni civili omosessuali, l’ondata
istituzionale di educazione omosessualista e genderista nelle scuole pubbliche,
il divorzio via sms ed ora l’eutanasia. E’ una politica necrofila e in giro si
sente una gran puzza. L’Italia va verso un non-domani. Governi sostanzialmente
di sinistra durati cinque anni si sono distinti non per le politiche del lavoro
o di lotta alla povertà, ma solo per la politica neoborghese dei “nuovi
diritti” e ne hanno fatto la propria bandiera col teschio e le quattro ossa
attorno.
Le gerarchie della Chiesa italiana hanno lasciato fare,
hanno dialogato, hanno sostenuto, hanno confortato, hanno invitato i
rappresentanti del governo a parlare nelle istituzioni ecclesiali, si sono
trovate con loro a cena, hanno pattuito, hanno premuto con grande
determinazione per avere da questo governo amico la legge sullo jus soli, il
quotidiano Avvenire ha dedicato uno spazio mille volte maggiore al tema immigrati
che a quello della famiglia o dell’eutanasia, sono andati in tv ma per parlare
dei centri di accoglienza o del clima, hanno intimidito chi era sceso in
piazza, si sono dissociati da comportamenti sbagliati nel metodo perché non
dialoganti, non hanno pubblicato nemmeno uno straccio di documento ufficiale e
collegiale, non hanno chiamato a raccolta, non hanno gridato al pericolo, non
si sono messi alla guida di nulla. Non ricordatemi che nel Catechismo c’è
scritto quello che c’è scritto e che talvolta il Papa o il cardinale Bassetti
hanno detto una parola … questo lo so.
Ma la leaderschip dei pastori non c’è stata, la chiarezza
degli educatori nemmeno, e men che meno la forza dei profeti. Non c’è stato
appello alle coscienze né mobilitazione di popolo. Nessuna supercopertina su
Avvenire, nessun presidio davanti al Parlamento. Abbiamo l’eutanasia e non ce
ne siamo nemmeno accorti. Abbiamo l’eutanasia e chi doveva tenerci svegli si è
addormentato. E ci consoleremo presto perché tanto alla prossima omelia ci ricorderanno
che Dio ci ama così come siamo.
In questi cinque anni la Chiesa italiana sembra aver messo
da parte la legge morale naturale. Come se Dio avesse messo il mondo da Lui
creato nelle nostre mani a tal punto da volere che lo costruiamo contro di Lui che
lo ha creato. Il “come” del dialogo, del rispetto umano e del discernimento in
coscienza ha avuto il sopravvento sul “cosa” della verità e del bene. Tutte le
prassi politiche dei cattolici sono state accettate e convalidate. Non solo
nessuna indicazione ex ante di fronte alle grandi sfide, ma anche nessun
richiamo ex post. Il quarto, il quinto, i sesto, il nono comandamento esistono
ancora in politica? Nessuno ce lo dice più. Con l’eutanasia tuttalpiù si pecca
contro la solidarietà, non contro l’uomo e la legge divina.
Cattolica e Gemelli hanno emesso una dichiarazione, il
Livatino ha fatto la sua parte, altre associazioni si sono pronunciate, ma
tante altre hanno taciuto. Nel 1974, davanti al referendum sul divorzio, molti
cattolici ei erano pronunciati per il no (ossia per il sì al divorzio) “per una
scelta di libertà”. Quella scelta di libertà era in realtà una scelta per
l’autodeterminazione che dopo di allora ha guidato molti deputati cattolici a
votare per l’aborto, per la legge 40, per la Cirinnà ed ora, si suppone, per
l’eutanasia. Nel 1974 c’erano Scoppola e Pratesi, Zizola e Masina, La Valle e
Carniti … ora ce ne sono altri.
Che fare? Il quadro si fa desolante. Non c’è quasi più
niente da dare per scontato. Bisogna solo ricominciare. Da zero o quasi.
Stefano Fontana
Decisiva la linea fluida di Bergoglio: niente trincee
Il catechismo sul fine vita non muta ma l'adesione ai principi appare molto meno dogmatica
Il catechismo sul fine vita non muta ma l'adesione ai principi appare molto meno dogmatica
Roma - Da Ratzinger a Bergoglio lo sguardo della Chiesa sul fine vita è cambiato ed è divenuto più conciliante.
E forse ieri in Senato le cose sarebbero andate in modo diverso senza il discorso che Papa Francesco un mese fa ha rivolto a monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita. Un intervento che, certamente, aveva confermato il Catechismo della Chiesa Cattolica sulle fasi terminali dell'esistenza e la sofferenza che le accompagna ma allo stesso tempo ne aveva rinnovato l'esegesi. Papa Bergoglio aveva ribadito che con la rinuncia all'accanimento terapeutico non si vuole «procurare la morte» bensì «si accetta di non poterla impedire». Ma il Pontefice aveva pure osservato come oggi sia «possibile protrarre la vita in condizioni che in passato non si potevano neanche immaginare» rilevando che «gli interventi sul corpo umano diventano sempre più efficaci, ma non sempre sono risolutivi: possono sostenere funzioni biologiche divenute insufficienti, o addirittura sostituirle, ma questo non equivale a promuovere la salute», invitando «a non insistere con trattamenti che producono potenti effetti sul corpo, ma talora non giovano al bene integrale della persona».
La dottrina non cambia ma con Bergoglio sembra sia possibile leggerla in modo più conciliante rispetto alla rigida adesione di Benedetto XVI. Papa Ratzinger nel 2009 (proprio nei giorni dell'infuocato dibattito su Eluana Englaro, la ragazza in coma vegetativo da 17 anni per la quale la famiglia chiese ed ottenne l'interruzione dell'alimentazione artificiale) aveva ammonito i fedeli affermando che «la risposta alla sofferenza non può mai essere la morte».
In molti si sono affannati a dichiarare che alle parole di Bergoglio era stato attribuito un significato più ampio di quello che intendeva dare il Santo Padre. Ma è pure vero che proprio con l' approvazione del Biotestamento emergono due visioni all'interno della Chiesa. Non contrapposte ma neppure sovrapponibili. Una è quella di severa condanna della legge, espressa dalla Cei. Per don Massimo Angelelli, direttore dell'Ufficio nazionale per la pastorale della salute si tratta di una norma che «lascia perplessi su tanti punti» e nella quale «come chiesa cattolica non possiamo riconoscerci in nulla». Per Angelelli «è un errore considerare alimentazione e idratazione come terapia. Bere e mangiare sono diritti inalienabili».
Più cauta la posizione dell'Osservatore «Si tratta di una legge controversa, sulla quale molto si è dibattuto». scrive il quotidiano della Santa Sede, aggiungendo che il testo prevede «nel rispetto della Costituzione» che «nessun trattamento sanitario possa essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata».
Non una rottura ma un distacco che si riflette anche tra i movimenti di ispirazione cattolica che otto anni fa apparivano coesi e pronti alla protesta di piazza per la difesa della vita mentre ieri in piazza invece c'erano i radicali con l'Associazione Coscioni a festeggiare il passaggio della legge.
Molti fra i cattolici che ieri al Senato hanno votato a favore del Biotestamento avranno forse pensato anche all'appello di Michele Gesualdi, uomo convintamente cattolico ed ex allievo di don Lorenzo Milani. Inchiodato dalla Sclerosi laterale amiotrofica, nel marzo scorso Gesualdi lanciò un appello ai presidenti di Camera e Senato affinché approvassero al più presto la legge sul Biotestamento.
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