ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 11 gennaio 2018

Uscire nel mondo reale e combattere

Anno nuovo e musica vecchia, vecchissima, senza sguardo sul domani. Eppure suona a così alto volume da suscitare onde che, nel bicchierino da rosolio tradizionalista, passano per tempesta agli occhi di chi ama illudersi sulla rivincita imminente e inesorabile..

Dunque si riparte. E siccome, in fondo, siamo tutti un po’ romantici, si riparte sempre con la speranziella di approdare finalmente in un luogo o in un tempo un pochino migliori di quelli appena lasciati. Al principio di questo 2018, è difficile non sperare che le cose andranno meglio rispetto al 2017. Ma non si considera che al principio del 2019 sarà la stessa musica rispetto al 2018, e poi nel 2020, nel 2021, nel 2022… dalle liti di condominio a quelle di Chiesa, che come condominio è assai male amministrato. Lo nota con puntualità e senza sbavature Belvecchio in un articolo pubblicato dal sito Una Vox, e ripreso da Riscossa Cristiana il 2 gennaio, eloquente sin dal titolo: “Anno nuovo… musica vecchia”. Le sconsolate considerazioni dell’autore prendono le mosse dal documento in cui monsignor Tomash Peta, monsignor Jan Pawel Lenga e monsignor Athanasius Schneider fanno qualche pulce ad Amoris Laetitia. E riesce difficile non sentire musica vecchia visto che i tre monsignori, subito assurti al rango di “coraggiosi vescovi del Kazakistan” nei cuoricini dei tradizionalisti di lotta e di governo, nella loro disamina si appoggiano saldamente al Concilio Vaticano II e al magistero postconciliare. La solita musica.
Non c’è nulla da aggiungere alle considerazioni di Belvecchio, che vengono riassunte in una constatazione difficilmente attaccabile: è quantomeno bizzarro curare un moribondo con lo stesso veleno che lo ha ridotto in fin di vita. Eppure c’è chi scambia la trovata di usare il veleno come antidoto di se stesso per sapiente tattica, alta strategia, fine diplomazia, “Partita a scacchi per la fede” giocata da menti sopraffine. Ma è davvero così, oppure si tratta di connivenza sulle questioni fondanti accompagnata da semplice dissenso sulle applicazioni pratiche? L’alternativa non offre prospettive confortanti. In un caso, ci si trova davanti a qualcuno che, illudendosi di essere due volte più furbo degli avversari, finisce per essere tre volte più fesso. Ma si può essere veramente fessi così tanto? Nell’altro, più realistico se si esclude l’eccesso di fesseria, si tratta di piccole imboscate messe in atto dall’ala destra della neochiesa. O, se vogliamo essere meno brutali e parlare ancora di musica, si tratta di un contrappunto che i bravi musicanti eseguono diligentemente impreziosendo, volenti o nolenti, la linea melodica principale pensata da un unico diabolico autore.
Per quanto mi riguarda, non ho tempo, forza e salute da perdere dietro a un vescovo che creda, pensi, predichi, insegni e operi meno di quanto credette, pensò, predicò, insegnò e operò monsignor Marcel Lefebvre quando la tragedia non era ancora evidente e inequivocabile come oggi. A questo punto, sento già risuonare le accuse di “scarsa visione soprannaturale” e “scarso senso della Chiesa”. Anche per questo non ho abbastanza tempo, forza e salute da perdere. Sono frecciate a buon mercato che possono viaggiare in un senso o nell’altro della contesa lasciando il tempo che trovano. Sono solo i cascami postideologici delle accuse di “scarsa visione democratica” e di “scarso senso dello Stato” recuperati e indossati come argomenti prêt-à-porter dai cattolici infettati dal morbo della vaccata minore. Fatte le salve le impietose proporzioni che mi schiacciano, se penso a quanta “scarsità di visione soprannaturale” e a quanta “scarsità di senso della Chiesa” vennero imputate a uno che le indovinò proprio tutte come monsignor Lefebvre, nel mio piccolo mi consolo preventivamente.
Anno nuovo, dunque, e musica vecchia, vecchissima, senza sguardo sul domani. Eppure suona a così alto volume da suscitare onde che, nel bicchierino da rosolio tradizionalista, passano per tempesta agli occhi di chi ama illudersi sulla rivincita imminente e inesorabile. Quando ero un giovane attivista del Movimento Sociale Italiano, tanti anni fa, ricordo che si attribuiva a Pino Romualdi la chiusura di un comizio al grido speranzoso di “Non so come, non so quando, ma il Fascismo tornerà”. Ecco, siamo più o meno ancora lì. O, se vogliamo fare le personcine colte, viaggiamo dalle parti del comunista di Giorgio Gaber per il quale “la rivoluzione oggi no, domani forse, ma dopodomani sicuramente…”. E non c’è possibilità di discutere perché, fin dall’inizio, il pio illuso cala l’inesorabile argomento definitivo: “È sempre meglio qualcosa che niente!”, con il punto esclamativo che non ammette dubbi o repliche. Cosa sia quel “qualcosa” non importa. Per non morire di fame, ci si ingozza anche di veleno. Ce ne sono tanti di questi pii illusi, in buona e in meno buona fede, e li presenteremo presto in un “Bestiario” dedicato ai loro usi e, talvolta, malcostumi.
Ma, prima, bisogna mostrare come tutto il clamore su Amoris Laetitia, in realtà distolga l’attenzione dei degustatori di rosolio tradizionale dalla vera guerra in atto. Per farlo bisogna ricorrere all’analisi di chi vive e opera ex partibus infidelium condividendone fini e mezzi. I motivi sono almeno due. Il primo è che bisogna liberarsi dal pregiudizio secondo cui chi la pensa diversamente da noi sia necessariamente stupido. Se fosse vero questo assunto, bisognerebbe chiedersi perché noi continuiamo a perdere mentre gli stupidi continuano a vincere e la risposta tornerebbe impietosamente alla fattispecie già illustrata: invece che due volte più furbi, saremmo tre volte più stupidi dei nostri avversari. Ma ciascuno ha abbastanza amor proprio per scartare questa eventualità e quindi si passa al secondo motivo per cui bisogna ascoltare attentamente gli avversari: essendo i vincitori e i padroni assoluti di questo tempo, non hanno la necessità di illudersi che sia diverso da come si presenta e lo descrivono così com’è. I vinti, invece, un po’ per celia e un po’ per non morire, disegnano un mondo che non esiste popolato di eroi che non esistono. Ma questa non è la virtù della speranza, è il vizio della stupidità.
Dopa tale lunga premessa, arriviamo alla rapida conclusione. Se una notte d’inverno un pio illuso avesse letto (dal parrucchiere, naturalmente, ché in certe case non entra) il Venerdì di Repubblica, avrebbe trovato qualche indizio interessante per capire che cosa sta avvenendo veramente dentro la neochiesa. Copertina dedicata al “Ciclone Francesco” e, all’interno, una serie di interessanti articoli tra cui uno di Filippo Di Giacomo, sacerdote e giornalista, impietosamente titolato “Ma tutti obbediscono a chi cambia anche la messa”.
Il pezzo di Di Giacomo meriterebbe ben di più di queste povere righe perché unisce acutezza di analisi, partecipazione ideologica e capacità di scrittura. Ma, soprattutto, andrebbe studiato per quel suo distacco sprezzante nella descrizione di meccanismi che ormai possono essere svelati poiché la partita è vinta. Insomma, molto più istruttivo delle diatribe sulla “possibilità di un Papa eretico” mentre il “Papa eretico” continua imperterrito nella sua opera.
L’analisi prende le mosse dall’estromissione del cardinale Gerhard Müller dalla Congregazione per la Dottrina della fede e mostra come le vere manovre in atto in Vaticano non abbiano nulla a che fare con le scaramucce sull’interpretazione di Amoris Laetitia. Ma conviene leggere sine glossa: “Dunque, messa da parte la polemica sulla comunione ai divorziati, ormai diventata un’arma di distrazione di massa dato che l’Amoris Laetitia nulla aggiunge alle prassi già diffuse nella Chiesa, l’allontanamento del cardinale Müller (…) potrebbe costituire un atto propedeutico a qualcos’altro? Probabilmente sì: all’approvazione di quella ‘preghiera eucaristica ecumenica’ messa punto da una commissione riservata guidata dal cardinale Kasper, composta da teologi cattolici e luterani, da utilizzare in circostanze particolari per permettere la comunione eucaristica alle coppie miste, cioè famiglie composte da una parte cattolica e l’altra luterana. Una messa ritenuta valida da entrambe le confessioni, nonostante le differenze teologiche sulla dottrina eucaristica e il ministero ordinato”. E ancora: “l’imminente messa catto-luterana è pronta a prendere il via in Germania. Per poi arrivare nelle diocesi dove le conferenze episcopali o il singolo vescovo lo riterranno opportuno”.
Questo è dunque il vero fine della neochiesa e dei suoi adepti, l’abolizione del Sacrificio Eucaristico, perseguito senza opposizioni mentre la plebe si balocca nel circo con “l’arma di distrazione di massa” fornita a bella posta da Amoris Laetitia. Non a caso, spiega sprezzantemente Di Giacomo: “Anche nel Vaticano di oggi, ciò che viene servito all’Orbe non è ciò che agita l’Urbe. Il menù prevede un racconto (apparentemente) indiscutibile, accreditato dai media sul ministero di papa Francesco: un pastore popolare riformatore che, da solo, combatte la Curia Romana, le strutture più conservatrici, oscure e gerarchiche della Chiesa Cattolica. Un Papa che sta rendendo il vicario di Cristo più umano e che per questo lotta con una moltitudine di satanassi con la tonaca. La narrazione ‘vaticanista’, costruita dagli specializzati nel racconto funzionale (paradossalmente) agli ambienti ‘rampanti’ della Curia, viene acriticamente ripetuta ed è gabellata, è il caso di dirlo, come fenomeno ‘senza precedenti nella storia degli ultimi secoli’. Insomma, dopo quasi cinque anni di papato, questa descrizione infantile dai toni romanzeschi individua il nocciolo del problema nelle ‘resistenze’ incontrate dal pontefice da parte dei funzionari della sua amministrazione e da chi, dentro e fuori il Vaticano, lo vorrebbe dedito ad assicurare  certezza e solidità alla dottrina e all’identità cattolica”.
A questo punto, il pio illuso, potrebbe obiettare che, allora, si può contare sui “vescovi coraggiosi”, sul cardinale Müller, se nel frattempo non avesse ritrattato, sul cardinale Sarah, se nel frattempo non si fosse accucciato. “Ma è davvero così?” chiede Di Giacomo al pio illuso, al quale fornisce anche la risposta: “In realtà, mai come in questi anni la Curia romana ha dato prova di assoluta obbedienza ai voleri (e agli umori) del pontefice regnante. I cardinali Müller e Sarah, capaci di incassare colpi quasi senza proferire parola, non sono stati i soli. Diverse decine di curiali e di dipendenti vaticani (si dice trecento) in silenzio hanno obbedito a decisioni che in altri contesti sarebbero state considerate violazioni dei diritti dei lavoratori: licenziamenti improvvisi motivati da un ‘lo ha deciso il Papa’, demansionamenti e retrocessioni per‘attuare la volontà superiore’ e altre angherie imputate a quella ‘prima sede’ che, come recita il diritto canonico, a nemine iudicatur, non può essere giudicata da nessuno”.
Per concludere, non è necessario farla tanto lunga, basta ricordare il titolo del pezzo di Di Giacomo: “Ma tutti obbediscono a chi cambia anche la messa”. L’obiettivo della neochiesa è quello di eliminare dal mondo il Sacrificio Eucaristico e i cristiani che hanno mantenuto la vera fede hanno solo due possibilità: continuare a nuotare fra le piccole onde del bicchierino di rosolio, oppure uscire nel mondo reale e combattere.
Alessandro Gnocchi
Sia lodato Gesù Cristo  
TRENTA RIGHE FUORI MODA – rubrica settimanale di Alessandro Gnocchi
https://www.riscossacristiana.it/fuorimoda100118/


04:49

DON MINUTELLA RACCONTA DI UNA VISIONE SU UN COCCODRILLO

Incredibile visione intellettiva ricevuta da Don Minutella, il profeta di Maria


Il cristiano deve essere un guerriero! Parola dell’attore Jim Caviezel

I TRE SENTIERI
8 gennaio 2018
I cattolici devono essere pronti a rischiare la vita e la reputazione per sconfiggere il male nel mondo, ha detto Jim Caviezel a un raduno di studenti di college cattolici.
Solo attraverso la fede e la sapienza di Gesù potremo essere salvati – ha detto Caviezel –,ma ci vorranno anche persone pronte a combattere, a sacrificarsi e a soffrire.
Citando san Massimiliano Kolbe (1894-1941), l’attore ha detto che il più grande peccato del secolo XX è stato l’indifferenza, e lo è ancora nel XXI.
«Quest’indifferenza, questa tolleranza devastante del male, dobbiamo scrollarcela di dosso. Ma solo la nostra fede e la sapienza di Cristo possono salvarci», ha detto. «Tuttavia c’è bisogno di guerrieri pronti a mettere a repentaglio la propria reputazione, il proprio nome, persino le nostre stesse vite, per difendere la verità».
«Distinguetevi da questa generazione corrotta», così l’attore ha pungolato l’uditorio. «Siate santi. Non siete stati creati per conformarvi. Siete nati per distinguervi ed emergere».
La star de La passione di Cristo, che ha al proprio attivo numerosi altri film e produzioni televisive, è comparso a sorpresa mercoledì sera, 3 gennaio, al convegno SLS18, lo Student Leadership Summit 2018, promosso dall’organizzazione FOCUS, The Fellowship of Catholic University Students.
Scopo del convegno, tenutosi a Chicago dal 2 al 6 gennaio, è stato quello di formare gli studenti dei college cattolici, orientandoli ad assumere uno spirito missionario nella vita e, in particolare, nei campus.
Il discorso di Caviezel, ripreso in video e pubblicato su Facebook da don Brian Buettner, direttore per le vocazioni dell’arcidiocesi di Oklahoma City, è stato accolto con entusiasmo.
L’attore ha iniziato l’intervento con un riferimento al film, di prossima uscita, Paul, Apostle of Christspiegando come lesue esperienze sui set cinematografici gli abbiano insegnato che per essere grandi agli occhi di Dio si deve anzitutto farsi piccoli e accettarLo integralmente, consentendoGli di guidarci.
Caviezel ha anche parlato del significato della sofferenza, denunciando come sia un malinteso fin troppo diffuso la convinzione che il cristianesimo consista meramente in discorsi melensi.
Non è per un caso fortuito che si sia trovato a fare l’attore, ha aggiunto: i ruoli assunti all’inizio della carriera hanno preparato la strada così che poi venisse chiamato a interpretare Cristo dell’epico film di Mel Gibson sulla Passione e sulla Resurrezione di Cristo.
Al convegno di FOCUS, Caviezel ha spiegato che, in modo del tutto analogo, anche le vite di chi lo stava ascoltando non sono un mero assemblaggio di eventi fortuiti.
«Alcuni tra voi, proprio in questo istante, potrebbero sentirsi infelici, confusi, incerti sul futuro o feriti», ha detto. «Non è questo il tempo per fare marcia indietro o per cedere».
Ha quindi raccontato come l’avere interpretato il ruolo di Cristo fino al termine delle riprese è stato motivo di sofferenze e ha costituito per lui una prova grande, anche per ciò che riguarda i risvolti fisici della flagellazione, l’essere crocifisso, l’essere stato colpito da un fulmine, e aver subito un’operazione a cuore aperto dopo cinque mesi e più in ipotermia.
Durante le riprese, Caviezel si è anche slogato una spalla mentre portava la croce. Ciononostante ha voluto rimanere sul set e finire la pellicola, dicendo che è stato come assolvere una penitenza.
«Mentre ero lì, sulla croce, ho compreso che la Sua sofferenza è stata la nostra redenzione», ha aggiunto. «Ricordate che un servo non è più grande del suo padrone».
«Ognuno di noi deve portare la propria croce», ha continuato. «La nostra fede e le nostre libertà hanno un prezzo».
Ai presenti (1) ha spiegato che la sofferenza ha plasmato la sua professionalità «[…] proprio come plasma le nostre vite».
Ha poi sottolineato che la resurrezione, e quindi la nostra salvezza, non è gratis.
«Alcuni di noi», lo sapete, «abbracciano un cristianesimo posticcio, dove tutto è melenso – io lo chiamo “la religione di Gesù-giocondo” – e gloria».
«Ragazzi, ci sono stati un bel po’ di dolore e di sofferenza… prima della resurrezione», ha affermato Caviezel. «E il vostro cammino non sarà differente. Perciò abbracciate la vostra croce e correte verso i vostri obiettivi».
L’attore ha già sovente parlato della propria fede e delle proprie convinzioni pro-lifeconfessando pubblicamente come l’avere interpretato Cristo lo abbia segnato spiritualmente. Note sono le campagne a favore dell’adozione di cui è stato protagonista, rendendo pubblica l’esperienza di genitori adottivi propria e della moglie Kerry.
I partecipanti al convegno cattolico di Chicago sono quindi stati esortati a vivere la fede pubblicamente. «Voglio vedervi uscire allo scoperto in questo mondo pagano», ha affermato Caviezel. «Voglio che abbiate il coraggio di entrare in questo mondo pagano esprimendo senza complessi la vostra fede in pubblico». «Il mondo ha bisogno di guerrieri valorosi, animati dalla fede», ha aggiunto. «Guerrieri come san Paolo e come san Luca che hanno rischiato il proprio nome e la propria reputazione per diffondere nel mondo la propria fede e il proprio amore per Gesù».
«Dio chiama ognuno di noi – ognuno di voi – a fare cose grandi», ha detto.
Per Caviezel spesso la gente ignora la chiamata di Dio ed è quindi tempo che questa generazione accetti la chiamata donandosi interamente a Lui e ritornando alla preghiera, al digiuno, alle Scritture e ai sacramenti:«Ma, prima di tutto, prendete l’impegno di iniziare a pregare, a digiunare, a meditare sulle Sacre Scritture e di prendere sul serio i santi sacramenti». Siamo una cultura in declino – ha aggiunto – e l’intero nostro mondo è radicato nel peccato. La licenziosità ha preso il posto della libertà. E questo «poiché oggi nel nostro Paese siamo fin troppo contenti di seguire il flusso della corrente». «Della libertà abbiamo fatto un idolo che mette tutte le scelte sullo stesso piano, qualunque siano le conseguenze. Credete onestamente che sia libertà vera?»
Citando Papa san Giovanni Paolo II (1978-2005), l’attore ha pure spiegato che una società non può escludere la verità e il ragionamento morali. Ogni nuova generazione americana deve comprendere che la libertà esiste non perché ognuno faccia quel che gli piace, ma per avere il diritto di poter fare ciò che si deve.
«Questa è la libertà che io auspico per voi», ha detto Caviezel al pubblico del convegno. «La libertà dal peccato, dalle debolezze, da questa schiavitù cui il peccato ci costringe. Questa è libertà per cui vale la pena morire».
Ha poi in conclusione ricordato una scena di un altro film di Mel Gibson, Braveheart-Cuore impavido, nel quale William Wallace (1270-1305) rincuora i propri uomini destinati a una sconfitta certa dicendo loro che i nemici avrebbero potuto eventualmente sottrarre loro la vita, ma mai la libertà, scegliendo una battuta specifica di quella scena: «Tutti gli uomini muoiono. Non tutti però vivono veramente».«Tu, tu e tu», ha quindi esclamato indicando alcune persone del pubblico: «dobbiamo tutti combattere per questa libertà e vivere, amici miei». «Per Dio, dobbiamo vivere avendo lo Spirito Santo come scudo e Cristo come spada. Che possiate unirvi a san Michele e a tutti gli angeli per rimandare Lucifero e i suoi accoliti all’inferno, là dove debbono restare!»

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