Anno nuovo e musica vecchia, vecchissima, senza sguardo sul domani. Eppure suona a così alto volume da suscitare onde che, nel bicchierino da rosolio tradizionalista, passano per tempesta agli occhi di chi ama illudersi sulla rivincita imminente e inesorabile..
Dunque si riparte. E siccome, in fondo, siamo tutti un po’ romantici, si riparte sempre con la speranziella di approdare finalmente in un luogo o in un tempo un pochino migliori di quelli appena lasciati. Al principio di questo 2018, è difficile non sperare che le cose andranno meglio rispetto al 2017. Ma non si considera che al principio del 2019 sarà la stessa musica rispetto al 2018, e poi nel 2020, nel 2021, nel 2022… dalle liti di condominio a quelle di Chiesa, che come condominio è assai male amministrato. Lo nota con puntualità e senza sbavature Belvecchio in un articolo pubblicato dal sito Una Vox, e ripreso da Riscossa Cristiana il 2 gennaio, eloquente sin dal titolo: “Anno nuovo… musica vecchia”. Le sconsolate considerazioni dell’autore prendono le mosse dal documento in cui monsignor Tomash Peta, monsignor Jan Pawel Lenga e monsignor Athanasius Schneider fanno qualche pulce ad Amoris Laetitia. E riesce difficile non sentire musica vecchia visto che i tre monsignori, subito assurti al rango di “coraggiosi vescovi del Kazakistan” nei cuoricini dei tradizionalisti di lotta e di governo, nella loro disamina si appoggiano saldamente al Concilio Vaticano II e al magistero postconciliare. La solita musica.
Non c’è nulla da aggiungere alle considerazioni di Belvecchio, che vengono riassunte in una constatazione difficilmente attaccabile: è quantomeno bizzarro curare un moribondo con lo stesso veleno che lo ha ridotto in fin di vita. Eppure c’è chi scambia la trovata di usare il veleno come antidoto di se stesso per sapiente tattica, alta strategia, fine diplomazia, “Partita a scacchi per la fede” giocata da menti sopraffine. Ma è davvero così, oppure si tratta di connivenza sulle questioni fondanti accompagnata da semplice dissenso sulle applicazioni pratiche? L’alternativa non offre prospettive confortanti. In un caso, ci si trova davanti a qualcuno che, illudendosi di essere due volte più furbo degli avversari, finisce per essere tre volte più fesso. Ma si può essere veramente fessi così tanto? Nell’altro, più realistico se si esclude l’eccesso di fesseria, si tratta di piccole imboscate messe in atto dall’ala destra della neochiesa. O, se vogliamo essere meno brutali e parlare ancora di musica, si tratta di un contrappunto che i bravi musicanti eseguono diligentemente impreziosendo, volenti o nolenti, la linea melodica principale pensata da un unico diabolico autore.
Per quanto mi riguarda, non ho tempo, forza e salute da perdere dietro a un vescovo che creda, pensi, predichi, insegni e operi meno di quanto credette, pensò, predicò, insegnò e operò monsignor Marcel Lefebvre quando la tragedia non era ancora evidente e inequivocabile come oggi. A questo punto, sento già risuonare le accuse di “scarsa visione soprannaturale” e “scarso senso della Chiesa”. Anche per questo non ho abbastanza tempo, forza e salute da perdere. Sono frecciate a buon mercato che possono viaggiare in un senso o nell’altro della contesa lasciando il tempo che trovano. Sono solo i cascami postideologici delle accuse di “scarsa visione democratica” e di “scarso senso dello Stato” recuperati e indossati come argomenti prêt-à-porter dai cattolici infettati dal morbo della vaccata minore. Fatte le salve le impietose proporzioni che mi schiacciano, se penso a quanta “scarsità di visione soprannaturale” e a quanta “scarsità di senso della Chiesa” vennero imputate a uno che le indovinò proprio tutte come monsignor Lefebvre, nel mio piccolo mi consolo preventivamente.
Anno nuovo, dunque, e musica vecchia, vecchissima, senza sguardo sul domani. Eppure suona a così alto volume da suscitare onde che, nel bicchierino da rosolio tradizionalista, passano per tempesta agli occhi di chi ama illudersi sulla rivincita imminente e inesorabile. Quando ero un giovane attivista del Movimento Sociale Italiano, tanti anni fa, ricordo che si attribuiva a Pino Romualdi la chiusura di un comizio al grido speranzoso di “Non so come, non so quando, ma il Fascismo tornerà”. Ecco, siamo più o meno ancora lì. O, se vogliamo fare le personcine colte, viaggiamo dalle parti del comunista di Giorgio Gaber per il quale “la rivoluzione oggi no, domani forse, ma dopodomani sicuramente…”. E non c’è possibilità di discutere perché, fin dall’inizio, il pio illuso cala l’inesorabile argomento definitivo: “È sempre meglio qualcosa che niente!”, con il punto esclamativo che non ammette dubbi o repliche. Cosa sia quel “qualcosa” non importa. Per non morire di fame, ci si ingozza anche di veleno. Ce ne sono tanti di questi pii illusi, in buona e in meno buona fede, e li presenteremo presto in un “Bestiario” dedicato ai loro usi e, talvolta, malcostumi.
Ma, prima, bisogna mostrare come tutto il clamore su Amoris Laetitia, in realtà distolga l’attenzione dei degustatori di rosolio tradizionale dalla vera guerra in atto. Per farlo bisogna ricorrere all’analisi di chi vive e opera ex partibus infidelium condividendone fini e mezzi. I motivi sono almeno due. Il primo è che bisogna liberarsi dal pregiudizio secondo cui chi la pensa diversamente da noi sia necessariamente stupido. Se fosse vero questo assunto, bisognerebbe chiedersi perché noi continuiamo a perdere mentre gli stupidi continuano a vincere e la risposta tornerebbe impietosamente alla fattispecie già illustrata: invece che due volte più furbi, saremmo tre volte più stupidi dei nostri avversari. Ma ciascuno ha abbastanza amor proprio per scartare questa eventualità e quindi si passa al secondo motivo per cui bisogna ascoltare attentamente gli avversari: essendo i vincitori e i padroni assoluti di questo tempo, non hanno la necessità di illudersi che sia diverso da come si presenta e lo descrivono così com’è. I vinti, invece, un po’ per celia e un po’ per non morire, disegnano un mondo che non esiste popolato di eroi che non esistono. Ma questa non è la virtù della speranza, è il vizio della stupidità.
Dopa tale lunga premessa, arriviamo alla rapida conclusione. Se una notte d’inverno un pio illuso avesse letto (dal parrucchiere, naturalmente, ché in certe case non entra) il Venerdì di Repubblica, avrebbe trovato qualche indizio interessante per capire che cosa sta avvenendo veramente dentro la neochiesa. Copertina dedicata al “Ciclone Francesco” e, all’interno, una serie di interessanti articoli tra cui uno di Filippo Di Giacomo, sacerdote e giornalista, impietosamente titolato “Ma tutti obbediscono a chi cambia anche la messa”.
Il pezzo di Di Giacomo meriterebbe ben di più di queste povere righe perché unisce acutezza di analisi, partecipazione ideologica e capacità di scrittura. Ma, soprattutto, andrebbe studiato per quel suo distacco sprezzante nella descrizione di meccanismi che ormai possono essere svelati poiché la partita è vinta. Insomma, molto più istruttivo delle diatribe sulla “possibilità di un Papa eretico” mentre il “Papa eretico” continua imperterrito nella sua opera.
L’analisi prende le mosse dall’estromissione del cardinale Gerhard Müller dalla Congregazione per la Dottrina della fede e mostra come le vere manovre in atto in Vaticano non abbiano nulla a che fare con le scaramucce sull’interpretazione di Amoris Laetitia. Ma conviene leggere sine glossa: “Dunque, messa da parte la polemica sulla comunione ai divorziati, ormai diventata un’arma di distrazione di massa dato che l’Amoris Laetitia nulla aggiunge alle prassi già diffuse nella Chiesa, l’allontanamento del cardinale Müller (…) potrebbe costituire un atto propedeutico a qualcos’altro? Probabilmente sì: all’approvazione di quella ‘preghiera eucaristica ecumenica’ messa punto da una commissione riservata guidata dal cardinale Kasper, composta da teologi cattolici e luterani, da utilizzare in circostanze particolari per permettere la comunione eucaristica alle coppie miste, cioè famiglie composte da una parte cattolica e l’altra luterana. Una messa ritenuta valida da entrambe le confessioni, nonostante le differenze teologiche sulla dottrina eucaristica e il ministero ordinato”. E ancora: “l’imminente messa catto-luterana è pronta a prendere il via in Germania. Per poi arrivare nelle diocesi dove le conferenze episcopali o il singolo vescovo lo riterranno opportuno”.
Questo è dunque il vero fine della neochiesa e dei suoi adepti, l’abolizione del Sacrificio Eucaristico, perseguito senza opposizioni mentre la plebe si balocca nel circo con “l’arma di distrazione di massa” fornita a bella posta da Amoris Laetitia. Non a caso, spiega sprezzantemente Di Giacomo: “Anche nel Vaticano di oggi, ciò che viene servito all’Orbe non è ciò che agita l’Urbe. Il menù prevede un racconto (apparentemente) indiscutibile, accreditato dai media sul ministero di papa Francesco: un pastore popolare riformatore che, da solo, combatte la Curia Romana, le strutture più conservatrici, oscure e gerarchiche della Chiesa Cattolica. Un Papa che sta rendendo il vicario di Cristo più umano e che per questo lotta con una moltitudine di satanassi con la tonaca. La narrazione ‘vaticanista’, costruita dagli specializzati nel racconto funzionale (paradossalmente) agli ambienti ‘rampanti’ della Curia, viene acriticamente ripetuta ed è gabellata, è il caso di dirlo, come fenomeno ‘senza precedenti nella storia degli ultimi secoli’. Insomma, dopo quasi cinque anni di papato, questa descrizione infantile dai toni romanzeschi individua il nocciolo del problema nelle ‘resistenze’ incontrate dal pontefice da parte dei funzionari della sua amministrazione e da chi, dentro e fuori il Vaticano, lo vorrebbe dedito ad assicurare certezza e solidità alla dottrina e all’identità cattolica”.
A questo punto, il pio illuso, potrebbe obiettare che, allora, si può contare sui “vescovi coraggiosi”, sul cardinale Müller, se nel frattempo non avesse ritrattato, sul cardinale Sarah, se nel frattempo non si fosse accucciato. “Ma è davvero così?” chiede Di Giacomo al pio illuso, al quale fornisce anche la risposta: “In realtà, mai come in questi anni la Curia romana ha dato prova di assoluta obbedienza ai voleri (e agli umori) del pontefice regnante. I cardinali Müller e Sarah, capaci di incassare colpi quasi senza proferire parola, non sono stati i soli. Diverse decine di curiali e di dipendenti vaticani (si dice trecento) in silenzio hanno obbedito a decisioni che in altri contesti sarebbero state considerate violazioni dei diritti dei lavoratori: licenziamenti improvvisi motivati da un ‘lo ha deciso il Papa’, demansionamenti e retrocessioni per‘attuare la volontà superiore’ e altre angherie imputate a quella ‘prima sede’ che, come recita il diritto canonico, a nemine iudicatur, non può essere giudicata da nessuno”.
Per concludere, non è necessario farla tanto lunga, basta ricordare il titolo del pezzo di Di Giacomo: “Ma tutti obbediscono a chi cambia anche la messa”. L’obiettivo della neochiesa è quello di eliminare dal mondo il Sacrificio Eucaristico e i cristiani che hanno mantenuto la vera fede hanno solo due possibilità: continuare a nuotare fra le piccole onde del bicchierino di rosolio, oppure uscire nel mondo reale e combattere.
Alessandro Gnocchi
Sia lodato Gesù Cristo
TRENTA RIGHE FUORI MODA – rubrica settimanale di Alessandro Gnocchi
TRENTA RIGHE FUORI MODA – rubrica settimanale di Alessandro Gnocchi
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