Vaticano, la Cina si prende la Chiesa: ok di Bergoglio a 7 vescovi di Pechino
La Cina si prende anche la Chiesa: il Vaticano accetterà la nomina di 7 vescovi scelti da Pechino
Cina: il Vaticano accettera' 7 vescovi nominati da Pechino
Cina e Vaticano sarebbero vicine a un accordo quadro sulla nomina di 7 vescovi, il principale nodo da sciogliere nelle relazioni tra Pechino e la Santa Sede, e la firma potrebbe arrivare gia' tra pochi mesi. Lo riferisce il Wall Street Journal, citando una fonte vicina al dossier, secondo la quale Papa Francesco avrebbe deciso di accettare la legittimita' dei sette vescovi cattolici nominati dal governo cinese per favorire il processo di riconoscimento del pontefice stesso come capo della Chiesa Cattolica in Cina. Secondo l'agenzia Reuters, che cita una fonte di alto livello del Vaticano, cinque delle sette questioni piu' urgenti sulla nomina dei vescovi sarebbero ormai risolte. L'intesa raggiunta finora non sarebbe "un grande accordo", "ma non sappiamo quale potrebbe essere la situazione nei prossimi dieci o venti anni", ha spiegato la fonte.
La comunita' cattolica cinese, stimata in circa 12 milioni di persone, e' attualmente divisa in due: chi professa la propria religione quasi clandestinamente e riconosce il Papa come guida spirituale, e gli aderenti alla Associazione Patriottica Cattolica, di fatto controllata dal governo di Pechino. La bozza di accordo potrebbe iniziare a modificare questa situazione. Cina e Vaticano hanno tagliato i legami diplomatici nel 1951, due anni dopo la fondazione della Repubblica Popolare Cinese da parte di Mao Zedong. La rivelazione giunge a pochi giorni dalla polemica scoppiata tra la Santa Sede il vescovo emerito di Hong Kong, il cardinale Joseph Zen Ze-kiun, che ha accusato la Chiesa di "svendersi" ai desiderata della Cina, aprendo alla sostituzione di due vescovi cinesi nominati dal Vaticano con altri due graditi a Pechino, dopo una visita in Cina di una delegazione della Santa Sede a dicembre scorso. Le parole del cardinale avevano provocato la reazione sdegnata del Vaticano, sia attraverso il portavoce Greg Burke, che attraverso il segretario di Stato, Pietro Parolin.
http://www.affaritaliani.it/cronache/vaticano-la-cina-si-prende-la-chiesa-ok-di-bergoglio-a-7-vescovi-di-pechino-522499.html?ref=ig
Il card. Parolin: La Santa Sede punta all’accordo con la Cina
Il card. Parolin: La Santa Sede punta all’accordo con la Cina
Ora la conferma è ufficiale e giunge direttamente dal Segretario di Stato vaticano, il card. Parolin: in Cina la Santa Sede è risoluta nel giungere a patti con la dittatura comunista. Lo ha dichiarato nel corso di un’intervista, durante la quale ha negato che nel Paese vi siano «due chiese», quasi ponendo sullo stesso piano quella cattolica o «sotterranea» finora vissuta nelle catacombe e l’Associazione Patriottica, totalmente sganciata da Roma e guidata da Vescovi eretici e scomunicati.Secondo Sua Eminenza, si tratterebbe, in realtà, di «due comunità di fedeli, chiamate a compiere un percorso progressivo di riconciliazione verso l’unità», parla di «ferite personali inflitte reciprocamente», come se fossero semplici bisticci tra parrocchie, quelli da risolvere.
Il card. Parolin cita la Lettera ai Vescovi, ai presbiteri, alle persone consacrate e ai fedeli laici della Chiesa cattolica nella Repubblica Popolare Cinese di Benedetto XVI, ma solo estrapolandone alcuni passi e dimenticandone o tralasciandone totalmente altri, come il n. 7, dove dell’Associazione Patriottica critica con fermezza la volontà «di attuare “i principi di indipendenza e autonomia, autogestione e amministrazione democratica della Chiesa”», poiché ciò «è inconciliabile con la dottrina cattolica, che fin dagli antichi Simboli di fede professa la Chiesa “una, santa, cattolica e apostolica”».
Secondo il card. Parolin, questo corrisponderebbe a «trovare soluzioni pastorali realistiche». Ed aggiunge: «Se non siamo pronti a perdonare, significa purtroppo che ci sono altri interessi da difendere: ma questa non è una prospettiva evangelica». Intimando che «nessuno si aggrappi ad uno spirito di contrapposizione per condannare il fratello o che utilizzi il passato come pretesto per fomentare nuovi risentimenti e chiusure». E prendendosela con chi provochi «sterili polemiche, che danneggiano la comunione e che rubano le speranze in un futuro migliore». Parole, che i cattolici cinesi potranno valutare meglio di chiunque altro, avendo essi vissuto tragicamente sulla pelle propria e dei propri cari decenni di persecuzione comunista. Decenni, che non sono sicuramente un «pretesto»…
Per non dimenticare
La «Rivoluzione culturale» (nome completo: «Grande rivoluzione culturale proletaria») fu promossa dal presidente Mao Tse-tung nell’ultimo periodo del suo dominio dittatoriale, fra il 1966 e il 1976, e corrispose a un’orrenda purga in perfetto stile staliniano, della quale fecero le spese milioni di persone.
Dopo il totale fallimento, a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, del «Grande balzo in avanti», ovvero il folle piano economico e sociale con il quale, a prezzo di una devastante carestia e inaudite sofferenze per il popolo, Mao pretese di trasformare rapidamente la Repubblica Popolare Cinese da paese rurale a gigante industrializzato all’insegna della collettivizzazione forzata, la «Rivoluzione culturale» fu la nuova follia escogitata dal Timoniere per rafforzarsi al vertice del Partito Comunista e bloccare sul nascere il riformismo promosso, per salvare il salvabile, dalla corrente meno ideologica e più pragmatica del Partito.
A causa del «Grande balzo in avanti» morirono, a seconda delle stime, dai quattordici ai quarantatré milioni di cinesi (ma forse ancora di più) e la successiva «Rivoluzione culturale» scatenò autentici pogrom, dei quali furono protagoniste le famigerate «Guardie rosse», per lo più giovani fanatici e crudeli resi ciechi dall’indottrinamento.
Per eseguire l’ordine tassativo, impartito da Mao, di eliminare tutto ciò che poteva sapere di vecchio e di borghese (nella cultura, nella scuola, nell’arte, nel mondo del lavoro e delle professioni), le «Guardie rosse», studenti delle scuole inferiori e superiori trasformati in solerti aguzzini, fecero tabula rasa e, all’insegna di una violenza fisica e psicologica senza precedenti, contribuirono a spedire milioni di persone nei cosiddetti «campi di rieducazione», allestiti sull’esempio dei gulag di Stalin nell’Unione Sovietica. Fonte di ispirazione per l’opera rivoluzionaria era il «Libretto rosso», una sorta di manuale con numerose citazioni di Mao che ogni «Guardia rossa» aveva sempre con sé.
Chi conosce questa storia sa già tutto. Per chi, specie fra i più giovani, non la conoscesse, invito a leggere, per esempio, «Il libro nero del comunismo», dove quella follia è raccontata chiaramente e dove si arriva a stimare in oltre sessantacinque milioni il numero dei morti causati in Cina dalla rivoluzione proletaria nelle sue varie fasi.
Non posso tuttavia dimenticare che qui da noi, in Occidente, l’ideologia di Mao e delle sue «Guardie rosse» trovò moltitudini di solerti sostenitori non meno zelanti e fanatici, i quali per anni, sventolando il «Libretto rosso», cercarono di convincerci che in Cina stava avvenendo qualcosa di fantastico all’insegna della liberazione del popolo oppresso e della realizzazione del paradiso sulla terra.
Il sottoscritto, non avendo mai aderito a quella scuola di pensiero e anzi avendo combattuto fin da giovanissimo contro il comunismo in tutte le sue salse, rischiò più di una volta, ai tempi del liceo e dell’università, di essere colpito (e non in senso metaforico) dalla mano di qualche guardia rossa nostrana, animata dal fuoco della purificazione sotto l’effetto dell’indottrinamento di stampo maoista. Alcuni miei amici, meno fortunati di me, furono invece colpiti sul serio e finirono all’ospedale.
Circa il trattamento che durante la Rivoluzione culturale fu riservato ai cattolici cinesi, consiglio la lettura di un ottimo articolo del missionario Sergio Ticozzi su «Asianews» (17 maggio 2016), nel quale si può leggere: «Per le religioni e per la Chiesa cattolica sono stati gli anni della più violenta persecuzione e della soppressione sistematica della loro presenza. Ma quanto e cosa hanno sofferto i cattolici cinesi durante la Rivoluzione culturale non è molto documentato. Vi sono molti più resoconti sulla persecuzione nel periodo degli anni Cinquanta. Il motivo è che i documenti di quella “catastrofe” sono stati bruciati o rimangono sepolti negli archivi. E di recente solo poche vittime hanno osato parlarne».
La rievocazione di padre Ticozzi è chiara e puntuale: durante la Rivoluzione culturale «i cristiani, in particolare, sono considerati subito “nemici del popolo” e i cattolici continuano ad essere sospettati di attività contro-rivoluzionarie».
La persecuzione colpisce sia le persone sia gli edifici religiosi. «Le chiese sono spogliate di tutto, danneggiate e usate come ripostigli, fabbriche o abitazioni, se non demolite. Statue, paramenti, articoli e libri religiosi sono bruciati. I semplici fedeli sono scacciati da casa, costretti a girare nelle strade del villaggio e delle città con in testa alti cappelli cilindrici su cui sono scritti i loro “crimini”; sono poi mandati ad abitare in miseri locali o in capanne, mentre i persecutori rubano tutto quello che vogliono e distruggono o bruciano il resto dell’arredamento. Molti soffrono una morte miserevole. Vescovi, sacerdoti e suore, anche i “patriottici” che ancora operano ufficialmente, sono arrestati, insultati e condannati ai campi forzati o in prigione».
«A Baoding (Hebei), Guardie rosse della scuola media si sono rovesciate nella cattedrale: raccolgono tutti gli articoli religiosi sul piazzale e accendono il fuoco. Radunano poi clero e suore con maniere violente attorno al rogo. Siamo “patriottici”, dichiara padre Antonio Li Daoning. “Ti picchiamo come patriottico” gli rispondono. Sotto la violenza il prete sviene ed è buttato sul rogo. Un’altra vittima è suor Zhang Ergu, che è picchiata a morte con bastoni perché si è rifiutata di calpestare un’immagine della Madonna. In un altro caso simile, in una chiesa del nord Henan, un sacerdote è spinto così vicino al rogo che gli si bruciano i piedi; portato a casa, dopo due giorni muore».
«Nel giugno 1966 monsignor Xi Minyuan è arrestato e imprigionato, accusato di attività anti-rivoluzionarie e di rapporti con gli stranieri: muore in carcere. A Kaifeng, suor Wang Qian è legata, portava via dalle Guardie rosse e sepolta viva».
Molte altre sono le atrocità narrate da padre Ticozzi, che conclude: «Esistono ancora tante tragedie e sacrifici che i cattolici cinesi hanno sofferto durante la Rivoluzione culturale, ma che rimangono nascosti nel cuore delle vittime e dei persecutori. Fra questi ultimi, pochi hanno avuto il coraggio di confessare e di chiedere perdono; la maggioranza non ne sente il bisogno o vuole dimenticare. Molte vittime e loro conoscenti non osano parlare per paura. Perché? Un sacerdote che ho invitato a raccogliere documentazione su questo periodo confessa: “Parlando dal cuore, non posso esprimere quello che provo quando ricordo questo tempo di grandi sofferenze, dal momento che nelle condizioni presenti della Chiesa tale situazione non è ancora finita. Forse la minaccia alla fede è fatta in modo più sottile, ma più profondo rispetto alle generazioni passate. Dobbiamo pregare il Signore che ci rafforzi e ci dia il coraggio di continuare a testimoniare la fede nel nostro Salvatore”».
Le cose in Cina sono cambiate, ma al potere c’è comunque il Partito comunista, e forse la rievocazione di padre Ticozzi aiuta a capire l’atteggiamento di chi, come il cardinale Zen, invitando a non tacere sulle persecuzioni e sulle violenze, che comunque avvengono anche oggi, esorta la diplomazia vaticana a non essere troppo ottimista verso il regime.
Prima di chiudere, una piccola nota a margine. Nella recente costituzione apostolica «Veritatis gaudium» papa Francesco (lo aveva già fatto nella «Laudato si’»), per esortare a un cambiamento deciso nel modo di proporre il Vangelo al mondo contemporaneo, utilizza proprio l’espressione «rivoluzione culturale». Non c’è ovviamente nessunissimo legame con la Cina, perché il contesto è totalmente diverso. Nondimeno, sia consentito a uno della mia generazione di esprimere disagio per l’uso di un’espressione sinonimo di morte e persecuzione per tanti fratelli nella fede.
Aldo Maria Valli
OSCURI PRESAGI
Papa Francesco e la de-cattolicizzazione della Chiesa: "Presto la rivolta degli ortodossi"
Sulla contesa che contrappone il Vaticano alla Cina, si esprime su Il Tempo Alessandro Meluzzi. "La grande riconciliazione (voluta da Papa Francesco, ndr) consisterà probabilmente in una sanatoria dei vescovi patriottici, in una consolazione blanda per la Chiesa perseguitata e alla fine il nulla osta per lo Stato cinese nell'elezione dei vescovi cinesi", scrive Meluzzi.
"A ben vedere - prosegue - questo precedente canonico spalanca la porta ad una singolare de-cattolicizzazione della Chiesa romana. Infatti, il riconoscimento di una chiesa interamente autocefala con probe successioni apostoliche interne sotto il controllo dello Stato locale e al quale viene dato tutt'al più un riconoscimento a posteriorial papa di Roma assomiglia a quell'organizzazione che le chiese ortodosse conoscono bene fin dalla nascita dell'autocefalia con ruolo d'onore al primato di Costantinopoli ma con un sostanziale auto-governo delle singole chiese".
Parole pesanti, quelle di Meluzzi, che parla chiaro e tondo di "de-cattolicizzazione della chiesa romana". E ancora: "È una grande novità. Ma non credo che la maggior parte dei cattolici tradizionalisti, o semplicemente ancorati al diritto canonico, ne sarebbe soddisfatta. Come ortodosso, non oso spingere le mie osservazioni più in là ma certamente bisognerebbe che ci fosse chiarezza in questa vicenda", conclude.
Leggi anche: Le nuove prove che fanno crollare Papa Francesco
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Cina. Vergogna e tradimento. I vescovi di regime accettati non sono due ma sette
Seguiamo con apprensione la questione cinese. Il grido di allarme sollevato dal Cardinale Zen, riguardo "l'invito" rivolto dal Vaticano a due vescovi cattolici di cedere il posto a due vescovi collaboratori del regime, ha provocato una reazione stizzita da parte della Segreteria di Stato. Forse si aspettavano di farla franca, ma Zen non è tipo che si può liquidare come fanno di solito, con un'alzata di spalle. Si può forse accusare questo ottantenne, in prima fila contro una dittatura sanguinaria, di voler creare confusione e polemiche? I tizi che attualmente controllano il Vaticano lo hanno fatto, ma è palese che il problema lo creino loro, accettando che un regime comunista, violento, sanguinario, che tuttora perseguita i cristiani, li incarcera e li fa sparire, nomini dei vescovi.
La stampa progressista intanto esulta, perché i vescovi non sono due ma sette. La motivazione ridicola è che "Si tratterebbe di una concessione che la Santa Sede spera possa portare Pechino a riconoscere l'autorità del Pontefice sulla Chiesa cattolica nel grande paese asiatico, gettando così le basi per la fine del lungo gelo dei rapporti bilaterali".
E' logico pensare che riconoscano l'autorità di un Papa che si fa nominare i vescovi dagli altri?
E' chiaro che siamo di fronte ad una svendita totale della Chiesa, un tradimento. Uno sputo in faccia ai martiri di tutte le epoche e a chi soffre tutt'ora per la distruzione della propria vita per via della propria fede.
Questa accettazione dei vescovi collaborazionisti cinesi è una carognata che getta il pontificato bergogliano nel buio profondo, nella notte della fede, nel baratro della vergogna.
È chiaro che queste mosse rispondono a logiche che non conosciamo, risalenti certamente ai motivi che portarono al conclave del 2013.
La lettera del Cardinale Zen
La risposta del Vaticano
Intervista a Parolin
Alcuni commenti comparsi su altri spazi (l'elenco verrà aggiornato)
1- La lunga marcia vaticana verso la resa alla Cina (NBQ Cascioli, Febbraio 2018)
2 -La Cina non cambierà. Vaticano troppo ottimista (NBQ Porfiri, Febbraio 2018)
3 - Il dramma dei cristiani cinesi (Cepc. Febbraio 2018)
4 - Zen: i comunisti cinesi hanno paura di nostra signora di Fatima (Tempi. Maggio 2017)
La stampa progressista intanto esulta, perché i vescovi non sono due ma sette. La motivazione ridicola è che "Si tratterebbe di una concessione che la Santa Sede spera possa portare Pechino a riconoscere l'autorità del Pontefice sulla Chiesa cattolica nel grande paese asiatico, gettando così le basi per la fine del lungo gelo dei rapporti bilaterali".
E' logico pensare che riconoscano l'autorità di un Papa che si fa nominare i vescovi dagli altri?
E' chiaro che siamo di fronte ad una svendita totale della Chiesa, un tradimento. Uno sputo in faccia ai martiri di tutte le epoche e a chi soffre tutt'ora per la distruzione della propria vita per via della propria fede.
Questa accettazione dei vescovi collaborazionisti cinesi è una carognata che getta il pontificato bergogliano nel buio profondo, nella notte della fede, nel baratro della vergogna.
È chiaro che queste mosse rispondono a logiche che non conosciamo, risalenti certamente ai motivi che portarono al conclave del 2013.
La lettera del Cardinale Zen
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