https://www.culturacattolica.it/cm-files/img/2016/12/07/39504-o.jpg |
La sindrome di Giuda
I suoi fratelli, vedendo che era amato dal padre più di tutti i figli, lo odiavano e non potevano parlargli pacificamente (Gen 37, 4).
La storia di Giuseppe, figlio di Giacobbe, oggetto di invidia e di odio da parte dei fratelli a motivo della predilezione paterna per il figlio avuto in vecchiaia, può fornirci una chiave interpretativa del rigetto delle autorità giudaiche nei confronti di Gesù. Per molti versi, in effetti, l’antico Giuseppe è una prefigurazione del Messia: la sua dolorosa storia di ingiusta esclusione si risolverà infatti nella salvezza di tutta la famiglia, una volta che la Provvidenza lo avrà dapprima condotto in Egitto come schiavo, poi elevato alla seconda carica del regno dopo il faraone. Anche la sua inalterabile mitezza e il suo eroico perdono fanno intravedere i tratti del Salvatore, che in tutto l’Antico Testamento traspare attraverso fatti e parole di cui era il segreto autore.
Il rifiuto del Profeta galileo non può certamente spiegarsi soltanto in base a considerazioni umane, ma è comunque necessario che gli uomini, nella loro libertà, offrano un supporto all’azione del mondo diabolico. La preoccupazione di preservare la religione da evenienze che potessero metterne in pericolo la sopravvivenza è fin troppo comprensibile per chi su quel culto aveva fondato il proprio potere e la propria fortuna, ma risulta insufficiente come motivazione, specie se si pensa che non servì a evitare, quarant’anni dopo, la catastrofica rivolta che finì con la distruzione del Tempio e la deportazione del popolo, mentre la classe sacerdotale era già stata massacrata dagli zeloti stessi per collaborazionismo con i Romani. Ciò che di Gesù risultava alle autorità davvero insopportabile era la relazione inaudita ed esclusiva con Dio che dimostrava nei discorsi e nelle azioni: nessun uomo si era mai neanche sognato che fosse possibile qualcosa del genere.
In termini più generali, si tratta di quel peccato contro lo Spirito Santo che il catechismo designa come invidia della grazia altrui. È un male che colpisce soprattutto le persone più religiose e osservanti, intimamente convinte di aver acquisito un diritto nei confronti di Dio. Il fatto che qualcuno le superi in grazia, magari senza i loro presunti titoli di merito, può renderle furiose, anche se, spesso, non lo ammettono neanche di fronte a sé stesse: sarebbe troppo disdicevole e contrario al mito che si sono costruite addosso. Immaginatevi il ceto colto e benpensante di Gerusalemme che si vede di colpo surclassato da un predicatore spuntato dall’oscura Nazareth, che nelle Scritture non è neppure nominata… Adonai non poteva far loro un torto così indecoroso: bisognava giocoforza concludere che il taumaturgo non fosse altro che un impostore.
E Giuda? Quel povero Giuda che, ultimamente, ci si affanna tanto a riabilitare, quasi non fosse stato colpevole di nulla? Non basta pensare che fosse rimasto deluso nelle sue ambizioni politiche; l’odio che spinge al tradimento scaturisce da regioni più profonde del guasto cuore umano. Nel suo atto c’è qualcosa di luciferino, un sentimento analogo a quello dell’angelo che rimpianse di non essere Dio e che, al riconoscimento umile e riconoscente della propria condizione di creatura di fronte a Lui, preferì la dannazione per pura superbia. Il pentimento che indusse il traditore a restituire la ricompensa ai sommi sacerdoti non poteva essere genuino se, subito dopo, la disperazione lo portò al suicidio: da uomo orgoglioso che esigeva un riconoscimento da Dio, egli non poteva ammettere un atto di perfidia tale da distruggere la sua autostima, ma l’invidia della figliolanza di Gesù gli impedì di pensare alla possibilità del perdono che quest’ultimo avrebbe potuto ottenergli.
Scagionare Giuda dal tradimento, Pietro dal rinnegamento e gli altri Apostoli dalla fuga significa ridurre gli uomini a burattini inconsapevoli di un piano di salvezza che Dio avrebbe realizzato arbitrariamente sulle loro teste senza coinvolgerli in modo personale, nella loro responsabilità e con il loro merito, seppure relativo e conseguente alla grazia, che è gratuita per essenza. È chiaro che le loro azioni hanno concorso alla realizzazione dell’opera salvifica perché il Signore si è servito di esse, per quanto intrinsecamente cattive, per compiere il proprio Sacrificio, ma ciò non annulla la loro colpevolezza, altrimenti non sarebbero più atti umani. La misericordia non riduce l’uomo a un ebete o a un bruto che non sia in grado di rispondere delle proprie scelte, ma è una volontà benevola che non si arresta nemmeno di fronte al peggiore peccato possibile e, anzi, lo trasforma in occasione di salvezza per quegli stessi che l’hanno commesso.
Come chiunque può riconoscere con il semplice buon senso, questo fatto non autorizza certo a peccare impunemente né scusa il peccatore, il quale, essendo l’autore dei propri atti liberi, ne è e rimane responsabile. Per questo anche i redenti devono espiare in Purgatorio le loro colpe, che pur sono già incluse nell’infinito valore soddisfattorio della Passione: con la Sua sofferenza e morte, il Redentore ha sanato l’offesa a Dio, ma non ha eliminato la colpevolezza individuale (che non può essere annullata). Oltretutto si tratta di peccati commessi da chi, con la grazia del Battesimo e degli altri Sacramenti, potrebbe e dovrebbe essere un santo, anziché continuare a offendere Chi lo ha creato e redento; non parliamo poi di chi si pone in una situazione pubblica e stabile di peccato grave che contraddice radicalmente la volontà di quel Dio di cui è diventato figlio.
Alla fine viene il sospetto che tutta questa imbarazzante gara a scusare e difendere Giuda non sia altro che un elemento qualificante di quell’opera di sistematica demolizione della morale cattolica che da cinque anni procede inesorabile. Come già accennavo, però, la visione dell’uomo da essa sottesa è quella di un povero incapace da cui non si può esigere nulla e a cui non si possono porre condizioni di alcun genere. Questa, tuttavia, non è la visione della Chiesa nella sua Scrittura e nella sua Tradizione, la cui stima della creatura fatta a immagine e somiglianza di Dio non l’ha condotta a farne un idolo, bensì a redarguirla e correggerla in nome della sua stessa dignità. Se questi, d’altronde, sono i frutti del culto dell’uomo, ridotto in ultima analisi a un minus habens, abbiamo un motivo in più per farne volentieri a meno…
Quelli che vogliono dare i Sacramenti a tutti, in realtà, non li trattano da persone, cioè da esseri dotati di coscienza e libero arbitrio. Dio concede a tutti la grazia, ma la grazia ha bisogno di essere liberamente accolta con la conversione e la fede, che presuppongono l’adesione alla parola divina e la decisione di riorientare la propria esistenza in conformità ad essa; altrimenti la grazia va a vuoto. È vero che la grazia è di per sé infallibile e onnipotente, ma permane pur sempre il mistero della possibile resistenza umana, fino al rifiuto. Giuda e tutti i dannati sono all’Inferno appunto per aver rifiutato la grazia, cosa che chiunque può fare: è un’eventualità terribile, ma oltremodo reale. Alimentare nei fedeli una falsa tranquillità a questo riguardo significa dar loro uno spintone sul ciglio dell’abisso. Che razza di misericordia è questa?
Rimane la domanda circa il motivo per cui i falsi Pastori divulgano con tanta insistenza questa “riedizione” del Vangelo riveduta e corretta, quasi a voler apparire migliori di Gesù. Non sarà mica perché, sotto sotto, ne sono invidiosi e, di fatto, lo odiano per quello che è? Non c’è niente di peggio che rendersi conto di avere a che fare con il Santo in assoluto senza voler farsi santi, dato che troppi sono i compromessi, i cedimenti, i raggiri, i sofismi e i peccati che, a forza di ambiguità e di mezze misure spacciate per rinnovamento, hanno riempito la vita, l’anima e il cuore. Allora, per non esser costretti ad ammettere di dover cambiare, bisogna eliminare il Santo o, per lo meno, neutralizzarlo con una fisionomia fittizia, inventata a tavolino come la nuova Messa, i nuovi catechismi, la nuova pastorale e tutto il resto… che a questo punto, a quanto pare, di nuovo hanno ben poco.
«Scostatevi dalla retta via, uscite dal sentiero, toglieteci dalla vista il Santo di Israele». […] Eppure il Signore aspetta per farvi grazia, per questo sorge per aver pietà di voi, perché un Dio giusto è il Signore; beati coloro che sperano in lui! (Is 30, 11.18).
Pubblicato da Elia
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.