Sodoma alla corte del Gius.
Possiamo iniziare da Testori. Strana figura di letterato di famiglia industriale, già collaboratore di riviste dei Gruppi Universitari Fascisti, Testori nel dopoguerra non faceva mistero della sua condizione di invertito. La sua opera teatrale più nota, l’Arialda, scandalizzava già nel 1960 per le venature inequivocabilmente omoerotiche; scattò giustamente la censura, ma viste le proteste – tra cui spiccava il nome dell’altro grande artista sodomista del dopoguerra, Luchino Visconti – nel 1961 si riuscì a portarla in scena, per la regia dello stesso Visconti.
La storia racconta poi di come Testori incontrò CL, e da essa si sentì accettato «nonostante la condizione di omosessuale». Cioè, par di capire, che don Giussani e i suoi mai gli chiesero di cambiare strada. In un articolo di qualche anno fa sul Corriere della Sera, Sebastiano Grasso ricorda i lati problematici, distruttivi, del carattere di Testori: «il suo forte temperamento si manifestava anche nella vendetta. Quando scagliava i suoi anatemi contro qualcuno, c’era da tremare. (…) se i danni c’erano stati, e in maniera irreparabile, anche se seguiva sempre la fase del pentimento, non c’era più niente da fare (…) come quando, in collera con Luchino Visconti, colpevole di avere insidiato uno dei suoi amori, andò nella tipografia dove sui banconi erano disposte le pagine, composte a piombo, del suo libro dedicato al regista e a bracciate le rovesciò per terra, urlando: “Ti maledico, ti maledico”».
Eppure, di CL Testori divenne l’intellettuale di punta, tanto da raccontare la sua conversione in numerosi numeri della scomparsa rivista ciellina Il Sabato. Da buon milanese ricco, trovò il modo di aver spazio anche sul Corriere, dove il suo disordine pulsionale e filosofico usciva con ancor più possanza. Come quando recensendo lo scultore Giacometti, ritenne di mettere in esergo una frase di un altro nume tutelare dell’omosessualismo letterario, Jean Genet: «Non esiste, per la bellezza, altra origine che la ferita». Suona quasi come la parola, apodittica e imperativa, di don Giussani, invece è la lucida condanna, orrenda e disperatissima, della gaia esistenza e del gaio sentire tutto. Un sentire che diviene una ricerca dello schifo e dell’abiezione, sino a quella necrofilia che si trova nella pellicola Salò o le 120 giornate di Sodomadiretta da un altro mito di CL, Pier Paolo Pasolini.
La carcassa di Testori.
In codesta spirale mortale, non possiamo non ricordare le parole dello stesso Giussani scritte per Il Sabato il 22 agosto 1992, dove difendeva la bontà nascosta persino nella filosofia e nella letteratura anticristiana «foss’anche un sottilissimo filo dentro un enorme groviglio o la bianca dentatura della carcassa marcita di un cane». Immaginiamo che Giussani trovò nel perverso Testori questo sottilissimo filo. Che rimase tale. Anche negli ultimi anni, sulla natura e sulle attività extrareligiose di Testori scrisse parole inequivocabili Aldo Busi nel libro Sentire le Donne (1991). Ivi è raccontato l’incontro, ricercato fors’anche per motivi poco letterari indicati appena sotto, con la colonna ciellina.
Busi era al Meeting per conto dell’Espresso e racconta: «Giovanni Testori, drammaturgo, critico d’arte, noto pentito di essere nato, tutto un teatrino secolare di sangue, sperma e colpa poco originale, che ha avuto più apparizioni lui della Madonna che non tutte le carovane di marconiste che vanno a Medjugorje, e filosofo di appoggio del movimento in questione. Testori fa parte di quei maicontenti e atrofizzati sessuali alla Pasolini e alla Genet che andando a uomini non si accontentano di sentire il sangue circolare, hanno bisogno di vederlo sgorgare: in questa loro limitatezza emozionale, molto cattolica e molto stereotipata, sta forse il limite estetico della loro opera» (…) «Ma toh! Testori è lì a pochi metri da me, nella tribuna allestita in piazza Malatesta gremita di folla, solo, calvo e bellissimo, me l’aveva già descritto il mio amico gerontofilo che c’è stato assieme». (Segue parte blasfema che risparmiamo ai nostri lettori, ndr). “Come si fa, secondo lei, a conciliare senso di colpa cattolico e omosessualità? Il tempo, dunque, non passa mai o solo per niente?” Lui gira persino la testa dall’altra parte, come a chiedere aiuto, fissa lo sguardo sulla scenografia abbarbicata sulla rocca e fa parlando davanti a sé: “Non desidero rispondere alle sue domande”».
L’incontro lasciò il segno, ne parlarono altri giornali, perché pare che l’omosessuale bresciano all’omosessuale ciellino urlò altre sconcezze, diciamo degli inviti, personali. «Mi considero un povero sventurato che tenta di vivere nel modo meno schifoso possibile» disse Testori secondo la ricostruizione mandata allora in stampa da Repubblica.
Su quel «meno schifoso possibile» ci sarebbe molto da riflettere. Soprattutto dopo che, nel 1988, mandò in scena il suo testamento letterario e teatrale, In Exitu. Per chi non conoscesse la pièce, che all’epoca lasciò molti allibiti, si tratta del racconto delle ultime ore di un tossicodipendente omosessuale, che maledice il mondo prima di spirare. Fu presentato alla Stazione Centrale, proprio dove a quel tempo i tossici, anche non omosessuali ma all’omofilia mercenaria costretti, si vendevano per poche lire, sperando di racimolare quel che serviva per comperare una dose. Il protagonista divenne poi una sorta di attore feticcio di Testori, Franco Branciaroli, casualmente attore feticcio anche di Tinto Brass.
Testori, come del resto Formigoni, è principe dei siti gay, in ispecie quelli che allestiscono rassegne di opere a tema omosessista. Questo avviene perché gli spettacoli dello scrittore cielloide ancora oggi rappresentati contengono quel delirio violento che non manca in tanta letteratura e cinematografia gay: si pensi all’Erodiadetestoriana, che termina con atti di cannibalismo.
Archeologia del poeta pedofilo.
Si è parlato giustamente di un idem sentire col Pier Paolo Pasolini di Salò. Non stupirà quindi sapere che un grande lavoro di recupero dello scrittore, regista e poeta furlano – colui che definiva la famiglia «un piccolo patto criminale» – fu fatto proprio dal ciellista Amicone, direttore del sito Tempi, che un tempo era settimanale (il titolo, pensiamo, è un omaggio alla rivista Times, che curiosamente si è scoperto di recente essere un’operazione della CIA, un po’ come si è detto di CL).
Recatosi nelle terre del poeta – ove nel primo dopoguerra, raccontano le carte del processo, molestò oscenamente alcuni bambini alla sagra di paese – Amicone scoperse alcune poesie inedite, che poi furono incluse nella raccolta edita da Garzanti titolata Bestemmia.
La bestemmia è un altro punto in comune con Testori, che diceva: «ma io credo che anche le ribellioni, le bestemmie – quelle con cui io stesso ho sconvolto la mia vita – quelle vere hanno al fondo uno strazio di dolcezza». E altrove poetava ancora più sconcio e blasfemo «T’ho amato con pietà / Con furia T’ho adorato / T’ho violato, sconciato / bestemmiato / Tutto puoi dire di me / Tranne che T’ho evitato». Gira che ti rigira, anche riguardo alla bestemmia, alla fin fine sempre lì si va a finire: «t’ho violato…». La violenza, la degradazione, la decadenza…
L’amicone del leopardo.
Ma le vicende che intrecciano Amicone e l’omosessualità sono anche meno risalenti, e più agrodolci. Nel lontano Meeting 2013, ll Fatto quotidiano scoprì che il sito Bussola Quotidiana e Tempi avevano allestito una raccolta firme per arginare l’allora minacciosissimo ddl Scalfarotto per l’introduzione del reato di omofobia in Italia. Davanti alla possibilità di uno scandalo per i benpensanti televisivi per i quali il Meeting è stato creato («CL omofoba!»), la direzione del Meetingone scaricò subito il duo, che venne abbandonato come si fa con i cani nell’autostrada lì adiacente. L’Amicone apparve instantaneamente su La7 per un mea culpa con coda fra le gambe: par di ricordare disse qualcosa come «CL non c’entra niente… e poi qui siamo tutti contro l’omofobia».
Di fatto, Amicone proprio omofobo non deve esserlo, se rammentiamo come al termine dello stesso anno, dopo averli difesi dalla magagna fiscale da un miliardo di euro in cui sono incappati, ha fornito ai re del Leopardato Dolce&Gabbana la possibilità di scrivere un Te deum per il fine anno di Tempi. Giova rimembrar come il Gabbana abbia plurime volte dichiarato di essere alla cerca di un utero da affittare. Per chi ha memoria visiva, son indimenticabili i loro cartelloni pubblicitari che rappresentavano stupri di gruppo, o anche quelle foto dove apparivan nudi sul letto con i tacchi a spillo. L’ingrato Gabbana, pochi mesi dopo intervistato a fine sfilata, ha detto che il celeberrimo Convegno alla Regione di Milano «Difendere la famiglia per difendere la comunità» (gennaio 2015) – moderato ovviamente da Amicone – era una «pagliacciata».
Teoria/prassi: Mercedes verso l’abisso.
La cosa bella è che quel convegno si svolse nell’infinito grattacielo della Regione Lombardia, una sorta di Torre di Babele ciellina fatta ergere per l’appunto dal «Celeste» Formigoni, in un amplissimo spazio chiamato «Auditorium Testori». Gulp. Ironia della storia? Coincidenza significativa? Ancora più pregnante, in effetti, che in prima fila, a spellarsi le mani dagli applausi agli eroi della kermesse apparentemente antiomosessualista, vi fosse proprio don Inzoli, detto con simpatia «Don Mercedes». Don Inzoli, per chi non lo sapesse, è quel sacerdote, ora ridotto da Bergoglio allo stato laicale, entrato in carcere quest’anno per abusi su minori – cioè condannato per pedofilia. Secondo la Cassazione, tra il 2004 e il 2008 (e poi…?) egli ha abusato di 5 ragazzi, il più piccolo di 12 anni, il più grande di 16.
Ci fermiamo qui. Con una domanda: La mistica dell’esperienza, il sensismo predicato da Giussani, e abbracciato dai suoi seguaci, può portare all’abisso di decadenza che abbiamo visto? O più diretti: Testori e Inzoli sono la teoria e la pratica?
– di Roberto Dal Bosco
By Redazione On 24 agosto 2018 · Add Commenthttps://www.riscossacristiana.it/meeting-di-rimini-2018-comunione-e-liberazione-dallomoeresia-allomortodossia-di-roberto-dal-bosco/
Io gay dico: “se la Chiesa vuole mostrare vero rispetto, porti Cristo, non il falso conforto di padre Martin”
Mi ha molto colpito questa testimonianza di Joseph Sciambra, omosessuale, una testimonianza che nasce dalla carne, la sua. Per usare le sue parole, una possente denuncia contro il “falso conforto di padre James Martin”.
Eccola nella mia traduzione.
Non sapevo bene perché volevo vederlo. E’ stato durante l’apice della crisi dell’AIDS, ed ero terrorizzato, perché in quel tempo ero fuori di me. Ero un ragazzino triste e solo, senza amici maschi o modelli di ruolo. Avevo abbandonato la fede cattolica, ma volevo parlare con un uomo – qualsiasi uomo – e non sapevo dove altro andare. Nervosamente farfugliando poche semplici parole, mi sono seduto nel confessionale ed ho detto al sacerdote: “Sono gay“. Il sacerdote mi assicurò che Dio aveva capito. Dio mi aveva “fatto così“. Il suo tentativo di compassione e comprensione portò alla luce ricordi delle mie classi di “religione” di scuola media e superiore, durante le quali era stato sottolineato il primato della coscienza. Secondo il sacerdote, avrei dovuto praticare “sesso sicuro“. Questo era il ruolo proprio della coscienza: doveva indurmi ad agire “responsabilmente“.
Meno di due anni dopo, sono entrato nel quartiere Castro di San Francisco. Per un po’ di tempo, ho giocato al sicuro; più tardi, non l’ho fatto. Dopo qualche anno, in un momento in cui la mia vita non andava così bene, parlai con un altro sacerdote. Egli mi offrì lo stesso consiglio che mi aveva dato il primo sacerdote, ma aggiunse che avevo bisogno di stabilizzarmi con un partner. Ho provato anche questo. Ma non credo di aver fatto grandi cambiamenti nello stile di vita sulla base di quello che mi avevano detto questi sacerdoti. Per la maggior parte, la mia mente era già definita: credevo di essere nato gay. Che qualche Dio mi avesse fatto così o meno, non mi importava molto. In un certo senso, questi sacerdoti avevano facilitato la mia vita confermando ciò che già pensavo. Eppure a sedici anni, quando parlai con quel primo sacerdote, avevo segretamente voluto che dicesse qualcos’altro. Avevo voluto che fosse forte – Avevo voluto che mi salvasse da me stesso.
Oggi (cioè ieri, ndr) il celebre sacerdote James Martin, S.J. parla al World Meeting of Families di Dublino, Irlanda. Il tema della sua presentazione è “Mostrare accoglienza e rispetto nelle nostre parrocchie per le persone LGBT e le loro famiglie“. Nel suo libro Costruire un ponte: Come la Chiesa cattolica e la comunità LGBT possono entrare in un rapporto di rispetto, compassione e sensibilità, Martin loda il Catechismo per aver detto che gli omosessuali devono essere trattati con “rispetto, compassione e sensibilità” e che “ogni segno di ingiusta discriminazione deve essere evitata“. In superficie, il messaggio di James Martin appare compassionevole e sensibile.
In realtà, è conflittuale e confuso. Pur lodando l’appello del Catechismo alla sensibilità, Martin lo denuncia anche come “inutilmente offensivo“ nei confronti degli omosessuali perché descrive l’omosessualità come intrinsecamente disordinata. Martin ha proposto che il Catechismo adotti invece la frase “diversamente ordinato”.
Ma se quella frase fosse stata nel Catechismo quando sono tornato nella Chiesa cattolica dopo anni di vita nel peccato, sarei tornato solo alla mia morte. Dopo aver vissuto per più di un decennio come omosessuale sessualmente attivo, finalmente ho cercato Cristo come un uomo spezzato e umiliato. La mia salute era peggiorata. Avevo visto i miei amici morire di AIDS e ho capito che ero il successivo. Ma anche allora avevo paura di andarmene. Dove andare? Fortunatamente, ho trovato che potevo andare a casa. Anche se ogni sacerdote che ho incontrato presumeva che avrei dovuto continuare nel mio peccato, i miei genitori non lo hanno mai fatto. Mi hanno dato un posto per guarire.
Per un po’ di tempo ho lottato con il Catechismo e con Dio. Mi sono reso conto che l’attività omosessuale è sbagliata. Ho potuto vedere la natura distruttiva del sesso gay nel mio corpo in frantumi. Ma non potevo accettare che, durante tutti quegli anni trascorsi in un paese lontano, le mie sofferenze fossero state vane, che innumerevoli uomini gay fossero morti per niente, che tutti noi avessimo ceduto a una menzogna. Eppure lo abbiamo fatto. Nella mia epoca, alcuni ascoltavano la menzogna attraverso la cultura popolare, sulla scia di “Y.M.C.A.” (brano musicale, vedi sotto, ndr), che prometteva cameratismo maschile per quelli abbastanza coraggiosi da seguire Madonna e “Express Yourself”.
I sacerdoti superficialmente premurosi e compassionevoli che avevo incontrato in gioventù, infatti, non avevano fatto nulla per aiutarmi. Invece di dirmi la verità – che gli atti omosessuali sono intrinsecamente disordinati – mi hanno dato delle pacche sulla schiena e mi hanno lasciato andare sulla mia strada. Invece di chiamarmi al celibato e incoraggiarmi a vivere una vita casta, mi hanno lasciato come mi hanno trovato: confuso. Le parole di questi sacerdoti, pronunciate a un giovane con pochissima fede, hanno permesso a quell’uomo di rimanere nel peccato mortale per anni, non pentito e separato da Dio.
Se questo consiglio sacerdotale può così danneggiare la vita di un giovane, immaginate il danno che le parole di padre Martin faranno agli innumerevoli giovani che partecipano sinceramente all’Incontro Mondiale delle Famiglie. Se la Chiesa vuole mostrare vero rispetto, compassione e sensibilità verso le persone omosessuali, deve offrire loro le parole di Cristo – non il falso conforto di padre Martin.
Sabino Paciolla
Fonte: First Thing
https://www.sabinopaciolla.com/io-gay-dico-se-la-chiesa-vuole-mostrare-vero-rispetto-porti-cristo-non-il-falso-conforto-di-padre-martin/
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