ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 24 agosto 2018

La teoria e la pratica?

MEETING DI RIMINI 2018. Comunione e Liberazione: dall’omoeresia all’omortodossia? 



Sodoma alla corte del Gius.
Possiamo iniziare da Testori. Strana figura di letterato di famiglia industriale, già collaboratore di riviste dei Gruppi Universitari Fascisti, Testori nel dopoguerra non faceva mistero della sua condizione di invertito. La sua opera teatrale più nota, l’Arialda, scandalizzava già nel 1960 per le venature inequivocabilmente omoerotiche; scattò giustamente la censura, ma viste le proteste – tra cui spiccava il nome dell’altro grande artista sodomista del dopoguerra, Luchino Visconti – nel 1961 si riuscì a portarla in scena, per la regia dello stesso Visconti.

La storia racconta poi di come Testori incontrò CL, e da essa si sentì accettato «nonostante la condizione di omosessuale». Cioè, par di capire, che don Giussani e i suoi mai gli chiesero di cambiare strada. In un articolo di qualche anno fa sul Corriere della Sera, Sebastiano Grasso ricorda i lati problematici, distruttivi, del carattere di Testori: «il suo forte temperamento si manifestava anche nella vendetta. Quando scagliava i suoi anatemi contro qualcuno, c’era da tremare. (…) se i danni c’erano stati, e in maniera irreparabile, anche se seguiva sempre la fase del pentimento, non c’era più niente da fare (…) come quando, in collera con Luchino Visconti, colpevole di avere insidiato uno dei suoi amori, andò nella tipografia dove sui banconi erano disposte le pagine, composte a piombo, del suo libro dedicato al regista e a bracciate le rovesciò per terra, urlando: “Ti maledico, ti maledico”».
Eppure, di CL Testori divenne l’intellettuale di punta, tanto da raccontare la sua conversione in numerosi numeri della scomparsa rivista ciellina Il Sabato. Da buon milanese ricco, trovò il modo di aver spazio anche sul Corriere, dove il suo disordine pulsionale e filosofico usciva con ancor più possanza. Come quando recensendo lo scultore Giacometti, ritenne di mettere in esergo una frase di un altro nume tutelare dell’omosessualismo letterario, Jean Genet: «Non esiste, per la bellezza, altra origine che la ferita». Suona quasi come la parola, apodittica e imperativa, di don Giussani, invece è la lucida condanna, orrenda e disperatissima, della gaia esistenza e del gaio sentire tutto. Un sentire che diviene una ricerca dello schifo e dell’abiezione, sino a quella necrofilia che si trova nella pellicola Salò o le 120 giornate di Sodomadiretta da un altro mito di CL, Pier Paolo Pasolini.
La carcassa di Testori.
In codesta spirale mortale, non possiamo non ricordare le parole dello stesso Giussani scritte per Il Sabato il 22 agosto 1992, dove difendeva la bontà nascosta persino nella filosofia e nella letteratura anticristiana «foss’anche un sottilissimo filo dentro un enorme groviglio o la bianca dentatura della carcassa marcita di un cane». Immaginiamo che Giussani trovò nel perverso Testori questo sottilissimo filo. Che rimase tale. Anche negli ultimi anni, sulla natura e sulle attività extrareligiose di Testori scrisse parole inequivocabili Aldo Busi nel libro Sentire le Donne (1991). Ivi è raccontato l’incontro, ricercato fors’anche per motivi poco letterari indicati appena sotto, con la colonna ciellina.
Busi era al Meeting per conto dell’Espresso e racconta: «Giovanni Testori, drammaturgo, critico d’arte, noto pentito di essere nato, tutto un teatrino secolare di sangue, sperma e colpa poco originale, che ha avuto più apparizioni lui della Madonna che non tutte le carovane di marconiste che vanno a Medjugorje, e filosofo di appoggio del movimento in questione. Testori fa parte di quei maicontenti e atrofizzati sessuali alla Pasolini e alla Genet che andando a uomini non si accontentano di sentire il sangue circolare, hanno bisogno di vederlo sgorgare: in questa loro limitatezza emozionale, molto cattolica e molto stereotipata, sta forse il limite estetico della loro opera» (…) «Ma toh! Testori è lì a pochi metri da me, nella tribuna allestita in piazza Malatesta gremita di folla, solo, calvo e bellissimo, me l’aveva già descritto il mio amico gerontofilo che c’è stato assieme». (Segue parte blasfema che risparmiamo ai nostri lettori, ndr). Come si fa, secondo lei, a conciliare senso di colpa cattolico e omosessualità? Il tempo, dunque, non passa mai o solo per niente?” Lui gira persino la testa dall’altra parte, come a chiedere aiuto, fissa lo sguardo sulla scenografia abbarbicata sulla rocca e fa parlando davanti a sé: “Non desidero rispondere alle sue domande”».
L’incontro lasciò il segno, ne parlarono altri giornali, perché pare che l’omosessuale bresciano all’omosessuale ciellino urlò altre sconcezze, diciamo degli inviti, personali. «Mi considero un povero sventurato che tenta di vivere nel modo meno schifoso possibile» disse Testori secondo la ricostruizione mandata allora in stampa da Repubblica.
Su quel «meno schifoso possibile» ci sarebbe molto da riflettere. Soprattutto dopo che, nel 1988, mandò in scena il suo testamento letterario e teatrale, In Exitu. Per chi non conoscesse la pièce, che all’epoca lasciò molti allibiti, si tratta del racconto delle ultime ore di un tossicodipendente omosessuale, che maledice il mondo prima di spirare. Fu presentato alla Stazione Centrale, proprio dove a quel tempo i tossici, anche non omosessuali ma all’omofilia mercenaria costretti, si vendevano per poche lire, sperando di racimolare quel che serviva per comperare una dose. Il protagonista divenne poi una sorta di attore feticcio di Testori, Franco Branciaroli, casualmente attore feticcio anche di Tinto Brass.
Testori, come del resto Formigoni, è principe dei siti gay, in ispecie quelli che allestiscono rassegne di opere a tema omosessista. Questo avviene perché gli spettacoli dello scrittore cielloide ancora oggi rappresentati contengono quel delirio violento che non manca in tanta letteratura e cinematografia gay: si pensi all’Erodiadetestoriana, che termina con atti di cannibalismo.
Archeologia del poeta pedofilo.
Si è parlato giustamente di un idem sentire col Pier Paolo Pasolini di Salò. Non stupirà quindi sapere che un grande lavoro di recupero dello scrittore, regista e poeta furlano – colui che definiva la famiglia «un piccolo patto criminale» – fu fatto proprio dal ciellista Amicone, direttore del sito Tempi, che un tempo era settimanale (il titolo, pensiamo, è un omaggio alla rivista Times, che curiosamente si è scoperto di recente essere un’operazione della CIA, un po’ come si è detto di CL).
Recatosi nelle terre del poeta – ove nel primo dopoguerra, raccontano le carte del processo, molestò oscenamente alcuni bambini alla sagra di paese – Amicone scoperse alcune poesie inedite, che poi furono incluse nella raccolta edita da Garzanti titolata Bestemmia.
La bestemmia è un altro punto in comune con Testori, che diceva: «ma io credo che anche le ribellioni, le bestemmie – quelle con cui io stesso ho sconvolto la mia vita – quelle vere hanno al fondo uno strazio di dolcezza». E altrove poetava ancora più sconcio e blasfemo «T’ho amato con pietà / Con furia T’ho adorato / T’ho violato, sconciato / bestemmiato / Tutto puoi dire di me / Tranne che T’ho evitato». Gira che ti rigira, anche riguardo alla bestemmia, alla fin fine sempre lì si va a finire: «t’ho violato…». La violenza, la degradazione, la decadenza…
 L’amicone del leopardo.
Ma le vicende che intrecciano Amicone e l’omosessualità sono anche meno risalenti, e più agrodolci. Nel lontano Meeting 2013, ll Fatto quotidiano scoprì che il sito Bussola Quotidiana Tempi avevano allestito una raccolta firme per arginare l’allora minacciosissimo ddl Scalfarotto per l’introduzione del reato di omofobia in Italia. Davanti alla possibilità di uno scandalo per i benpensanti televisivi per i quali il Meeting è stato creato («CL omofoba!»), la direzione del Meetingone scaricò subito il duo, che venne abbandonato come si fa con i cani nell’autostrada lì adiacente. L’Amicone apparve instantaneamente su La7 per un mea culpa con coda fra le gambe: par di ricordare disse qualcosa come «CL non c’entra niente… e poi qui siamo tutti contro l’omofobia».
Di fatto, Amicone proprio omofobo non deve esserlo, se rammentiamo come al termine dello stesso anno, dopo averli difesi dalla magagna fiscale da un miliardo di euro in cui sono incappati, ha fornito ai re del Leopardato Dolce&Gabbana la possibilità di scrivere un Te deum per il fine anno di Tempi. Giova rimembrar come il Gabbana abbia plurime volte dichiarato di essere alla cerca di un utero da affittare. Per chi ha memoria visiva, son indimenticabili i loro cartelloni pubblicitari che rappresentavano stupri di gruppo, o anche quelle foto dove apparivan nudi sul letto con i tacchi a spillo. L’ingrato Gabbana, pochi mesi dopo intervistato a fine sfilata, ha detto che il celeberrimo Convegno alla Regione di Milano «Difendere la famiglia per difendere la comunità» (gennaio 2015)  – moderato ovviamente da Amicone – era una «pagliacciata».
Teoria/prassi: Mercedes verso l’abisso.
La cosa bella è che quel convegno si svolse nell’infinito grattacielo della Regione Lombardia, una sorta di Torre di Babele ciellina fatta ergere per l’appunto dal «Celeste» Formigoni, in un amplissimo spazio chiamato «Auditorium Testori». Gulp. Ironia della storia? Coincidenza significativa? Ancora più pregnante, in effetti, che in prima fila, a spellarsi le mani dagli applausi agli eroi della kermesse apparentemente antiomosessualista, vi fosse proprio don Inzoli, detto con simpatia «Don Mercedes». Don Inzoli, per chi non lo sapesse, è quel sacerdote, ora ridotto da Bergoglio allo stato laicale, entrato in carcere quest’anno per abusi su minori – cioè condannato per pedofilia. Secondo la Cassazione, tra il 2004 e il 2008 (e poi…?) egli ha abusato di 5 ragazzi, il più piccolo di 12 anni, il più grande di 16.
Ci fermiamo qui. Con una domanda: La mistica dell’esperienza, il sensismo predicato da Giussani, e abbracciato dai suoi seguaci, può portare all’abisso di decadenza che abbiamo visto? O più diretti: Testori e Inzoli sono la teoria e la pratica?
– di Roberto Dal Bosco
By Redazione On 24 agosto 2018 · Add Commenthttps://www.riscossacristiana.it/meeting-di-rimini-2018-comunione-e-liberazione-dallomoeresia-allomortodossia-di-roberto-dal-bosco/

Io gay dico: “se la Chiesa vuole mostrare vero rispetto, porti Cristo, non il falso conforto di padre Martin”

Mi ha molto colpito questa testimonianza di Joseph Sciambra, omosessuale, una testimonianza che nasce dalla carne, la sua. Per usare le sue parole, una possente denuncia contro il “falso conforto di padre James Martin”.  
Eccola nella mia traduzione.
                                            foto: Joseph Sciambra
All’età di sedici anni, dopo un’indifferente educazione cattolica, mi sono recato inspiegabilmente in visita al sacerdote locale.
Non sapevo bene perché volevo vederlo. E’ stato durante l’apice della crisi dell’AIDS, ed ero terrorizzato, perché in quel tempo ero fuori di me. Ero un ragazzino triste e solo, senza amici maschi o modelli di ruolo. Avevo abbandonato la fede cattolica, ma volevo parlare con un uomo – qualsiasi uomo – e non sapevo dove altro andare. Nervosamente farfugliando poche semplici parole, mi sono seduto nel confessionale ed ho detto al sacerdote: “Sono gay“. Il sacerdote mi assicurò che Dio aveva capito. Dio mi aveva “fatto così. Il suo tentativo di compassione e comprensione portò alla luce ricordi delle mie classi di “religione” di scuola media e superiore, durante le quali era stato sottolineato il primato della coscienzaSecondo il sacerdote, avrei dovuto praticare sesso sicuro“. Questo era il ruolo proprio della coscienza: doveva indurmi ad agire “responsabilmente“.
Meno di due anni dopo, sono entrato nel quartiere Castro di San Francisco. Per un po’ di tempo, ho giocato al sicuro; più tardi, non l’ho fatto. Dopo qualche anno, in un momento in cui la mia vita non andava così bene, parlai con un altro sacerdote. Egli mi offrì lo stesso consiglio che mi aveva dato il primo sacerdote, ma aggiunse che avevo bisogno di stabilizzarmi con un partner. Ho provato anche questo. Ma non credo di aver fatto grandi cambiamenti nello stile di vita sulla base di quello che mi avevano detto questi sacerdoti. Per la maggior parte, la mia mente era già definita: credevo di essere nato gay. Che qualche Dio mi avesse  fatto così o meno, non mi importava molto. In un certo senso, questi sacerdoti avevano facilitato la mia vita confermando ciò che già pensavo. Eppure a sedici anni, quando parlai con quel primo sacerdote, avevo segretamente voluto che dicesse qualcos’altroAvevo voluto che fosse forte – Avevo voluto che mi salvasse da me stesso.
Oggi (cioè ieri, ndr) il celebre sacerdote James Martin, S.J. parla al World Meeting of Families di Dublino, Irlanda. Il tema della sua presentazione è “Mostrare accoglienza e rispetto nelle nostre parrocchie per le persone LGBT e le loro famiglie“. Nel suo libro Costruire un ponte: Come la Chiesa cattolica e la comunità LGBT possono entrare in un rapporto di rispetto, compassione e sensibilità, Martin loda il Catechismo per aver detto che gli omosessuali devono essere trattati con “rispetto, compassione e sensibilità” e che “ogni segno di ingiusta discriminazione deve essere evitata“. In superficie, il messaggio di James Martin appare compassionevole e sensibile.
In realtà, è conflittuale e confuso. Pur lodando l’appello del Catechismo alla sensibilità, Martin lo denuncia anche come “inutilmente offensivo nei confronti degli omosessuali perché descrive l’omosessualità come intrinsecamente disordinata. Martin ha proposto che il Catechismo adotti invece la frase “diversamente ordinato”.
Ma se quella frase fosse stata nel Catechismo quando sono tornato nella Chiesa cattolica dopo anni di vita nel peccato, sarei tornato solo alla mia morte. Dopo aver vissuto per più di un decennio come omosessuale sessualmente attivo, finalmente ho cercato Cristo come un uomo spezzato e umiliato. La mia salute era peggiorata. Avevo visto i miei amici morire di AIDS e ho capito che ero il successivo. Ma anche allora avevo paura di andarmene. Dove andare? Fortunatamente, ho trovato che potevo andare a casa. Anche se ogni sacerdote che ho incontrato presumeva che avrei dovuto continuare nel mio peccato, i miei genitori non lo hanno mai fatto. Mi hanno dato un posto per guarire.
Per un po’ di tempo ho lottato con il Catechismo e con Dio. Mi sono reso conto che l’attività omosessuale è sbagliata. Ho potuto vedere la natura distruttiva del sesso gay nel mio corpo in frantumi. Ma non potevo accettare che, durante tutti quegli anni trascorsi in un paese lontano, le mie sofferenze fossero state vane, che innumerevoli uomini gay fossero morti per niente, che tutti noi avessimo ceduto a una menzogna. Eppure lo abbiamo fatto. Nella mia epoca, alcuni ascoltavano la menzogna attraverso la cultura popolare, sulla scia di “Y.M.C.A.” (brano musicale, vedi sotto, ndr), che prometteva cameratismo maschile per quelli abbastanza coraggiosi da seguire Madonna e “Express Yourself”.
I sacerdoti superficialmente premurosi e compassionevoli che avevo incontrato in gioventù, infatti, non avevano fatto nulla per aiutarmi. Invece di dirmi la verità – che gli atti omosessuali sono intrinsecamente disordinati – mi hanno dato delle pacche sulla schiena e mi hanno lasciato andare sulla mia strada. Invece di chiamarmi al celibato e incoraggiarmi a vivere una vita casta, mi hanno lasciato come mi hanno trovato: confuso. Le parole di questi sacerdoti, pronunciate a un giovane con pochissima fede, hanno permesso a quell’uomo di rimanere nel peccato mortale per anni, non pentito e separato da Dio.
Se questo consiglio sacerdotale può così danneggiare la vita di un giovane, immaginate il danno che le parole di padre Martin faranno agli innumerevoli giovani che partecipano sinceramente all’Incontro Mondiale delle Famiglie. Se la Chiesa vuole mostrare vero rispetto, compassione e sensibilità verso le persone omosessuali, deve offrire loro le parole di Cristo – non il falso conforto di padre Martin.
Sabino Paciolla
Fonte: First Thing
https://www.sabinopaciolla.com/io-gay-dico-se-la-chiesa-vuole-mostrare-vero-rispetto-porti-cristo-non-il-falso-conforto-di-padre-martin/

Altro che nuove commissioni, la norma c’è già: è il sesto comandamento


E’ incredibile la differenza tra le parole dette ieri all’Incontro Mondiale delle Famiglie dal gesuita padre James Martin (qui) e quelle dette da mons. Charles Pope che vi riporto in questo suo intervento. Dopo aver letto mons. Charles Pope capirete perché siamo arrivati a questo livello e perché sia stato concesso di parlare ad un meeting delle famiglie proprio a padre Martin e non, ad esempio, a Courage.  
Di seguito l’articolo di mons. Pope nella mia traduzione.
Foto: mons. Charles Pope
Foto: mons. Charles Pope
C’è una frase negli Atti degli Apostoli che un tempo trovavo umoristica: così la parola di Dio continuò a diffondersi, e il numero dei discepoli a Gerusalemme continuò a crescere rapidamente. Anche un gran numero di sacerdoti divenne obbediente alla fede. (Atti 6,7) Naturalmente i sacerdoti a cui qui si fa riferimento sono i sacerdoti dell’antico Tempio, i sacerdoti levitici. In passato, tale linea sembrava ironicamente divertente per il cattolico medio che l’ascoltava.
Ma quell’umorismo, nei giorni scorsi, sembra più oscuramente vero e meno ironico. Infatti, negli ultimi vent’anni – e ora, ancora una volta – la reputazione del sacerdozio e dell’episcopato è stata offuscata dagli atti profondamente peccaminosi, immondi, innaturali e inconciliabili di alcuni sacerdoti e vescovi. Hanno danneggiato molte vittime e disonorato il sacerdozio. Hanno commesso grandi mali, spesso ripetutamente e senza che alcuno ne rispondesseMa risponderanno a Dio per quello che hanno fatto.
A ciò si aggiungano le occultazione dei fatti, i pagamenti segreti, la negligenza nel dare seguito a molte lamentele e l’apparente rifiuto di guardare alle vere radici del problema, con il risultato di un totale collasso di ogni credibilità o autorità morale di cui i vescovi e i sacerdoti hanno bisogno per poter efficacemente predicare e insegnare la fede.
So che le parole non possono davvero descrivere la rabbia, il dolore e la delusione dei nostri fedeli laici, molti dei quali hanno cercato di difendere la Chiesa, la Sposa di Cristo e la nostra Madre che amiamo.
Come sacerdote di Gesù Cristo, sono arrabbiato e costernato per il fatto che l’onorevole Sacramento dell’Ordine Santo sia stato così infangato e disonorato dalle azioni di alcuni. So di non dover dire alla maggior parte del buon popolo di Dio che la maggior parte dei sacerdoti e dei vescovi sono stati fedeli e sono servi zelanti e generosi. Fino a poco tempo fa avevo insistito sul fatto che il numero dei criminali fosse molto basso. Francamente, devo dire che, pur essendo ancora una minoranza, il numero è molto più ampio di quanto pensassi.
E mentre a volte ho voluto insistere sul fatto che la percentuale dei delinquenti è uguale o inferiore a quella di altri gruppi di uomini, devo anche dire che qualunque sia la percentuale, il crimine è molto peggioQuesto perché le persone ci affidano la cosa più preziosa e necessaria di cui hanno bisogno per la salvezza: la loro fede. Per ognuno di noi ingannare i fedeli di Dio o spogliarli della fiducia di cui hanno bisogno per raggiungere una fede più profonda è il peggior tipo di illecito. E ci sono chierici fino ai più alti livelli che hanno fatto questo, qui e in tutto il mondo. Per il clero arrivare a sedurre gli altri a peccare è un crimine orribile.
Gesù disse di coloro che non si pentono di tale seduzione e abusi: È inevitabile che vengano scandali, ma guai a colui a causa del quale vengono. È meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli”. (Luca 17:1-2)
Qualunque siano le nuove norme che alcuni vorranno suggerire, dobbiamo essere chiari sul fatto che abbiamo già una norma. Si chiama il sesto comandamento.
La norma è anche esposta in molti altri testi chiaramente formulati dalle Scritture che proibiscono atti omosessuali, adulterio, fornicazione e altre condotte scorrette: Efesini 5:5-7; Galati 5:16-21; Apocalisse 21:5-8; Apocalisse 22:14-16; Matteo 15:19-20; Matteo 5:27-30; 1 Corinzi 6:9-20; Colossesi 3:5-6; 1 Tessalonicesi 4:1-8; 1 Timoteo 1:8-11; Ebrei 13:4; Levitico 18:22; Levitico 20:13; Genesi 19; Romani 1:1-18; e 1 Timoteo 1:8-11, tra gli altri.
Il sesto comandamento è chiaro – c’è una chiamata universale alla castità, e nessuno è esente. Semplicemente non è previsto alcun rapporto sessuale o contatto sessuale al di fuori del matrimonio valido, e coloro che sono sposati vivono la castità per fedeltà totale l’uno all’altro. A nessuno è mai consentito, in nessuna circostanza, compiere atti sessuali con persone con cui non è validamente sposato. Non esistono norme distinte per gli eterosessuali e gli omosessuali. Non ci devono essere rapporti sessuali o contatti al di fuori del matrimonio valido.
E questo naturalmente porta al tema più evitato in relazione a questo scandalo – il problema dell’omosessualità attiva nel sacerdozio. Una discussione onesta su questa crisi attuale non può non affrontare il problema –  nonostante urla di omofobia, intolleranza, fanatismo e capro espiatorio.
È evidente che la grande maggioranza dei casi di abuso sessuale su minori e adulti riguarda vittime di sesso maschile. Il rapporto John Jay del 2004 (The Nature and Scope of the Problem of Sexual Abuse of Minors by Catholic Priests and Deacons in the United States), commissionato dagli stessi vescovi statunitensi, ha rilevato che l’81 per cento delle vittime era di sesso maschile e il 78 per cento di tutte le vittime era post-adolescenteCosì, anche se legalmente ancora minorenni, erano sessualmente maturi in senso fisico. Così, la grande maggioranza dei casi ha riguardato l’attrazione da parte degli omosessuali per i giovani uomini che, pur essendo legalmente minorenni, erano fisicamente e sessualmente maschi maturi, non bambini piccoli. Questa non è pedofilia. È un’attrazione omosessuale. Riguardo all’abuso sessuale e alle molestie di seminaristi o sacerdoti da parte di vescovi o altro clero, ovviamente il 100% di quelle vittime erano di sesso maschile.
In sintesi, nella maggior parte dei casi si tratta di un comportamento scorretto da parte di sacerdoti con un’attrazione per persone dello stesso sesso.
Dobbiamo essere chiari sul fatto che la maggior parte delle persone con un’attrazione per lo stesso sesso non commette crimini sessuali o cerca di sedurre o abusare sessualmente dei giovani. Molte persone con attrazione per persone dello stesso sesso vivono coraggiosamente e seguono gli insegnamenti della Chiesa. Questa non è una caratterizzazione ampia di tutte le persone con attrazione omosessuale.
Ma i dati statistici dei recenti scandali mostrano un livello altamente sproporzionato di coinvolgimento omosessuale. I numeri sono ben dimostrati sia nell’esperienza che nel rapporto John Jay.
Tutto questo dimostra che i seminari e il sacerdozio non sono luoghi adatti per coloro che hanno una profonda attrazione per le persone dello stesso sesso. Non ci vuole una laurea in antropologia o psicologia per capire questo. Mettere un uomo con un’attrazione per persone dello stesso sesso in un seminario non è più consigliabile che mettere un uomo eterosessuale nel dormitorio di una donna, dove condivide le docce e i quartieri vicini con le donne. Un uomo con attrazione omosessuale si troverà ad affrontare tentazioni in tutti i contesti maschili che metterebbero alla prova i più forti.
A questo si aggiunga la possibilità che ci siano (nei seminari) altri uomini di attrazione omosessuale e abbastanza presto una sottocultura si insedierà dove le tentazioni sono feroci, e presto emergeranno compromessi e legami. Ed è ciò che abbiamo visto nella sottocultura “gay” che è dimostrabilmente esistente tra un numero significativo di chierici nella Chiesa.
Una discussione onesta sulla recente crisi deve comprendere una chiara esposizione e analisi di questi fatti. Ignorarli e tacere con la correttezza politica a questo punto è una pratica sbagliataDobbiamo parlarne in modo caritatevole e chiaro. Non dobbiamo permettere che accuse di intolleranza, omofobia e capro espiatorio soffochino una discussione e un’analisi franca del legame di gran parte di questo comportamento scorretto con gli omosessuali attivi, e una sottocultura tra alcuni di loro che tollera e promuove comportamenti che Dio proibisce.
Papa Francesco ha recentemente ribadito la politica che la Chiesa cattolica non può ammettere al seminario o agli ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali radicate o sostengono la cosiddetta “cultura gay”. Il Papa ha indicato che questi atti o tendenze radicate possono portare a scandali e compromettere la vita del seminario, così come l’uomo stesso e il suo futuro sacerdozio.
Questa storia è stata sottovalutata, probabilmente perché non si adatta alla narrazione che la stampa vuole creare riguardo a papa Francesco. Tuttavia, ogni conversazione che cerca di trovare una reale trazione o soluzioni dovrà includere la connessione all’omosessualità – non come una singola causa, ma come una causa essenziale e di grande importanza. Una discussione onesta deve includere anche l’analisi di problemi istituzionali quali la segretezza, l’irresponsabilità, l’abuso di potere e così via.
Insomma, è tempo di una conversazione veritiera, libera da correttezza politica e da argomenti proibiti. Se i nostri vescovi non sono disposti ad impegnarsi in una piena e onesta diffusione di tutte le cause, la rabbia del popolo di Dio non farà che aumentare, e la credibilità dei vescovi e della Chiesa sprofonderà da quasi zero allo zero assoluto.
La Chiesa dovrebbe essere autocorreggente, ma noi non lo siamo stati. Troppo spesso ci sono voluti uno Stato laico e minacce di azioni legali severe per costringerci a essere più responsabili interiormente. Questo ci ricorda il caso del faraone che ha dovuto rimproverare Abramo per il suo crimine di aver messo la propria moglie Sarah nell’harem per proteggersi (vedere Genesi 12:10-20). È come i marinai pagani che dovevano dire al profeta Giona di pregare Dio (Giona 1:6). È come se Gesù trovasse più fede tra i pagani che tra il suo popolo. E ora, troppo spesso, ci vogliono grandi giurie, giudici, minacce finanziarie e legali per convincerci a fare ciò che avremmo dovuto fare da sempre.
Come diceva la citazione degli Atti, anche un gran numero di sacerdoti divenne obbediente alla fede. Una volta era uno scherzo divertente per i sacerdoti. Ora, sempre più spesso, stiamo diventando l’urto maggiore di questa barzelletta. Pregate per la pulizia necessaria della casa, per un colloquio onesto su tutte le cause di questa crisi e per la purificazione che il Signore vuole per la sua Chiesa. L’episcopato, il sacerdozio e la stessa credibilità della Chiesa sono in bilico.
 Mons. Charles Pope è attualmente decano e pastore nell’Arcidiocesi di Washington, dove ha prestato servizio nel Consiglio Sacerdotale, nel Collegio dei Consulenti e nel Consiglio del Personale Sacerdotale. Oltre a pubblicare un blog quotidiano sul sito web dell’Arcidiocesi di Washington, ha scritto su riviste pastorali, condotto numerosi ritiri per sacerdoti e fedeli laici, e ha anche condotto studi biblici settimanali nel Congresso degli Stati Uniti e alla Casa Bianca. È stato nominato monsignore nel 2005.

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