AMERIO: TANTO DOGMA, TANTA CHIESA.
NIENTE DOGMA, NIENTE CHIESA
Per gentile concessione dell'Autore pubblichiamo l'intervento del Prof. Enrico Maria Radaelli al Convegno tenuto dalla Fondazione Lepanto il 23 giugno 2018: Vecchio e Nuovo Modernismo: radici della crisi nella Chiesa
Ringrazio la Fondazione Lepanto, il suo Presidente Prof. Roberto de Mattei, tutti i presenti.
Nel giugno del ‘26, a 21 anni, Romano Amerio vedeva pubblicato su Pagine nostre, periodico della diocesi di Lugano, un suo pensiero che si potrà ritenere cardinale: «Il problema dell’uomo è il problema dell’adorazione, e tutto il resto è fatto per porvi luce e sostanza». “Deus Trinitas first”.
AMERIO: "DEUS TRINITAS FIRST".
MODERNISTA: “DEUS TRINITAS NOTHING”.
MODERNISTA: “DEUS TRINITAS NOTHING”.
La storia del mondo è teocentrica, anzi cristocentrica, e per nulla antropocentrica: l’uomo è in seconda fila. Una teologia che non esalti tale centralità scenica e sostanziale di Dio non è una teologia cattolica.
Tutto il contrario di ciò che vuole il modernista, per il quale il primo attore sui popoli e sulla storia è lo spirito del mondo: Deus Trinitas nothing.
Perché lo vuole? Per la sua libertà, per la sua indipendenza. Questa è la causa della lotta su tutti i fronti che sta avvenendo tra mondo e Chiesa.
Il principio d’autorità nasce da Dio, ed è stabilito in Gesù Cristo, mediatore san Paolo: « Se anche noi stessi, o un Angelo del Cielo, venisse ad annunciarvi un Vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato noi, sia egli anàtema » (Gal 1,8).
In Stat Veritas. Seguito a “Iota unum”, Amerio lo fissa così: « La parola è da più del parlante umano che la proferisce e non ha da confrontarsi, da commisurarsi, da verificarsi con qualche cosa che sia altro da sé ».
In Iota unum. Studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX, Amerio collega l’annidamento dello spirito del mondo, posto dagli Illuministi, allo spirito di indipendenza del mondo, fronteggiato invano da Pio IX, X e XII coi tre Sillabi del ‘874, ‘907 e ‘950. Invano, perché lo spirito di indipendenza si fa scaltro, e col Buonaiuti (« Non contro Roma né senza Roma, ma con Roma e in Roma ») capisce che per sconfiggere la divina Auctoritasbisogna seguirla. O almeno: così farle credere.
Lo scopre Amerio, individuando nelle prime pagine del suo libro-cattedrale il primo cardine su cui ruota il sistema logico-metafisico della Chiesa (Iota unum, pp. 27-8 Lindau): « La leggedella conservazione storica della Chiesa », scrive, permette di distinguere con precisione che « la Chiesa non va perduta nel caso non pareggiasse la verità, ma nel caso perdesse la verità » (marcature dell’Autore).
AMERIO: “SPAREGGIARE” LA VERITÀ NON È “PERDERLA”.
MODERNISTA: CAPITO. ORA SO COME PROCEDERE.
Come finemente segnala il de Mattei nel suo Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, astutamente servendosi della biforcazione individuata da Amerio: “spareggiare” non è “perdere”, due Pastori molto accorti, il cardinale Tisserant e Papa Roncalli, uno per averglielo suggerito, l’altro per averlo attuato, realizzarono il « colpo da maestro di satana » imprimendo al Vaticano II la forma magisteriale di secondo grado invece che di primo, ‘pastorale’ invece che ‘dogmatica’, come avrebbe dovuto essere per la presenza di un Papa e dunque per poter dar modo a un Papa di esprimersi, se ne avesse avuto necessità, al massimo di pienezza o entelechia di pronunciamento, com’era avvenuto nei venti Concili ecumenici precedenti, ex lege, anche se in due di essi (Lione II e Laterano IV) il dogma non era stato espresso, perché non ve ne era stata necessità.
Con tale escamotage, il Papa usufruì di una libertà che la forma dogmatica mai gli avrebbe permesso, così costruendo il secondo perno individuato da Amerio, su cui gioca la Chiesa modernista: mettere la libertà prima della verità, l’efferato escamotage che il Luganese chiamerà « dislocazione della divina Monotriade » (Iota unum, p. 315 Lindau).
LA LIBERTÀ SEGUE LA VERITÀ, COME L’ANCELLA LA SUA REGINA.
SE NON LA SEGUE, LA SPOGLIA, LA DERUBA, LA UCCIDE.
Questo è un delitto d’omissione, compiuto da tutti i Papi che si sono susseguiti sul Trono di Pietro dopo Pio XII, delitto cui si aggiunge quello del falso ideologico: di aver utilizzato appositamente il grado di insegnamento appena inferiore al dogmatico, quello di ‘magistero pastorale’, o ‘ordinario e autentico’, proprio per le sue due precise caratteristiche:
1), di non essere dogmatico, ossia di non essere punto infallibile e irriformabile, così da avere la prerogativa di non chiamare in causa Dio, il che rassicura i suoi utilizzatori sulla propria vita, ben sapendo che non si chiama impunemente Dio a controfirmare una propria asserzione se essa non è più che vera (nel pronunciamento dogmatico Dio è chiamato in causa con l’uso del plurale maiestatico papale, il “Noi” dei due Soggetti: il papale e il divino);
2), però di poter ancora esigere, da tutta la Chiesa e da ogni fedele, un’obbedienza comunque forte, qual è in ogni caso quella del ‘religioso ossequio’, di fronte ad affermazioni che la Chiesa ritiene ‘verità connesse’, ossia verità direttamente discendenti dal dogma, come sono sempre state le verità insegnate prima che il Modernismo si fosse intronizzato dove mai avrebbe potuto con mezzi leciti.
La sintesi di queste due caratteristiche permette di affermare ciò che tutti quei Papi seguiti a Pio XII, che per il loro Modernismo camuffato avrebbero dovuto essere radiati dalla Chiesa, altro che canonizzati, ben sapevano: e la sintesi è che mai essi sarebbero potuti cadere in contraddizione col dogma dell’infallibilità pontificia proclamato da Pio IX, perché ciò sarebbe potuto avvenire solo se si fossero esposti al massimo dell’entelechia a loro e solo a loro possibile, il livello dogmatico, o ex cathedra, dove risiede la Potestas clavium, cui essi però si guardano bene d’accedere, i vigliacchi, per il modernistico inghippo trovato.
La Chiesa non si è mai trovata a un punto così vicino alla morte come in questi ultimi drammatici decenni seguiti al Vaticano II: da se stessa si è tolta il dogma, il magistero del dogma e la liturgia del dogma (quella del Rito cosiddetto “antico”, in realtà l’unico perenne e santo, per i motivi che fra poco ci spiegherà la dottoressa Guarini).
E tutto ciò i Pastori della Chiesa hanno fatto alla presenza piena di tutte e tre le condizioni che determinano la gravità di una colpa, qui quelle d’omissione e di falso ideologico, nelle persone dei Papi e dei loro consiglieri (i cardinali e i prefetti di Curia) a partire dall’origine della devianza, il Vaticano II. E le tre condizioni sono: “piena avvertenza” e “deliberato consenso” per i soggetti degli atti omessi e falsificati, e “materia grave” per l’oggetto, il nascondimento, o aggiramento, o “oblio” del dogma.
Nell’Epilogo (p. 661) di Iota unum il Luganese rileva: « Le novità del Vaticano II sonolumeggiature di parte del dottrinale cattolico che corrispondono all’oblivione di altre parti. L’oblio copre il dogma della predestinazione sotto la verità della vocazione universale; quello dell’inferno sotto la verità della misericordia divina », e così via per altri sette esempi, v. p. 661 Lindau.
SI DICE “BUONAIUTI”. SI PRONUNCIA “RATZINGER”.
Ma, con la Lettera enciclica Spe salvi, Benedetto XVI non solo “dimentica” il dogma, ma lo sostituisce, ne inventa uno nuovo e tutto suo, come mostro prima in La Chiesa ribaltata e ora in questo articolo [che mostro]. Titolo: “Qualcuno nella Chiesa si è accorto che nell’Enciclica Spe salvi Papa Ratzinger ha cancellato l’Inferno?”.
Il principio è sempre lo stesso: “dimenticare”, o sostituire, è lo stesso: l’importante è non “perdere”, ma limitarsi a “non pareggiare”, sicché mai dogmatizzare e mai anatemizzare.
Se con ciò sembra si accusi di colpe particolarmente gravi uomini che poi la Chiesa ha canonizzato, si ricordi piuttosto che: 1), il magistero della canonizzazione è magistero fallibile, come ricordato anche dal compianto mons. Gherardini, sicché, se la Chiesa dovrà far ruzzolar giù dei santi dai propri altari, lo scandalo sarà enorme, ma la cosa, dal punto di vista canonico, non pone difficoltà; 2), all’opposto – particolare decisivo –, il magistero infallibile e irriformabile della Chiesa, il dogma, nelle Sacre Scritture, stabilisce quel principio che si diceva, per il quale la Parola divina è sempre e in ogni caso da più di qualsiasi parlante umano che la proferisce, fosse persino un Papa canonizzato.
Questo principio, affisso da san Paolo, è tanto superiore a qualsiasi altro, che se anche l’intera Chiesa, sempre disimpegnandosi dal livello dogmatico, insegnasse il falso, come fece con l’Arianesimo, l’intera Chiesa dovrà fare poi ammenda, come fece anche allora, se pur con grandi lotte, difficoltà, incomprensioni, battaglie.
Sono certo che qualche Pastore, almeno per via di quei miei due miserabili ma pubblici libri che le discutono denunciandone la pericolosità, fatti avere a decine di Prelati di sicura fede, troverà presto numerosi, forti e specialmente ben rigorosi argomenti contro la libera ma ereticale Teodicea che imperversa in Spe salvi e in Lumen Fidei, entrambe magistero papale privilegiato ‘ordinario e autentico’, dunque ‘vero e sicuro’, così da sollevare tutti i fedeli dall’ingiusto obbligo di ‘religioso ossequio’ che dovrebbero dar loro.
È dai tempi della mia Postfazione a Iota unum, pubblicata nel 2009, poi in ogni mio lavoro successivo, che segnalo ciò che solo Romano Amerio inchiodò come il temerario e sciagurato escamotage elaborato dai Pastori modernisti per aprirsi il varco al potere suggerito dal Buonaiuti, e non chiediamoci come mai, delle migliaia di teologi, accademici, tomisti, monsignori, vescovi e cardinali che lessero il libro (7.000 copie in tre edizioni, oltre alle 7 traduzioni nelle principali lingue dell’Occidente), nessuno rilevò la cosa e le astute ma vergognose conseguenze che permetteva.
Nessuno rilevò la cosa e le rovinose conseguenze che permetteva, perché tutti l’una e le altreconoscevano, ma nessuno doveva pubblicamente rilevarle: esse sono il mezzo sordido, nascosto, machiavellico, vigliacco, attraverso cui i Pastori perversi saliti al Trono di Pietro dopo il rigoroso Pio XII, nessuno escluso, hanno trovato il modo di inondare la Chiesa del «fumo di satana », cioè del Modernismo, senza che nessuno lo rilevasse.
SE IL DOGMA NON TORNA SUL SUO TRONO,
LA CHIESA MUORE. E CON ESSA
– ANCHE SE NESSUNO CI CREDE –
MUORE LA CIVILTÀ.
Si chiude con una domanda: come mai, in particolare, di fronte a un documento papale della gravità di Spe salvi, che è facile dimostrare come annienti realtà fondamentali come il concetto di peccato come ‘offesa a Dio’, l’Inferno, il Purgatorio, la grazia eccetera, nessun responsabile della Congregazione per la Dottrina della fede, nessun organo di stampa cattolico, come mai, dicevo, nessuno ha però nemmeno preso in considerazione, almeno finora, il dovere di confutare, correggere e censurare cattolicamente gli argomenti portati dal sottoscritto nei suoi libri contro quelle tesi aberranti, specie in La Chiesa ribaltata, in Street Theology e ora in Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo? Come mai?
È così che si difende, nell’ordine, Dio, la Rivelazione, la Chiesa, e un suo già sommo e, si crede, tanto benemerito Pastore?
Non sbugiardiamo niente e nessuno – rispondono –, così nessuno si accorgerà che c’è qualcosa e qualcuno da sbugiardare, e tutto va avanti nella pace e nella serena ignavia di tutti.
Ed è qui che si decidono le sorti della Chiesa: o il silenzio o la parola. Ma chi crede di vincere la Parola, il Logos, col suo silenzio, io dico che la sottovaluta, v. I Ts 5,2: « Il giorno del Signore verrà di notte come un ladro ». Ed è così che li vincerà.
Viva Amerio. Viva il Logos. Viva il dogma. Grazie.
di Enrico Maria Radaelli
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