ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 30 ottobre 2018

Ad un tratto mi fu mostrato il mondo

I "misteriosi alberi" che proteggeranno il 'resto fedele' durante il castigo e altre visioni profetiche [Beata Elisabetta Canori Mora]



L'interessantissimo estratto è abbastanza lungo. Sarà possibile leggere (per motivi di tempo) le sole visioni profetiche della Beata Elisabetta nelle parti che ho, a scopo didattico, evidenziato in grassetto
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Elisabetta Canori Mora (1774-1825) è per lo più conosciuta come esemplare sposa e madre; beatificata il 24 aprile 1994 nell’Anno Intenzionale della Famiglia, ella visse le sofferenze di un matrimonio infelice, ma che produsse gemme spirituali di raro valore nella sua anima. Costretta a guadagnarsi da vivere per sé e per le due figlie con il lavoro delle proprie mani, Elisabetta, a cui Gesù promise che lui sarebbe stato il padre di Marianna e Maria Lucina, aveva una Fede forte ed eccelsa; dedicava molto tempo alla preghiera e riusciva a ritagliare spazi anche per il servizio ai poveri e all’assistenza degli ammalati. Fu anche una grande mistica, in continua simbiosi con la dimensione ultraterrena. Gesù Cristo le disse: « Figlia, ti ho creata per beneficarti; vedrai quello che saprà fare l’amor mio verso di te. Ti amo con amore di predilezione, sono per favorirti non meno della mia Teresa, o della mia Geltrude » (1). Elisabetta fu prescelta e visse in unione a Dio, sperimentando le soavità di quelle anime che vengono inebriate dall’amore divino in uno scambio di purissima e castissima passione. Fu colpita al cuore, venne trapassato dal « dardo, di sacro fuoco » (2), un dolore beato, acuto e desiderabile, intenso e bramato. Entrando in comunione con Dio, Elisabetta visse la felicità dello spirito che contempla le immensità e beltà celesti, soddisfacendo la sua sete di amore e ricambiandole con umiltà e gratitudine. Offrì il suo annientamento e tutto il bene umanamente possibile a colui che la rese degna e meritevole di addormentarsi, come san Giovanni, sul suo petto nel Cenacolo, alla presenza degli apostoli, presenza che le causò un forte senso di disagio.

Più volte fu al cospetto del suo diletto Gesù e « il cuore restava come liquefatto. Oh, quanta compiacenza prendeva il mio Dio nel vedermi quasi distrutta per amore! Di quale unione mi degnò è impossibile manifestarlo. Divenni per parte dell’intima unione oggetto delle compiacenze di un Dio eterno, infinito, onnipotente » (3). Elisabetta non sa spiegarsi questa predilezione, è soltanto in grado di accoglierla con struggente senso di indegnità, si abbandona ad essa, ma rimane ugualmente in uno stato di vergogna verso di sé per essere oggetto delle attenzioni e dell’affetto di Nostro Signore: « L’intima unione mi meritò di essere preferita a tutto il resto delle creature. Con somma chiarezza il mio Signore mi fece intendere che ama assai più un’anima intimamente a lui unita, di quello che ami il resto delle creature » (4). L’amore puro della creatura per il suo Creatore è una forza irresistibile per l’amore del Creatore verso la sua creatura, che non può che risolversi se non nella perfetta unione di Dio con l’anima amata che si fa possedere divenendo schiava di felicità, senza più barriere e limitazioni, ben conscia che l’Amore Infinito non può che volere il meglio per lei.

[…]

[Elisabetta] offrì se stessa per amore di Cristo e della Chiesa, salvando l’anima del marito (che si convertì ed entrò nell’Ordine secolare dei Trinitari, diventando, dopo la morte della moglie, frate minore conventuale e poi sacerdote, come gli aveva predetto la consorte), ma votò i suoi sacrifici e la sua esistenza anche per il Papa e per la Chiesa. Esiste un suo voluminoso DIARIO dove sono raccolte le sue esperienze mistiche e le sue visioni. In tale importante e prezioso documento, la beata rivela, in diverse e drammatiche pagine, il disordine religioso ed etico dell’uomo di oggi e la crisi della Chiesa. Leggiamo la straordinaria fotografia che fece dei nostri giorni, sottolineando il danno che le moderne filosofie hanno compiuto nelle coscienze fiaccate ed insensibili:

« Il dì 15 novembre 1818 fu il mio povero spirito nelle orazioni favorito dal Signore con particolare grazia. [...] ad un tratto mi fu mostrato il mondo; questo lo vedevo tutto in rivolta, senza ordine, senza giustizia, i sette vizi capitali si portavano in trionfo, e per tutto vedevo che regnava l’ingiustizia, la frode, il libertinaggio e ogni sorta di iniquità. Il popolo mal costumato, senza fede, senza carità, ma tutti immersi nelle crapule e nelle perverse massime della moderna filosofia. Mio Dio! qual pena provava il povero mio spirito nel vedere che tutti quei popoli avevano la fisionomia più da bestie che uomini. Oh che orrore il mio spirito ne aveva di tutti questi uomini così sformati per il vizio! Io mi vedevo in una grande altura, come separata da questo luogo tanto miserabile, e per mezzo di una luce, che rifletteva in quel cupo basso del mondo, vedevo tutte le sopraddette iniquità e per mezzo della grazia infusami, conoscevo di questi miseri la loro profonda malizia. Oh quanto si affliggeva il mio povero cuore, quante lacrime versavo nel vedere tante iniquità! Ma ecco che in un momento il mondo cambiava scena. Ecco lo sdegno di Dio, che ad un tratto circondava tutto il mondo, facendo provare a quei mal costumati popoli il rigore della sua giustissima e rettissima giustizia. [...] Tutte le cose sensibili che appaiono sopra la terra le vedevo senza ordine, senza armonia, ma tutto era in rivolta, tutto era confuso.

L’ordine della natura era tutto sconvolto. Il solo mirare la terra dimostrava lo sdegno di Dio. In un momento tutto il mondo era in una grandissima desolazione. Oh quante grida, quante lacrime e quanti sospiri da flebili voci si sentivano risuonare in quel teatro di mestizia. Vedevo poi in mezzo a tanta iniqua gente, un demonio tanto brutto che scorreva il mondo con tanta superbia e alterigia. Costui teneva gli uomini in una penosa schiavitù, con orgoglioso impero voleva che tutti gli uomini fossero a lui soggetti, rinunziando la fede di Gesù Cristo, con l’inosservanza dei suoi santi comandamenti, dandosi in preda al libertinaggio e alle perverse massime del mondo, adottando la vana e falsa filosofia dei nostri moderni c falsi cristiani. [...] Vedere che dietro a queste false massime correvano pazzamente ogni sorta di persone, di ogni ceto, di ogni età, non solo secolari, ma ancora ecclesiastici di ogni dignità, tanto secolare che regolare. [...] Oh cosa non avrei fatto, cosa non avrei patito per compensare le gravi ingiurie che questi finti cristiani facevano all’eterno Dio. In questo stato di cose, la povera anima mia si offrì a patire ogni qualunque pena, ogni qualunque travaglio, ogni qualunque strapazzo diabolico. Unii questa povera mia offerta all’eterno divin Padre, unendo il mio sacrificio a quello del suo santissimo Figliolo, e lo pregai che, per gli infiniti meriti di Gesù Cristo, si degnasse ricevere il povero mio sacrificio, promettendo di darmi ad esercitare con più rigore ed asprezza la penitenza, il digiuno, l’orazione, le vigilie, come, con la grazia di Dio, puntualmente eseguii, con il permesso del mio lodato padre spirituale ».

Elisabetta, come faranno pure Lucia, Giacinta e Francesco, offrirà i propri sacrifici per consolare il Signore e per salvare le anime. Pieno di significato è il ricondurre la corruzione degli spiriti ecclesiastici e laici alle insane filosofie. Elisabetta non conosceva Voltaire (1694-1778), né gli Encyclopédistes e neppure Kant (1724-1804), Hume (1711-1776), Hegel (1770-1831), Heidegger (1889-1976), Marx (1818-1883)... ma, con una precisione che impressiona, vide il futuro. Ne La religione entro i limiti della sola ragione (1793) Kant giunse a sostenere: «Non c’è che una sola (vera) religione; ma ci possono essere diverse specie di fede. Si può aggiungere che nella pluralità delle Chiese, distinte le une dalle altre per la diversità delle loro credenze speciali, si può trovare, tuttavia, una sola e medesima vera religione », ecco il relativismo religioso tanto paventato dal cardinale John Henry Newman (1801-1890). Quel relativismo che porta ad affermare che il Vangelo è una storia come tante altre...

Queste false filosofie sono così penetrate nella cultura e nella mentalità comuni da contaminare lo stesso culto divino. Le filosofie laiciste e progressiste hanno deformato la Fede in vari e presuntuosi pensieri teologici, che, a loro volta, hanno contaminato la dottrina cattolica, comportandosi come il tarlo che rosicchia il legno buono, come il verme della mela che mangia il frutto dal di dentro. Hegel non lascia scomparire Dio, ma lo sottopone alle necessità della comunità. Si tratta dell’auto-celebrazione della comunità che rappresenta se stessa. Ecco che il culto non è più un salire verso di lui, un eliminare la forza di gravità dalle miserie e dai peccati, ma un abbassamento di Dio alle dimensioni umane. Tale culto allora diventa una festa che la comunità si fa da sé e su di sé. È mutata proprio la concezione. Dall’adorazione a Dio, si passa ad un cerchio che gira intorno a se stesso. Ma, come abbiamo potuto constatare in tutti questi decenni, si giunge alla frustrazione, al senso di vuoto, alla stanchezza e alla noia. Le idee di comunità, ragione, scienza, democrazia, valori come diritti umani, libertà politica e religiosa trovano la loro formulazione nell’opera dei pensatori del XVIII secolo.

Afferma giustamente Robinson: « È mia opinione che gli uomini di Chiesa non abbiano finora dedicato abbastanza attenzione a capire e valutare le idee che hanno plasmato il mondo moderno. Come risultato, l’iniziativa di comprendere e predicare il Vangelo è passata nelle mani del mondo moderno, a detrimento della nostra comune tradizione cristiana » (5). Si è di fatto compiuta un’evoluzione del cristianesimo, meglio, è avvenuta una vera e propria rivoluzione, dove la Tradizione non è più stata considerata. Leggiamo nella quarta di copertina dell’opera di monsignor Gherardini, Quaecumque dixero vobis. Parola di Dio e Tradizione a confronto con la storia e la teologia (6)« Se vuoi conoscere la Chiesa, non ignorare la Tradizione. Se ignori la Tradizione, non parlar mai della Chiesa ». Ebbene, il teologo Rahner affermerà, convinto, che il suo vero maestro fu Martin Heidegger (1889-1976), discepolo dì Hegel... la Tradizione si perse per strada. La lente deformante della filosofia dialettica moderna ha letteralmente strappato dalla Fede i credenti, gettandoli su strade senza sbocco, se non addirittura incoraggiati a seguire la « via che conduce alla perdizione» (Mt 7,13). Si è venuta a creare un’osmosi fra il pensiero secolarizzato e il pensiero dei teologi. Le nuove idee sono penetrate nelle varie commissioni e negli organismi della Chiesa, che hanno provveduto a travasarle nei seminari, nelle facoltà teologiche, nelle parrocchie, nelle scuole cattoliche... Emblematica risulta l’Allocutio di Paolo VI per la chiusura del Concilio Vaticano II. C’è la piena coscienza di ciò che era avvenuto: « L’umanesimo laico profano alla fine è apparso nella terribile statura ed ha, in un certo senso, sfidato il Concilio. La religione del Dio che si è fatto Uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? uno scontro, una lotta, un anatema? poteva essere; ma non è avvenuto. L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso. La scoperta dei bisogni umani (e tanto maggiori sono, quanto più grande si fa il figlio della terra) ha assorbito l’attenzione del nostro Sinodo. Dategli merito di questo almeno, voi umanisti moderni, rinunciatari alla trascendenza delle cose supreme, e riconoscerete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo ».

È evidente che questo non è esattamente in linea con la Tradizione cattolica, che ha sempre parlato di irriducibile ostilità tra Dio e il mondo, di cui, non per nulla, è principe Satana. Ecco come il Premio Nobel per la letteratura (1980), Czeslaw Milosz (1911-2004), descrive l’umiliazione del pensiero cristiano nei confronti del « pensiero debole »: « Nel corso della mia esistenza il Paradiso e l’Inferno sono scomparsi, la fede nella vita eterna si è notevolmente indebolita [...] l’idea di verità assoluta ha perso la sua posizione di supremazia, la storia guidata dalla Provvidenza ha cominciato a somigliare a un campo di battaglia dove sia in atto uno scontro tra forze cieche » (7).

Allora non ci stupiamo se Elisabetta si terrorizzava ogni volta che il Signore le mostrava i tempi di là da venire. L’infedeltà degli uomini di Chiesa procurava immenso dolore alla beata e quando si leggono le pagine del suo Diario riconosciamo profanazioni ed errori attuali:

« Vedevo molti ministri del Signore che si spogliavano gli uni con gli altri molto rabbiosamente, si strappavano i paramenti sacri, vedevo rovesciare i sacri altari dagli stessi ministri del Signore, vedevo da questi conculcare con i loro piedi con molto disprezzo i paramenti sacri; per mezzo di un piccolo finestrino ho veduto il misero stato dei popoli: qual confusione, quale scempio, qual rovina, io non ho maniera di spiegarlo! Sono stata condotta in altro luogo, dove vedevo pochi ministri del Signore, con loro il capo della santa Chiesa, e questi, uniti nella carità di Gesù Cristo, le rendevano sommo onore, uniti a questi vedevo pochi secolari dell’uno e dell’altro sesso, che, per essere uniti al loro capo, rendevano sommo culto al Signore » (8).

Leggendo le parole della beata Elisabetta appare vivo, sotto i nostri occhi, il «teatro», illusorio e mortale, nel quale la maggior parte dei cattolici vive oggi:

« Il dì 22 gennaio 1824, il mio spirito fu di nuovo ricondotto in quella sopraddetta macchia, dove con somma mia pena distinguevo in quella tetra rappresentanza di sterilissimi alberi [...] la sterilità lacrimevole di tante povere anime, che sono senza numero, che, depravate le loro coscienze, possono chiamarsi senza fede, senza religione, perché a tutto pensano fuorché a quello che ogni buon cattolico è obbligato di pensare, tutto operano fuori di quello che devono operare; ma, tutti intenti e sovvertiti dalle false massime della filosofia dei nostri tempi, conculcano la santa legge di Dio e i suoi divini precetti: queste misere piante sono riguardate dal divino padrone non solo per sterili, ma per nocive e pessime, meritevoli di essere gettate nel fuoco eterno » (9).

Elisabetta vide allora il braccio dell’Onnipotente alzato e intento a castigare:

« Quando fui in questo stato ridotta, che già più non distinguevo me stessa per lo spavento, né sapevo se più abitavo la terra dei viventi, allora mi si fece vedere Dio sdegnato, minacciando un subitaneo castigo, vedevo scorrere il suo braccio onnipotente or qua or là per incendiare, per distruggere, per mezzo di fulmini dell’irritato suo sdegno, quasi tutto il mondo. [...] Mossa la povera anima mia da santo zelo, per non veder patire tante anime nel fuoco eterno, mi slanciai dunque verso il divino furore di Dio, che protendeva il suo braccio onnipotente e, oltrepassando i limiti del mio proprio dovere e della mia dovuta soggezione, afferrai con le mani dell’anima il braccio onnipotente di Dio e così, tenendomi fortemente stretta ed abbracciata, facevo a lui dolce violenza, ma intanto il braccio onnipotente, preso dal suo giusto furore, scorreva con violenza qual rapido vento, per fulminare, per castigare tutto l’universo. [...] con lacrime e sospiri così gridavo: “Giustissimo giudice, avete ragione, meritiamo per i nostri peccati questo tremendo castigo, ma vi muovano a pietà i meriti infiniti del nostro divino Redentore. Mio Dio. placatevi, per Gesù Cristo vostro figliolo” » (10).

Elisabetta implora il Giudice e tenta di fare ciò che è compito della Madonna: trattenere il braccio del Divin Figlio (La Salette, 19 settembre 1846). La mistica fa poi esplicito riferimento alla protezione che il Cielo accorda e garantisce a tutti coloro, il « piccolo gregge », che conserveranno la vera Fede; mentre preconizza la punizione dell’Onnipotente per i traditori.

« Il fatto che sono per raccontare mi seguì il giorno della festa del gran principe degli apostoli, il glorioso san Pietro, 29 giugno 1820. Fui alienata dai sensi, proseguendo a pregare il giorno del gran principe san Pietro del 1820, pregando per i bisogni della santa Chiesa cattolica, trovandomi di pregare per la conversione dei peccatori, fratelli miei, nel numero dei quali io occupo il primo luogo, si trovava il mio povero spirito sollevato per mezzo di particolare favore di Dio ad un rapimento celeste, e mi trovavo propriamente vicina a Dio medesimo, per mezzo di una luce inaccessibile ero unita intimamente in Dio in guisa tale che più non mi distinguevo, ma tutto ero trasformata in quella divina luce. Ricevetti la dolce impressione della divina carità. [...] mi parve di vedere aprirsi il cielo, e scendere dall’alto con grande maestà, corteggiato da molti santi angeli, che cantavano inni di gloria, il grandissimo principe degli apostoli san Pietro, vestito degli abiti pontificali, portava nelle mani il pastorale, con il quale segnava sopra la terra una vastissima croce. Nel tempo che il santo apostolo segnava la suddetta croce, i santi angeli gli facevano d’intorno corona, cantavano con sommo rispetto e venerazione, in lode del santo apostolo: « Costitues eos principes super omnem terram », con quello che segue in appresso. Appuntava il suo misterioso pastorale sopra i quattro lati della suddetta croce segnata, e al momento vedevo apparire quattro verdeggianti alberi, ricoperti di fiori e frutti preziosissimi. I misteriosi alberi erano in forma di croce, erano circondati da una luce risplendentissima, fatta che ebbe questa operazione, andò ad aprire tutte le porte dei monasteri delle monache e dei religiosi. Con interno sentimento distinguevo che il santo apostolo aveva eretto quei quattro misteriosi alberi per dare un luogo di rifugio al piccolo gregge di Gesù Cristo, per liberare i buoni cristiani dal tremendo castigo, che metterà a soqquadro tutto il mondo.

Tutti i buoni cristiani, che avranno conservato nel loro cuore la fede di Gesù Cristo, saranno tutti sotto questi misteriosi alberi rifugiati; come ancora tutti i buoni religiosi e religiose, che fedelmente avranno nel loro cuore conservato lo spirito del loro santo istituto, saranno tutti sotto questi misteriosi alberi rifugiati e liberi dal tremendo castigo. Così dico di tanti buoni ecclesiastici secolari ed altro ceto di persone, che avranno conservato la fede nel loro cuore, questi saranno tutti salvi. Ma guai a quei religiosi e religiose inosservanti, che disprezzarono le sante regole, guai, guai, perché tutti periranno sotto il terribile flagello. Così dico di tutti i cattivi ecclesiastici secolari e ogni altro ceto di persone, di ogni stato, di ogni condizione, che sono dati in preda al libertinaggio e vanno dietro alle false massime della riprovata filosofia presente. Questi sono contro le massime del santo evangelo, negano la fede di Gesù Cristo, questi infelici tutti periranno sotto il peso del braccio sterminatore della divina giustizia di Dio, alla quale nessuno potrà resistere. Rifugiati che erano tutti i buoni cristiani sotto i misteriosi alberi, che li vedevo sotto la forma di belle pecorelle, sotto la custodia del loro pastore san Pietro, al quale tutte prestavano umile soggezione e rispettosa obbedienza, queste simboliche comparse significano il popolo cristiano: che milita sotto il glorioso stendardo della croce, il quale sarà immune dal tremendo castigo, che Dio è per mandare sulla terra, per i tanti peccati che si commettono dalla maggior parte del cristianesimo.

Fatta dunque dal santo apostolo la suddetta operazione di assicurare sotto i misteriosi alberi il piccolo gregge di Gesù Cristo, il santo apostolo risalì al cielo, accompagnato dai santi angeli che con lui erano discesi. Risaliti che furono al cielo, il cielo si ammantò di tenebroso azzurro, che il solo mirarlo faceva terrore, un caliginoso vento con l’impetuoso suo soffio dappertutto si faceva sentire, con l’impetuoso e tetro suo fischio urlando nell’aria qual fiero leone col suo fiero ruggito Torrida sua eco per tutta la terra faceva risuonare. Il terrore, lo spavento poneva tutti gli uomini e tutti gli animali in sommo spavento, tutto il mondo sarà in rivolta e si uccideranno gli uni con gli altri, si trucideranno tra loro senza pietà. Nel tempo della sanguinosa pugna, la mano vendicatrice di Dio sarà sopra questi infelici, e con la sua onnipotenza punirà il loro orgoglio e la loro temerarietà e sfacciata baldanza, si servirà Dio della potestà delle tenebre per sterminare questi settari, uomini iniqui e scellerati, che pretendono di atterrare, di sradicare dalle sue profonde radici, di buttar giù dai suoi più profondi fondamenti la nostra santa madre Chiesa cattolica » (11).


Elisabetta ammirò l’operato di san Pietro e di san Paolo e le fu dato di vedere oltre il castigo, profetizzando, in tal modo, la riconciliazione di Dio con gli uomini, quando trionferà il Cuore Immacolato di Maria:

« Fatta la suddetta operazione, puniti gli empi con morte crudele, demoliti questi indegni luoghi, vidi ad un tratto riasserenare il cielo, ed immantinente dall’altezza di esso vidi scendere sulla terra un maestoso trono, dove vedevo il santo apostolo san Pietro maestosamente vestito degli abiti pontificali, corteggiato da immenso numero di angeli, i quali gli facevano d’intorno corona, e cantando inni di gloria in lode del santo, ossequiandolo qual principe della terra. In questo tempo vidi nuovamente aprire il cielo e scendere con gran pompa e maestà il glorioso san Paolo, che con autorevole potestà di Dio, in un baleno scorreva tutto il mondo, e incatenava tutti quei maligni spiriti infernali, e li conduceva avanti al santo apostolo, il quale con il suo autorevole comando li tornò a confinare nelle tenebrose caverne, donde ne erano usciti. Al comando del santo apostolo san Pietro tutti tornarono nel baratro dell’inferno. Al momento si vide sulla terra apparire un bello splendore, che annunziava la riconciliazione di Dio con gli uomini; dai santi angeli fu condotto il piccolo gregge di Gesù Cristo avanti al trono del gran principe san Pietro. Questo gregge era quel suddetto gregge di buoni cristiani, che in tempo del tremendo castigo sarà rifugiato sotto i misteriosi alberi anzidetti, significati quali gloriosi stendardi della croce, insegna misteriosa della nostra santa religione cattolica. I misteriosi frutti dei suddetti alberi sono i meriti infiniti di Gesù crocifisso, che per amore del genere umano volle essere appeso sopra l’albero della croce.

Presentato che fu dai santi angeli il piccolo numero dei cristiani avanti al trono del gran principe degli apostoli san Pietro, tutti quei buoni cristiani gli fecero profonda riverenza, e benedicendo Dio fecero i loro più umili ringraziamenti a Dio ed al santo apostolo, per avere retto e sostenuto la Chiesa di Gesù Cristo e il cristianesimo, acciò non andasse errato nelle false massime del mondo. Il santo scelse il nuovo pontefice, fu riordinata tutta la Chiesa secondo i veri dettami del santo Evangelo, si ristabilirono gli ordini religiosi, e tutte le case dei cristiani divennero tante case religiose, tanto era il fervore, lo zelo della gloria di Dio, che tutto era ordinato all’amore di Dio e del prossimo. In questa maniera si formò in un momento il trionfo, la gloria, l’onore della Chiesa cattolica: da tutti era acclamata, da tutti stimata, da tutti venerata, tutti si diedero alla sequela di essa, riconoscendo tutti il vicario di Cristo, il sommo pontefice » (12).


Quando Elisabetta parla e paventa di coloro che erigono templi alle false divinità nei territori della Chiesa, ci pare di scorgere il relativismo religioso dei nostri giorni:

« Il dì 21 ottobre 1815, nella santa Comunione ebbi notizia dell’enorme attentato che si macchina dai persecutori della cattolica religione; pensano questi di spiantarla propriamente dalle sue radici. Pensano questi miseri di erigere templi alle false divinità nel grembo della cattolica Chiesa, nella residenza del romano Pontefice, del Vicario di Cristo! Pensare di erigere templi alle false divinità! Oh empietà, oh ardire esecrando! Piaccia a Dio che questo non accada, raccomandiamoci caldamente al Signore, perché vadano a vuoto i loro rei disegni. Guai a noi, poveri cattolici, se possono mettere in esecuzione quanto macchinano contro di noi ! “Tutti quelli che entreranno in queste assemblee, tutti moriranno!”, mi diceva il mio Signore. A questa parola l’anima mia si spaventò molto: “Mi intendi di qual morte intendo parlare?”, soggiunse il Signore, “intendo parlare di quella morte che toglie la fede alle anime” » (13).

Il 10 dicembre 1815 Elisabetta, dopo la Comunione, ebbe una visione nella quale vide la Chiesa rivestita di abiti miseri e avvolta nelle tenebre per poi riprendersi, più smagliante di prima, grazie all’intervento dello Spirito Santo:

« In questo tempo mi si diede a vedere la nostra madre, la santa Chiesa, sotto la forma di donna veneranda: la vedevo esteriormente tutta adorna, tutta bella; questa la vedevo supplichevole all’augusto trono di Dio, che qual Madre pietosa pregava per noi, poveri suoi figli; ma particolarmente pregava per il clero regolare e secolare. [...] Supplichevole, dunque, pregava incessantemente per noi. Macché! Dio, sdegnato alle sue preghiere, con tono di voce sonora così le diceva, la sua voce non è sensibile, ma il sentimento era tutto spirituale; per mezzo di intelligenza intellettuale, mi dava a conoscere quanto sono per raccontare. La santa Chiesa pregava, e Dio sdegnava le sue preghiere; e, armato di giustizia, così diceva: “Prendi parte nella mia giustizia, e giudica la tua causa!”. A queste tremende parole, la veneranda matrona impallidì, e, presa parte nella giustizia di Dio, di propria mano si spogliava dei suoi adornamenti. Vidi poi venire tre angeli esecutori della divina giustizia, che davano di mano a spogliare la veneranda matrona. Si ridusse la forte donna in stato umile e negletto, priva di forze, tutta spogliata, e quasi era sul punto di cadere.

Allora dall’eterna sapienza le fu somministrato un forte bastone per reggere la sua debolezza. La divina potenza coprì il capo di lei con ricco cappello, l’inclita donna aveva perduto ogni splendore, se ne giaceva nelle tenebre, tutta mesta e dolente per l’abbandono dei suoi amati figli. Il divino Spirito la circondò con la sua immensa luce. Rivestita che fu V inclita matrona di questa luce, tramandò il suo splendore in quattro diverse parti, dove questa divina luce faceva cose mirabili. Gli abitatori di questi luoghi erano come addormentati, all’apparire di questa divina luce si destavano; e, lasciati i loro errori, di volo si portavano ad onorare l’inclita donna la nostra cara madre, la santa Chiesa. Tutti si compiacevano di militare sotto gli auspici di. questa eccelsa donna, tutti confessavano Gesù Cristo Signore nostro. Al momento compariva la nostra madre, la santa Chiesa, tutta adorna e gloriosa più di prima. Gli ordini religiosi davano a lei il grande onore, formavano come un magnifico tempio per sostenerla con tutte le loro forze. Sei erano le colonne che la sostenevano, queste erano sei corpi di religione, questi sei ordini erano quelli che rendevano gloriosa la nostra madre, la santa Chiesa; sollevata a questa onorificenza, tutti venivano ad onorarla, adottando le massime del nostro santo Evangelo » (14).


La mattina del 7 settembre 1803, vigilia della Natività di Maria, Elisabetta viene condotta, in visione, sopra un alto loggiato, dove appare una nobile e bellissima signora, ammantata di candide vesti, dal portamento maestoso, che teneva fra le mani una risplendente colomba, la quale, sotto le sue ali, aveva impressi i chiodi che crocifissero Gesù Cristo ed erano di colore sanguigno, ma risplendenti come il sole. La nobile e divina colomba lanciava frecce di fuoco e un dardo trapassò il cuore di Elisabetta.

« Il prezioso colpo mi cagionò deliquio mortale; tornata che fui, mi trovai tutt’altro di quella di prima, mi intesi trasmutare in un’altra; tutto fervore, tutta carità, sentivo nel mio cuore gli effetti mirabili di quel dardo amoroso, qual vampa di sacro fuoco incendiava il mio spirito, e mi rendeva quasi pazza; di amore accesa andavo esclamando: “Hai vinto, hai vinto pure una volta, o santo amore! Hai vinto la durezza del mio ostinato cuore, o sacro dardo di amore, trapassa viepiù il mio cuore!” » (15).

E il cuore di Elisabetta ne rimase fisicamente scosso, tanto da soffrire di tachicardia; nel parlare di questo cuore toma alla mente quello di san Filippo Neri (1515-1595): nel giorno di Pentecoste del 1544, mentre pregava a Roma nelle catacombe di san Sebastiano, l’estasi era così intensa che il suo cuore si dilatò, rompendogli due costole: da quel giorno spesso il suo petto bruciava in tale misura da costringerlo a porre delle pezze bagnate per non soccombere all’incandescenza.

NOTE

1 E. Canori Mora, Diario. La mia vita nel cuore della Trinità, Parte prima, cap. VII, § 2. ì Ivi, Parte seconda, cap. II, § 2.
« Correva ancora l’anno 1804, quando fui favorita dal mio Signore con grazia molto singolare. Mi ero ritirata, secondo il solito, al mio oratorio, circa le ore due della notte, mentre, come già dissi, posto che avevo le due figlie a dormire, invece di trattenermi in conversazioni con i parenti ed altri, mi ritiravo al luogo surriferito a fare orazioni. Mi pongo dunque come il solito alla presenza di Dio, umiliando me stessa, quando sopraffatta dallo Spirito del Signore, mi intesi come prendere per la mano e come condurre altrove, senza però conoscere chi mi conducesse. In questo tempo perdo ogni idea sensibile, abbandonata con ogni sicurezza nello Spirito del Signore, mi lascio condurre a suo bell’agio. Ecco che ad un tratto mi trovo alla porta del Cenacolo, in Gerusalemme [...]. Il buon Gesù, per dimostrare l’amore infinito che portava alla povera anima mia, di propria mano mi comunicò. E chi mai potrà ridire i mirabili effetti che sperimentò il mio cuore? Ricevuto che ebbi il prezioso dono, sorpresa fui da dolce sonno, e il mio caro Gesù mi fece riposare sopra il suo petto ». E. Canori Mora, Diario. La mia vita nel cuore della Trinità, Parte prima, cap. HI, § 1.
3 Ivi, Parte seconda, cap. 12, § 5. 6 Ibidem.
4 E. Canori Mora, op. cit., Parte seconda, cap. 43, § 1.
5 J. Robinson, Messa e modernità. Un cammino a ritroso verso il regno dei cieli, Cantagalli, Siena 2010, p. 39.
6 Lindau, Torino 2011
7 J. Robinson, op. cit., p. 48.
8 E. Canori Mora, op. cit., Parte prima, cap. 10, § 1.
9 Ivi, Parte terza, cap. 74, § 1.
10 Ivi, Parte terza, cap. 74, § 2.
11 Ivi, Parte terza, cap. 50, § 5.
12 Ivi, Parte terza, cap. 50, § 7.
13 Ivi, Parte seconda, cap. 30, § 6.
14 Ivi, Parte seconda, cap. 33, § 3.
15 Ivi, Parte prima, cap. 2, § 2.

Estratto da:

Cristina Siccardi, Fatima e la Passione della Chiesa, Sugarco, Milano 2012, pp. 132-134; 139-149.

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