Ha osato!
Dopo aver “canonizzato”, il 27 aprile 2014, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, Francesco-Bergoglio ci ritorna con la “canonizzazione”, il 14 ottobre scorso, di Paolo VI.
I modernisti che occupano la sede di Pietro da sessant’anni non usano neanche più i guanti, non esitano davanti ad alcuna provocazione: si “beatificano” e si “canonizzano” gli uni gli altri in tutta fretta. Fu infatti Giovanni Paolo II che inaugurò tale andazzo, “beatificando”, il 3 settembre del 2000, Giovanni XXIII; e per fare ingoiare la pillola lo stesso giorno “beatificò” Pio IX.
Un farsi beffa del mondo intero: onorare contemporaneamente il Papa del Syllabus e l’organizzatore del Vaticano II… il Pontefice dell’intransigenza cattolica in un mondo rivoltatosi contro Dio, e il propagatore della libertà religiosa e del culto dell’uomo.
Naturalmente, alla “canonizzazione” di Pio IX non è mai seguita la sua canonizzazione, contrariamente a quanto avvenuto con Giovanni XXIII. Si trattò semplicemente di un sotterfugio per evitare che i tradizionalisti si mettessero a gridare.
D’altronde, è impensabile per gli apostati oggi in Vaticano “canonizzare” il Papa di QuantaCura, che si opponeva energicamente al mondo e alla civiltà moderna.
Dichiarando santi i tre principali responsabili del Vaticano II: della sua organizzazione (Giovanni XXIII), del suo svolgimento (Paolo VI) e della sua applicazione (Montini e Wojtyla), Bergoglio ha inteso canonizzare il “concilio” e tutte le riforme disastrose che ne sono derivate sul piano dottrinale, morale, pastorale, liturgico, sacramentale e disciplinare.
I frutti avvelenati del Vaticano II sono fin troppo visibili: crollo delle vocazioni religiose e sacerdotali, rarefazione dell’assistenza alle funzioni domenicali, perdita della fede, indifferentismo e scetticismo, crollo dello spirito apostolico e missionario, disgregazione dei riferimenti morali, incultura religiosa abissale, apostasia universale, depravazione dei costumi, perdita del pudore e della modestia cristiana nel linguaggio, nelle conversazioni, nell’abbigliamento, sviluppo dell’ateismo e del materialismo, proliferazione di sette e di maghi di ogni genere, promozione delle unioni contro-natura, massacro degli innocenti attraverso l’aborto e la pornografia di massa, rifiuto della trasmissione della vita tramite la banalizzazione della contraccezione, lacerazione delle famiglie, esplosione dei suicidi, individualismo forsennato, depressioni, ecc.
I briganti, gli intrusi che occupano la sede di Pietro da sessant’anni vogliono che si consideri la loro opera demoniaca come santa, benedetta, voluta da Dio. Siamo al cospetto dell’inversione più totale e al cinismo più assoluto. Ma è l’intero nostro mondo moderno che è fondato sull’inversione, che promuove la menzogna e l’errore e rigetta la verità, che preferisce la laidezza alla bellezza, che sceglie il male e rifiuta il bene e, peggio ancora, fa il male chiamandolo bene e demonizza il bene.
Poiché Paolo VI è stato ufficialmente “canonizzato”, è il caso di ricordare chi fosse realmente quest’uomo e quale fu la sua opera.
Amico dei Giudei e dei massoni, come i suoi predecessori Roncalli e Wojtyla, Montini ha voluto fare trasbordare il cattolicesimo dal teocentrismo all’antropocentrismo.
Chi dimentica il suo sbalorditivo discorso di chiusura del Vaticano II: «Dategli merito [al concilio] di questo almeno, voi umanisti moderni, rinunciatari alla trascendenza delle cose supreme, e riconoscerete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo.»
Parlando dalla tribuna delle Nazioni Unite, Paolo VI osò dire dell’ONU, organismo mondialista per eccellenza: «Questo aspetto dell'Organizzazione delle Nazioni Unite è il più bello: … è l'ideale dell’umanità pellegrina nel tempo; è la speranza migliore del mondo».
Nella «costituzione pastorale» Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, che è uno dei principali documenti del Vaticano II “promulgati” da Montini, sta scritto: «… tutto quanto esiste sulla terra deve essere riferito all’uomo, come a suo centro e a suo vertice» (n° 12).
Demolitore della fede, egli promulgò, nel dicembre del 1965, i documenti del concilio Vaticano II, che contengono molti errori ed eresie, tra cui l’ecumenismo liberale, la libertà religiosa e la collegialità; che con la Nostra Aetate lavano i Giudei dal crimine di deicidio, aprono la via alla resa degli ultimi uomini in bianco davanti al giudaismo talmudico, uomini in bianco che visitano le sinagoghe non per predicare Gesù Cristo crocifisso e resuscitato, ma per apprezzare i «nostri fratelli maggiori nella fede» e dichiarare che l’Antica Alleanza non sarebbe mai stata abrogata, cosa che equivale ad ignorare la divinità e la messianicità di Cristo.
Nel 1967, Paolo VI abrogò anche il giuramento anti-modernista e la professione di fede del Concilio di Trento; vendette la tiara, corona del Papa e simbolo del suo triplice potere di ordine, giurisdizione e magistero, dopo aver cessato definitivamente di portarla nel novembre 1963, quando la depose sull’altare della Basilica di San Pietro.
E’ a Paolo VI che si deve l’abbandono del latino e del gregoriano alla Messa, nei monasteri e nei seminari; è sempre a lui che si deve la creazione di una «nuova Messa» che in realtà è solo una sinassi protestante con in più le preghiere dell’offertorio riprese dalle benedizioni giudaiche. La prima versione dell’articolo 7 del Novus Ordo Missae definiva la «nuova Messa» come un pasto e scartava completamente la definizione cattolica della Messa: rinnovamento incruento del Sacrificio del Calvario.
E’ sempre a Paolo VI che si deve il cambiamento di tutti i riti, l’adulterazione dei sacramenti, la profonda alterazione dei rituali, ostruendo così i canali della Grazia.
Nel giugno 1968, allorché si industriava a rassicurare falsamente i conservatori col suo Credo e con l’enciclica Humanae vitae, egli promulgò un nuovo rituale per la consacrazione dei vescovi, sul quale studi seri ed accurati hanno concluso per la sua totale invalidità, cosa che pone seriamente la questione della validità degli Ordini ricevuti dai candidati al sacerdozio, conferiti per mezzo secolo da tale nuovo rito.
Tutti i rituali furono profondamente alterati: si istituì un nuovo battesimo in cui sono soppressi tutti gli esorcismi; una nuova cresima in cui non è più obbligatorio utilizzare come materia l’olio d’oliva; un nuovo matrimonio, nel quale il nuovo Codice di Diritto Canonico, promulgato del 1983 da Giovanni Paolo II, inverte i fini del matrimonio, sviluppando nei nuovi sposi una mentalità contraccettiva; ecc.
La desacralizzazione dei luoghi di culto fu sistematica: si girarono gli altari; il celebrante divenne un semplice presidente girato verso l’assemblea e non più verso Dio; si soppressero i banchi della Comunione; si tolsero le statue dei Santi; si trasformarono i confessionali in armadietti per scope; si bruciarono senza alcuna pietà filiale gli antichi paramenti liturgici; si impone la comunione sulla mano; si soppressero tutti i digiuni, tanto eucaristici che ecclesiastici – ancora oggi per comunicarsi bisogna essere a digiuno da nutrimenti solidi da solo un’ora e per i malati e i loro accompagnatori solo da quindici minuti, cosa che il compianto Jean Madiran aveva definito con mordente ironia in Itinéraires: «il quarto d’ora di Paolo VI»; al limite, ironizzava l’autore de L’Eresia del XX secolo, si poteva bere il proprio bicchiere di alcool in chiesa in piena celebrazione e comunicarsi quindici minuti dopo!
Sotto il “regno” – o piuttosto l’usurpazione – di Montini, tutto fu rovesciato: le costituzioni religiose, tutte sfigurate, compresa quella dei Certosini che non era mai stata modificata fin dal tempo del loro fondatore San Bruno; gli Stati, i partiti, le scuole e i sindacati cristiani.
Paolo VI costrinse nel 1967 la Spagna di Franco ad abbandonare la sua Costituzione esplicitamente cattolica. Lo stesso fece con la Colombia nel 1973.
Vicino al giudaismo, Paolo VI indossò significativamente in diverse occasioni l’efod dei sacerdoti giudei, in particolare nel 1968 nel corso del suo viaggio in America.
Nella stessa logica, egli fu favorevole al mondialismo che crede nel ritorno dell’età dell’oro, facendo così eco al suo predecessore Rocalli che, nel suo discorso di apertura del Vaticano IIse la prese con i «profeti di sventura»: «A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo.»
Nella Pasqua del 1971, Paolo VI diceva: «L’umanità è in marcia, essa tende verso l’unità, verso la giustizia, la pace è il fine logico del mondo attuale». E nella stessa allocuzione, mentre i diversi paesi occidentali si apprestavano a legalizzare il crimine dell’aborto, affermava: «La causa non è perduta, l’unità del mondo si farà. Il carattere inviolabile della vita sarà ammesso da tutti in maniera effettiva».
Nel maggio 1978, in un messaggio all’ONU, egli richiamò esplicitamente l’avvento di un «nuovo ordine mondiale». I suoi successori non parleranno diversamente.
Non contento di avere tolto la scomunica agli scismatici orientali; di legittimare la riforma anglicana invitando il pastore Ramsey a benedire la folla con lui, passandogli al dito il suo anello; di autorizzare l’intercomunione con i Protestati senza abiura né confessione; non contento di ricevere i capi comunisti russi ancora rossi del sangue dei cristiani martiri; di accordare udienza ai ribelli delle colonie portoghesi, Paolo VI restituì ai musulmani lo stendardo turco catturato a Lepanto. Questo vessillo molto celebre fu preso ad un ammiraglio turco durante la battaglia navale del 1571: mentre Papa San Pio V digiunava e recitava il Rosario, una flotta cristiana, in inferiorità numerica, sfidò la marina musulmana molto più importante numericamente, salvando così la Cristianità dagli infedeli. In ricordo di questa vittoria miracolosa ottenuta il 7 ottobre 1571, San Pio V istituì la festa della Madonna del Santissimo Rosario, per ricordare la sua intercessione.
Con un solo atto inaudito, Paolo VI rinunciò, non solo ad una vittoria cristiana storica e decisiva, ma anche alle preghiere e ai sacrifici di un Papa santo.
Tutto miele con tutti i nemici storici della Chiesa cattolica, Paolo VI si dimostrò invece pieno di fiele con i tradizionalisti, che contestavano le sue riforme e combattevano i suoi errori e le sue eresie: condannando Mons. Lefebvre e Don Georges de Nantes alla sospensione a divinis, facendo perseguitare dai vescovi modernisti i sacerdoti, spesso anziani, che volevano rimanere fedeli alla Messa della loro ordinazione.
Mentre ancora le Giornate mondialiste della gioventù, le famose GMG, non erano ancora state create (fu Giovanni Paolo II che diede inizio a queste iniziative, nel 1985) Paolo VI diede prova di una ripugnate demagogia nei confronti dei giovani: affermando nella sua allocuzione del 1 gennaio 1972 nella Città dei Giovani a Roma, alla presenza di 150 ragazzi dai 10 ai 19 anni: «Voi che siete moderni, che avete un senso innato della giustizia, sappiate che noi, gli anziani, i vecchi, vi comprendiamo, vi seguiamo» (sic!). Si trattava infatti di sposare tutte le mode, di accompagnare la decadente modernità e di approvarla, comprese le sue derive più ripugnati.
Non bisogna dunque stupirsi se oggi Bergoglio legittima di fatto le unioni omosessuali, promuove l’invasione del continente europeo da parte dei migranti maomettani; egli si colloca perfettamente nella logica del Vaticano II e di Paolo VI, costituita dall’apertura e dalla sottomissione ad un mondo che ha rinnegato Cristo, la Sua legge, la Sua morale, il Suo Vangelo.
Del mondo moderno si può fare una critica politica, sociologica, molto interessante, ma se nell’analisi si prescinde dal cataclisma che il Vaticano II ha rappresentato e continua a rappresentare, con le sue conseguenze disastrose e con la sua rivoluzione più che mai all’opera, ci si impedisce di toccare col dito l’essenziale.
L’uomo è fondamentalmente un animale religioso. Gli antichi lo sapevano. Non è innocente, non è indifferente, non è neutro, tale da allontanare completamente Dio dalla città, dalle istituzioni, dalla coscienza e dal suo cuore. Se lo fa, spalanca davanti a sé un gigantesco abisso in cui finisce con l’immergersi ogni giorno di più. Fino al punto da affogare irreparabilmente.
di Jérôme Bourbon
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