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venerdì 19 ottobre 2018

Con Cirillo

In Oriente è rottura tra Cirillo e Bartolomeo. E il papa sta di più col primo


Sul terreno militare il conflitto tra Russia e Ucraina prosegue a bassa intensità. Ma sul terreno religioso lo scontro ha toccato il suo acme. Il 15 ottobre il patriarcato di Mosca “e di tutte le Russie” ha troncato la comunione eucaristica con il patriarcato ecumenico di Costantinopoli, guidati dai rispettivi patriarchi Cirillo e Bartolomeo.


Ciò significa che i sacri ministri della Chiesa ortodossa russa non celebreranno più alcuna liturgia assieme a quelli del patriarcato di Costantinopoli – al quale Mosca rifiuta sistematicamente di attribuire la qualifica di “ecumenico” – e anche i semplici fedeli russi dovranno astenersi dal partecipare ai sacramenti amministrati nelle chiese del patriarcato bizantino, comprese quelle del Monte Athos.
Il motivo della rottura è la decisione di Bartolomeo, annunciata l’11 ottobre, di dar vita in Ucraina a una Chiesa ortodossa “autocefala”, cioè indipendente, non più sottoposta alla giurisdizione del patriarcato di Mosca.
Propriamente, in Ucraina le Chiese ortodosse sono oggi tre. C’è quella, la più grande, con metropolita Onufry, che appunto ricade sotto la giurisdizione del patriarcato di Mosca. Ce n’è una seconda creata nel 1995 come patriarcato indipendente da un ex alto gerarca della Chiesa russa, Filarete, che è stato di conseguenza scomunicato da Mosca. E ce n’è una terza, con metropolita Macarius, anche lui scomunicato, autoproclamatasi “autocefala” nel 1991 ma fino a ieri non riconosciuta da nessun’altra Chiesa ortodossa.
Ebbene, il disegno di Bartolomeo è di unificare questi tre tronconi e di conferire autonomia a una ricostituita Chiesa ortodossa ucraina, nell’orbita del patriarcato ecumenico di Costantinopoli. A questo scopo ha revocato le scomuniche sia di Filarete che di Macarius. Ha inviato in Ucraina come propri esarchi – chiamandoli rispettivamente dagli Stati Uniti e dal Canada – i vescovi Daniel e Hilarion, con il compito di tessere le fila dell’unificazione. Ha ripristinato a Kiev lo “stavropigion” di Costantinopoli, cioè una giurisdizione ecclesiale direttamente dipendente dal patriarcato ecumenico. E ha dichiarato decaduto “il vincolo giuridico della lettera sinodale dell’anno 1686”, cioè del documento con il quale l’allora patriarca ecumenico Dionisio IV accettò la subordinazione della metropolia di Kiev al patriarcato di Mosca.
Di quest’ultimo documento le interpretazioni di Costantinopoli e Mosca sono diametralmente opposte. Per Costantinopoli quella concessione di diritti era provvisoria e da tempo non vale più. Per Mosca era e resta definitiva.
Ma c’è di più. Cirillo non riconosce a Bartolomeo quel “primato” in campo ortodosso di cui il secondo si ritiene invece investito.
Il primato che il patriarca ecumenico di Costantinopoli intende esercitare non eguaglia il primato del papa sulla Chiesa cattolica, ma è molto più di una pura precedenza “di onore”, come invece il patriarcato di Mosca sostiene. Bartolomeo rivendica per sé uno storico ruolo di guida nell’intera “ecumene” dell’ortodossia, ed è tornato a ribadire questa sua prerogativa in una recente conferenza all’Accademia ortodossa di Creta:
“Se il patriarcato ecumenico abbandonasse le sue responsabilità e si ritirasse dalla scena interortodossa, allora le altre Chiese locali sarebbero come pecore senza pastore, impegnate in iniziative ecclesiastiche che mescolerebbero l’umiltà che deriva dalla fede con l’arroganza che deriva dal potere. Da qui nasce il ruolo di coordinamento assegnato al patriarca ecumenico nel seno della famiglia panortodossa. L’ortodossia ha bisogno del patriarcato ecumenico per non divenire un gruppo slegato di Chiese irrimediabilmente disperse in differenti luoghi”.
Il patriarcato di Mosca, invece, è talmente lontano dal riconoscere questa primazia al patriarca di Costantinopoli che non ha esitato a far fallire con la sua assenza, nel 2016, il concilio panortodosso faticosamente convocato a Creta da Bartolomeo, così come non ha esitato ora a motivare la sua rottura della comunione eucaristica con Costantinopoli con “il proprio dovere di difendere i fondamentali principi dell’ortodossia e la santa tradizione della Chiesa, ora rimpiazzati da nuove ed aliene dottrine circa il potere universale del primate”.
Nel boicottare il concilio panortodosso di Creta voluto da Bartolomeo Mosca non fu sola. Ebbe dalla sua parte il patriarcato di Antiochia, con sede a Damasco, che fece mancare anch’esso la sua presenza. E ora lo ha di nuovo al proprio fianco riguardo all’Ucraina, forse anche per il ruolo della Russia nel conflitto di Siria, a sostegno del regime di Assad, ritenuto dagli ortodossi di quel paese estremo argine di difesa della loro sopravvivenza.
Con Cirillo e contro Bartolomeo si sono inoltre pronunciati, nei giorni scorsi, le Chiese ortodosse di Serbia, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Montenegro.
E in Ucraina? Le due Chiese ortodosse ostili a Mosca di Filarete e Macarius sono naturalmente a favore dell’iniziativa di Bartolomeo, anche a costo di rinunciare a che sia uno di loro il capo della nuova Chiesa “autocefala”.
È invece difficile prevedere che cosa faranno i vescovi, il clero, i fedeli della Chiesa ortodossa ucraina sottoposta alla giurisdizione di Mosca. Il suo metropolita Onufry era presente a Minsk, in Bielorussia, alla riunione del sinodo del patriarcato di Mosca che il 15 ottobre ha rotto la comunione eucaristica con Costantinopoli. E ha ribadito di ritenere tuttora invalidi i sacramenti celebrati dalle due Chiese “scismatiche” di Filarete e Macarius, proibendo quindi ai fedeli di partecipare alle loro liturgie e di aderire alla nascente Chiesa ucraina unificata.
Ma da un recente sondaggio risulta che in Ucraina la creazione di una Chiesa ortodossa unificata e autonoma gode del consenso del 31,3 per cento della popolazione, mentre i contrari sono il 19,8 per cento, gli indifferenti il 34,7 e i non rispondenti il 14,2 per cento. Naturalmente con variazioni da zona a zona, con il massimo dei favorevoli, il 58 per cento, a Ovest, e il massimo dei contrari, il 28,2 per cento, a Est.
In ogni caso, la perdita della metropolia ucraina sarebbe per il patriarcato di Mosca un colpo durissimo. Un buon 40 per cento delle parrocchie dell’intero patriarcato di Mosca sono situate in Ucraina, 12 mila su 30 mila circa. E sommando a queste le parrocchie delle altre due Chiese ortodosse in via di unificazione, la nuova Chiesa ortodossa ucraina “autocefala” diventerebbe la seconda più popolosa Chiesa ortodossa del mondo, capace di rivaleggiare con il patriarcato di Mosca, fino ad oggi primatista indiscusso per numero di fedeli.
Il metropolita Hilarion di Volokolamsk, l’attivissimo “ministro degli esteri” del patriarcato di Mosca, è tornato ad accusare il 13 ottobre il presidente ucraino Poroshenko e gli Stati Uniti di agire a sostegno dell’iniziativa separatista di Bartolomeo.
Riguardo a Poroschenko ha ragione, viste le frequenti dichiarazioni pubbliche.del presidente ucraino. Ma Hilarion ha più volte accusato di agire nella stessa direzione anche la Chiesa greco-cattolica ucraina. Il non nascosto sospetto del patriarcato di Mosca è che i greco-cattolici vogliano condurre surrettiziamente la nuova Chiesa ucraina “autocefala” a unificarsi anche con loro e così tornare all’obbedienza della Chiesa di Roma.
Hilarion deve aver espresso questo sospetto personalmente a papa Francesco nell’udienza che ebbe con lui il 30 maggio scorso, stando al duro avvertimento dato in quell’occasione dallo stesso Francesco ai cattolici ucraini di “non immischiarsi nelle cose interne della Chiesa ortodossa russa”:
In questa come in altre occasioni, riguardo alla questione ucraina sia politica che religiosa, Francesco ha mostrato di essere più sensibile alle ragioni di Mosca che a quelle di Costantinopoli.
Ma nel dialogo ecumenico che sta tanto a cuore a Jorge Mario Bergoglio, il patriarcato di Mosca gli è spesso più di ostacolo che di aiuto.
Infatti, l’ostilità di Mosca a qualsiasi idea di primato altrui che non sia meramente “di onore” non si esprime solo negando la qualifica e l’autorità di “ecumenico” al patriarcato di Costantinopoli e osteggiando ogni sua iniziativa di largo raggio, ma anche contro l’avanzamento dei lavori di quella Commissione internazionale congiunta per il dialogo teologico tra le Chiese ortodosse e cattolica che è da anni bloccata proprio sulla questione del primato, e vi resta bloccata proprio per l’ostinazione di Mosca a non accordarsi nemmeno con le altre Chiese ortodosse che partecipano a questo dialogo.
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Il 13 ottobre l’arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica ucraina, Sviatoslav Shevchuk, ha rilasciato un’ampia intervista a John L. Allen e Inés San Martin pubblicata su “Crux” il 17 ottobre:
Shevchuk si dice “non autorizzato a entrare negli affari interni delle Chiese ortodosse”. Ma “come pastore a cui Dio ha affidato la cura delle anime” giudica un “evento epocale” la decisione del patriarca ecumenico di Costantinopoli di ammettere nella comunione ecclesiale le due Chiese ortodosse ucraine fino a ieri non riconosciute e scomunicate.
E il passo conseguente sarà la costituzione di una Chiesa ucraina unificata e indipendente, perché – dice – “ciò di cui l’Ucraina ha bisogno oggi è l’affermazione dei propri diritti: non solo il diritto di avere un paese indipendente ma anche quello di avere la sua interpretazione del proprio passato, presente e futuro religioso”.
Molto critico si dice invece Shevchuk del comportamento del patriarcato di Mosca, con la sua “logica di natura geopolitica” e col suo “linguaggio di minacce, ricatti e ultimatum”.

Settimo Cielo di Sandro Magister 18Ott.  http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2018/10/18/in-oriente-e-rottura-tra-cirillo-e-bartolomeo-e-il-papa-sta-di-piu-col-primo/

Putin dice qualcosa di estremo.

Dopo l’olocausto nucleare, andremo in paradiso come martiri; gli attaccanti moriranno come peccatori – Putin

Putin: in caso di olocausto nucleare, noi moriremo da martiri e andremo in cielo; i nostri nemici sprofonderanno all’inferno.
Frase piuttosto estrema per un capo di  stato…
Se una nazione decide di attaccare la Russia con armi nucleari, può porre fine alla vita sulla Terra; ma a differenza degli aggressori, i russi sono sicuri di andare in paradiso, ha detto il presidente Vladimir Putin.
“Qualsiasi aggressore dovrebbe sapere che la retribuzione sarà inevitabile e sarà distrutto. E poiché saremo le vittime della sua aggressione, andremo in paradiso come martiri. Cadranno semplicemente morti, non avranno nemmeno il tempo di pentirsi “, ha detto Putin durante una sessione del Club Valdai a Sochi.
Ha aggiunto che le forze nucleari della Russia non sono progettato per un attacco preventivo (“primo colpo”) ma  come capacità di secondo attacco volta a scoraggiare un attacco da parte di una nazione straniera.
La dottrina nucleare russa consente l’uso di quest’arma in un conflitto convenzionale, ma solo se è in gioco l’esistenza della Russia. Questo presumibilmente dà ai militari russi una scappatoia per usare armi nucleari tattiche nel caso di un’invasione su larga scala. Le restrizioni autoimposte sono meno dure di un impegno completo di “non primo uso”, che è stato abbandonato da Mosca nel 1993.
L’ultima revisione sulla dottrina atopmica  degli Stati Uniti  dice che Washington potrebbe usare le armi nucleari in risposta a un attacco non nucleare contro se stesso o i suoi alleati. Rimangono nel vago sulle circostanze esatte che possono scatenare un’azione del genere. Ciò ha fatto sorgere la speculazione che anche un attacco informatico può consentire una risposta nucleare. Nel frattempo, un appello per la creazione di missili lanciati da sottomarini a piccola produzione e missili da crociera con missili nucleari capaci di lanciare sul mare hanno solo aggiunto alle preoccupazioni che gli Stati Uniti stiano accumulando per qualche tipo di conflitto su vasta scala.
(RT)
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