Chi oggi vuol parlare ai giovani in modo credibile,ma soprattutto chi intende tutelarli dall’opera del Demonio che tra il Novecento ed il Nuovo Millennio pare essersi scatenato in tutti gli àmbiti ed a tutti i livelli, dovrebbe anzitutto invitarli a fuggire le inside del peccato, non certo ad inserire l’acronimo LBGT nell’Instrumentum Laboris del Sinodo, per vedere come sistemare certe nuovo “edificanti” tendenze.
Poteva mancare il Priore emerito di Bose, Sua Beatitudine Enzo Bianchi, al Sinodo dei Giovani? Il tempo di terminare la predicazione degli esercizi spirituali al clero ad Ars [cf. articolo QUI], ed eccolo giungere a donar preziose perle come partecipante al Sinodo. E siccome siamo in piena èra di cosiddetta «rivoluzione epocale», egli spiega anzitutto ai giornalisti che in questo Sinodo «c’è una grande libertà di intervento che nei sinodi precedenti io non ho sperimentato» [cf.QUI]. Ovviamente Sua Beatitudine omette di precisare che questa “libertà” rammenta molto il periodo del terrore di Robespierre durante la Rivoluzione Francese, visto che tutti coloro che hanno sollevato a vario titolo libere obiezioni, o sono stati destituiti dai loro uffici di curia, o dimessi senza motivo, o lasciati al loro posto ma totalmente esautorati dall’esercizio delle loro funzioni, oppure morti di crepacuore, come il compianto Cardinale Carlo Caffarra [cf. nostri articoli, QUI, QUI].
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Forse, Sua Beatitudine, ignora che nel mondo, i crimini e le ingiustizie peggiori, paradossalmente sono state realizzate proprio in nome dei pretesti di libertà. Ne rimane emblema la nobildonna Marie-Jeanne Roland de la Platière, che salendo la scale verso la ghigliottina disse: «Oh Liberté, que de crimes on commet en ton nom!» [Oh, libertà, quanti crimini che si commettono nel tuo nome!].
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Chi oggi vuol parlare ai giovani in modo credibile,ma soprattutto chi intende tutelarli dall’opera del Demonio che tra il Novecento ed il Nuovo Millennio pare essersi scatenato in tutti gli àmbiti ed a tutti i livelli, dovrebbe anzitutto invitarli a fuggire le inside del peccato, non certo ad inserire l’acronimo LBGT nell’Instrumentum Laboris del Sinodo, per vedere come sistemare certe nuove “edificanti” tendenze [cf. nostro articolo QUI]. Ovviamente, nulla di tutto questo può essere realizzato, quando a parlare ai giovani viene invitata appunto Sua Beatitudine, che non solo è specializzato a sorvolare sul peccato, perché andando più a fondo ancora e partendo dalla radice, Enzo Bianchi finisce col negare, attraverso le sue fumose interpretazioni, lo stesso peccato originale. A quel punto, tutto diviene più o meno lecito al di là del bene e del male. E poi si pretende di parlare ai giovani? Perché ai giovani non va offerto né un Vangelo annacquato, né una via agevole, stando almeno a quanto ci ha detto Gesù Cristo:
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«Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!» [Mt 7, 13-14].
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Vediamo adesso qual è il concetto di peccato originale in questo soggetto invitato al Sinodo dopo avere appena terminato di predicare ai preti …
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Tutto il senso del cristianesimo poggia sulla dottrina del peccato originale. Se questa dottrina è falsata, tutto il cristianesimo crolla. Infatti, il cristianesimo, è forza divina di salvezza dal peccato originale e dalle sue conseguenze e ritorno dell’umanità alla condizione felice precedente al peccato, con l’aggiunta di una superiore condizione, quella dei «figli di Dio», «uomini spirituali», ad immagine del Figlio Gesù Cristo.
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L’opera redentrice di Cristo consiste essenzialmente nel liberare l’umanità dalla colpa originale e dalle sue conseguenze: nel guarire le ferite, togliere la condanna del peccato, la concupiscenza, la sofferenza, la morte e la schiavitù a Satana, dando soddisfazione col sacrificio della croce al Padre per i nostri peccati, riconciliandoci tra di noi e col Padre ed ottenendoci la sua misericordia e il suo perdono, e donandoci la legge e la grazia dello Spirito Santo, che ci rende figli di Dio, eredi della vita eterna.
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È chiaro allora che è impossibile capire ed apprezzare la grandezza della misericordia del Padre, che per misericordia ci manda il Figlio innocente a morire sulla croce propter nos et propter nostram salutem, per noi peccatori, debitori insolventi, se non si capisce l’immensa gravità e pervasività del peccato originale, origine di tutti i nostri peccati e della miseria, nella quale, per giusto giudizio del Padre, esso ha gettato l’intera umanità.
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Cristo è il Medico divino, che conosce bene i nostri mali, sa interpretare i nostri disturbi, ce ne mostra le cause e le conseguenze e ci insegna come guardarcene, nonché il modo e i mezzi per giungere alla guarigione. Gesù è venuto apposta per insegnarci e rivelarci, attraverso la Chiesa, meglio e al di là di qualunque filosofia, qual è l’origine del male che affligge l’intera umanità ab immemorabili, male del quale da sola non solo non riesce a liberarsi, ma del quale non riesce neppure a comprenderne pienamente la natura e a farne la diagnosi.
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È dunque falsissimo quello che dice Bianchi, che la Chiesa non sappia qual è l’origine e il perché del male, perché, se così fosse, non avrebbe modo di eliminarlo, cosa assolutamente falsa, perché verrebbe a vanificare l’opera della redenzione e renderebbe nullo l’intero cristianesimo, o tutt’al più lo renderebbe un filantropismo al livello della massoneria o dello gnosticismo, dove Gesù Cristo è niente più che un profeta o un grande benefattore dell’umanità, un premio Nobel, che, per sostenere la causa della giustizia e degli oppressi, resta saldo contro gli oppositori fino alla morte.
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La massima manifestazione della misericordia divina è certamente il perdono gratuito dei peccati, ma, secondo il piano del Padre, spiegato dal dogma della Chiesa [1], questo piano prevede che noi collaboriamo con le nostre sofferenze, penitenze ed opere buone in grazia, all’opera sacerdotale [2] e cultuale riparatrice ed espiatrice di Gesù Cristo crocifisso, dono appunto della misericordia del Padre grazie alla quale espiamo i nostri peccati e rendiamo soddisfazione al Padre, offeso dal peccato, riconciliandoci con Lui in Cristo e nella Chiesa mediante i sacramenti. Così la salvezza non è solo dono della grazia, ma anche nostra conquista e premio grazie al merito [3] soprannaturale delle buone opere. Negando di valore dei meriti, Bianchi cade nella medesima eresia di Lutero.
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Bianchi non comprende che la dottrina, insegnata dal Concilio di Trento [Denz. 1511, 1522, 1529], per la quale il Padre, sdegnato e offeso per il peccato dell’uomo, esige riparazione, e a tal fine manda il Figlio ad offrirsi in sacrificio sulla croce per il riscatto dai nostri peccati, non è per nulla una falsa interpretazione, ormai superata, dell’opera del Padre e del Figlio, come se si trattasse di un Padre crudele e di un Figlio succube dal padre-padrone, ma è dogma immutabile della fede [4]. Invece si tratta di dottrina biblica e dogmatica, che ci fa comprendere l’immensa misericordia ed ammirevole giustizia del Padre, che ci dona il Figlio per la salvezza di noi peccatori, glorificando il Figlio insieme con noi, i quali a nostra volta, nello Spirito Santo, glorifichiamo in Cristo il Padre [Gv 17]. E in questa sacra e divina circolarità di una reciproca glorificazione si riassume tutto il mistero della liturgia cristiana, fons et culmen totius vitae christianae, mistero che si dissolve nella concezione di Bianchi.
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La dottrina del peccato originale, come tutte le verità rivelate, non è di facile interpretazione ed offre forti difficoltà alla nostra ragione. Inoltre essa emerge solo da un sapiente collegamento di passi della Scrittura, che vanno dal famoso racconto genesiaco, al libro di Giobbe, a San Paolo, all’Apocalisse, tra di loro assai distanti, il cui nesso non è immediatamente visibile. Inoltre, questa dottrina, proprio perché fondamentale, stantis et cadentis christianismi, si dirama ed ha agganci con tutte le altre verità morali della divina Rivelazione, financo con quelle teoretiche, sicché uno che volesse esporre questa dottrina in tutti i suoi rapporti con le altre verità di fede, dovrebbe prendere in considerazione tutto l’insieme del Credocristiano. Infatti, anche la percezione e la contemplazione di una verità così puramente speculativa come è il dogma trinitario, è resa possibile, in fin dei conti, dal fatto che noi ci siamo liberati dalla colpa originale, accogliendo la grazia della redenzione offertaci da Cristo.
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Questa dottrina non risulta da una semplice esegesi biblica, ma è lentamente maturata nella storia ed è stata esplicitata e precisata nei secoli con l’apporto dei Padri, dei Dottori e dei Santi, sotto la guida del Magistero della Chiesa, soprattutto nel Concilio di Orange del 529 [Denz. 371-372], e nei grandi Concili Lateranense IV e di Trento, nei quali ha assunto una forma dogmatica definitiva, che da allora non è più stata ulteriormente approfondita, neppure dal Concilio Vaticano II, che si limita ad assumere la dottrina tradizionale. Questa dottrina è oggi affidata al Catechismo della Chiesa Cattolica [nn. 396-406]. Nel contempo il dato rivelato che essa esprime sollecita i teologi a sempre nuovi chiarimenti ed approfondimenti e li spinge a porsi sempre nuove domande, che conducono a una sempre migliore conoscenza della Parola di Dio.
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I progressi dell’esegesi storico-critica, soprattutto a partire dal secolo XIX, sono stati di grande aiuto alla Chiesa per correggere certe ingenuità popolari, chiarire il genere letterario del racconto genesiaco, la storia della sua redazione, i rapporti dell’agiografo con culture coeve extra-bibliche, per separare il nucleo storico e teologico dal rivestimento simbolico e mitologico, per superare una visione cosmologica evidentemente superata dal progresso scientifico moderno, soprattutto in relazione ai dati della teoria dell’evoluzione. Hanno giovato alla comprensione del dogma del peccato originale anche i progressi filosofico-teologici compiuti a partire dal secolo XIX, soprattutto con la rinascita tomista promossa da Leone XIII, i progressi della metafisica concernenti la natura del bene e del male, della teologia naturale riguardanti la creazione del mondo, i progressi dell’antropologia circa la natura dell’uomo e della donna, i progressi della psicologia e della teologia morale sulla natura del libero arbitrio, della responsabilità, della coscienza, del peccato, della colpa e della grazia.
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L’oscurità del dato biblico, l’apparente ingenuità del racconto genesiaco — una coppia posta in un giardino di delizie tentata da un serpente di mangiare un frutto proibito — , il suo apparente contrasto con i dati della scienza sull’origine dell’uomo [5] e la sua apparente assurdità, una colpa che si trasmette per generazione biologica o di un Dio buono, che però permette il male, tutte queste difficoltà sono state occasione perché da sempre la dottrina del peccato originale sia stata fraintesa, derisa, falsificata o rifiutata in vari modi.
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LA CONCEZIONE DI BIANCHI E IL PENSIERO DELLA CHIESA
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In questo articolo esaminiamo la posizione di Enzo Bianchi. Egli si considera «cattolico» e dichiara di esporre la visione che oggi la Chiesa ha del peccato originale, dando ad intendere che essa non accetterebbe più quel che troviamo esposto nel Catechismo della Chiesa Cattolica. Vorremmo allora chiedere a Enzo Bianchi di quale «Chiesa» parla, dato che non è quella del Catechismo. In realtà Bianchi non espone affatto la dottrina della vera Chiesa, ma di una falsa Chiesa, che è quella dei modernisti.
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Sul peccato originale Bianchi presenta una concezione che, come ho detto, spaccia per dottrina della Chiesa, ma che in realtà, come si può verificare facilmente consultando il Catechismo, è esattamente l’opposto di quella insegnata dalla Chiesa e pertanto è del tutto falsa. Egli comincia col deridere il racconto genesiaco come fosse una favola da bambini:
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«Inutile dire che la Bibbia non dice da dove veniva il male. Spero che nessuno di voi ricordi questa storiella raccontata che ci raccontavano tutti che ci sarebbe stato un angelo che si è rivoltato a Dio, Dio lo ha precipitato e questo è diventato il diavolo, il diavolo ci tenta, il mondo era bello, era dorato, si passeggiava dal mattino al tramonto. Anzi il tramonto non veniva mai perché non c’era la tenebra. Poi quei due poverini di Adamo ed Eva han fatto quella cosa e la paghiamo noi dopo non so per quanti milioni di anni»[cf. Enzo Bianchi, QUI].
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E spiega:
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«ma quando si dice peccato originale oggi la Chiesa, attenzione su questo, non intende il peccato commesso alle origini e che poi ha causato per sempre un disastro, ma il peccato che sta all’origini di ciascuno di noi, della nostra esistenza, della nostra libertà e della nostra facoltà di decisione; questo è il male»[cf. Enzo Bianchi, QUI].
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«nessun peccato originale nel senso di un peccato commesso all’inizio. Questo la Chiesa cattolica non lo dice più. Ma il peccato originale che abita in ogni uomo emerge ogni volta che entriamo in contatto, in comunicazione o in relazione con le cose. Di fronte a un albero simbolo di tutte le cose, l’uomo e la donna si sentono tentati»[cf. Enzo Bianchi, QUI].
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«La Chiesa non è più su queste posizioni. La Chiesa non legge più il peccato originale nella preistoria degli uomini. Questo è ormai una sciocchezza. Più nessuno ossa dire questo. Ma il peccato originale viene letto come il peccato che sta nelle fibre di ogni uomo che viene al mondo»[cf. Enzo Bianchi, QUI].
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Al contrario, il Catechismo presenta il peccato originale proprio come peccato commesso da una coppia umana realmente esistita, capostipite di tutta la specie umana, creata da Dio a sua immagine e somiglianza, ribellatasi alla proibizione divina di sostituirsi a Lui nel decidere del bene del male [nn.396-399] [6]. Il peccato originale, quindi, non è affatto un peccato che è alle origini della nostra esistenza personale, come fosse un attonostro, ma è all’origine dell’umanità.
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Il peccato originale non è il primo peccato che commettiamo nella nostra storia personale, giunti all’età di ragione. Il racconto biblico non è, come credono anche Karl Rahner e il Cardinale Gianfranco Ravasi, un «mito eziologico», per spiegare con un rimando al passato ciò che avviene nel presente. La colpa del peccato originale, nella quale nasciamo, non è una colpa nostra, ma una colpa che abbiamo ereditato dai progenitori. Come infatti potrebbe essere una colpa nostra, se alla nascita ancora non siamo giunti all’età di ragione?
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Secondo il dogma della Chiesa, che chiarisce la dottrina di San Paolo, la colpa del peccato originale non è solo una colpa personale propria dei progenitori, ma è colpa collettiva dell’intera umanità, colpa che, una volta commessa dai progenitori, si trasmette per generazione all’intera umanità nata da Adamo, per cui ognuno di noi, tranne la Beata Vergine Maria, esente dalla colpa originale, è concepito dalla madre affetto e macchiato da questa colpa originaria ed ereditaria, indipendentemente dalla volontà del singolo, ancora incapace di intendere e di volere, colpa dalla quale lo libera il Battesimo.
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E se è vero che Cristo non parla mai con precisione del fine, dell’effetto e del motivo del Battesimo, se non per dire che purifica dal peccato ed assicura la salvezza, e non accenna mai al peccato originale, il fatto stesso che ordini di battezzare ogni uomo, è l’implicita ammissione dell’esistenza in ciascuno di noi della colpa originale, colpa che appunto viene tolta dal Battesimo.
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La trasmissione della colpa originale, che coinvolge e infetta l’intera umanità, suppone una concezione corporativa della natura umana, quasi fosse non una semplice collezione di persone, ma un unico soggetto o un’unica persona [7], una “super-persona” composta di persone, senza con ciò escludere affatto la singolarità, l’autonomia e la responsabilità delle singole persone fisiche.
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Questa concezione dell’umanità appare chiaramente nel pensiero paolino relativo sia all’umanità peccatrice a seguito del peccato originale [«in Adamo tutti abbiamo peccato»], [Rm 5,12] [8] e sia nella sua concezione dell’umanità santa, ossia della Chiesa come «Corpo mistico» del Signore, «Sposa di Cristo». Per questo San Tommaso d’Aquino spiega che il peccato originale non è tanto il peccato di quell’individuo, quanto piuttosto è peccato della natura umana, peccatum naturae, come se dicessimo che se uno pecca con la mano, è lui stesso che pecca [9]. Così, per quanto riguarda la colpa originale in Tizio e Caio è la stessa umanità a peccare in loro. Oppure — Tommaso fa un altro paragone — noi diciamo che un corso d’acqua è inquinato perché viene inquinato alla sorgente. Certo, si tratta di semplici paragoni, che, per quanto facciano luce, non possono togliere l’oscurità del mistero. Il fatto storico del peccato originale è un puro dato della divina Rivelazione. La ragione arriva a comprendere l’essenza del male di colpa e di pena, capisce che questa è conseguenza di quella; capisce che l’esistenza del male non è necessaria, ma è un qualcosa di accidentale e contingente.
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Partendo dal suo falso presupposto, si capisce allora come Bianchi non riesce a spiegare come mai tutti noi, pur nascendo buoni, in quanto creati da Dio, e dotati del potere di scegliere tra il bene e il male, diventiamo ineluttabilmente cattivi; e non trovando una soluzione, addebita alla Bibbia un errore che è soltanto suo.
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Bianchi dunque confonde qui evidentemente due cose. Un conto è il peccato originale, peccato dei progenitori, che tocca le nostre origini e la cui colpa si diffonde in tutta l’umanità. E un conto è la nostra innata inclinazione a peccare, — la concupiscenza — che è conseguenza del peccato originale. Bianchi afferma così che la Chiesa avrebbe abbandonato come fosse una «sciocchezza» e una «mancanza d’intelligenza imperdonabile», il racconto della creazione di Adamo nel paradiso terrestre, dotati di doni preternaturali, felici, immortali ed innocenti, in comunione con Dio. Dice:
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«La Chiesa non legge più il peccato originale nella preistoria degli uomini. Questo è ormai una sciocchezza. Più nessuno osa dire questo. Ma il peccato originale viene letto come il peccato che sta nelle fibre di ogni uomo che viene al mondo. Se voi volete è quell’incapacità di operare sempre il bene. Il male a un certo punto entra in noi» [cf. Enzo Bianchi, QUI].
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Ma basta consultare ciò che il Catechismo insegna per accertarsi della falsità delle parole di Bianchi. Dice infatti ilCatechismo riferendosi al peccato dei progenitori:
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«L’uomo, tentato dal diavolo, ha lasciato spegnere nel suo cuore la fiducia nei confronti del suo Creatore e, abusando della propria libertà, ha disobbedito al comandamento di Dio. In ciò è consistito il primo peccato dell’uomo [cf Rm 5,19]. In seguito, ogni peccato sarà una disobbedienza a Dio e una mancanza di fiducia nella sua bontà» [n. 397].
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Inoltre, a causa della sua negazione della storicità del peccato originale, Bianchi finisce per concepire la tendenza umana al male non come conseguenza della caduta originaria, ma come intrinseca alla stessa natura umana, con gravissime conseguenze per quanto riguarda il male dell’uomo e nell’uomo, perché, se questo è naturale, diventerà bene, giacché bene è ciò che è secondo natura. Ne segue allora una conseguenza orribile e cioè che il peccato diventa buona azione e la buona azione diventa peccato. Non si distingue più ciò che è secondo natura da ciò che è contro natura. Da qui probabilmente l’eccessiva indulgenza di Bianchi nei confronti della sodomia.
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Dice Bianchi:
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«il racconto che tutti conosciamo e che l’uomo e della donna. L’umanità nella sua dualità nel mettersi in rapporto con le cose, nel vivere nell’esistenza. Mostra di scegliere il male e di non scegliere il bene. Non leggete quel racconto come se fosse l’origine della nostra storia. Sarebbe davvero una mancanza d’intelligenza imperdonabile. Il racconto della Genesi ci vuol dire la realtà dell’uomo, di ogni uomo che viene al mondo, di ogni donna che viene al mondo. Si trova in un mondo in cui c’è già il male. C’è già il serpente, che precede l’uomo. Esso era già là. C’era già il male. E l’uomo nella sua vita vi consente e sceglie il male» [cf. Enzo Bianchi, QUI].
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Per Bianchi, come abbiamo già visto, la tendenza al peccato non è propria della natura umana decaduta da uno stato primitivo d’innocenza, ma è insita nella stessa natura umana. Ma se il male è naturalmente nell’uomo, allora il male è naturale e non è più male. Dunque, pensare che Cristo ci liberi dal male è un’illusione o una stortura. Per Bianchi la presenza della morte e le ostilità della natura non sono conseguenze o castigo di un peccato che abbiamo commesso alle origini, perché il male c’era già prima del peccato. Dice:
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«Con la conoscenza delle scienze che abbiamo, sappiamo che prima dell’uomo il male regnava nella natura già prima: il lupo mangiava l’agnello. Già prima, la catena della vita andava avanti attraverso la morte di alcuni perché altri vivessero. Non c’è stata una introduzione del male da parte nostra. Il male c’era. E certamente il male ci precedeva: il serpente, Satana, il diavolo e poi le denominazioni sono molte. Ma il male c’era» [cf. Enzo Bianchi, QUI].
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Rispondiamo dicendo che è vero che il male c’era già a causa del peccato dell’angelo ed è vero che la morte dei viventi infra-umani ha preceduto storicamente la comparsa dell’uomo sulla terra. Questo secondo dato risulta dalla scienza, mentre il primo è un dato della Rivelazione. Dalla Scrittura infatti sappiamo che il male ha avuto origine dalla ribellione di alcuni angeli a Dio [Ap 12, 7-9]. Ma per quanto riguarda la morte dei viventi infra-umani, essa è naturale; infatti è presente già nell’Eden. Non è conseguenza del peccato dell’uomo. I viventi infra-umani servono al nutrimento dell’uomo.
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Invece, per quanto riguarda la nostra morte, la Rivelazione insegna che essa è conseguenza del peccato originale, benché anch’essa di per sé sarebbe naturale [10]. Ma, come insegna il Concilio di Trento [Denz, 1511], nell’Eden possedevamo una grazia di immortalità, che abbiamo perduto col peccato. Infatti, i progenitori nell’Eden erano immortali. Ed inoltre, secondo la Rivelazione, la morte, dalla quale Cristo ci salva, trae la sua prima origine dal peccato dell’angelo [Sap 2,24] [11]all’inizio della creazione.
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Da considerare inoltre che Pio XII nell’enciclicaHumani Generis del 1950 [Denz. 3897] ribadisce che occorre ammettere l’esistenza storica di una coppia, dalla quale tutta l’umanità ha avuto origine, altrimenti sarebbe stata impossibile la trasmissione della colpa originale a tutta l’umanità, cosa che rientra nel dogma del peccato originale.
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Come dice infatti il Catechismo:
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«Adamo ci ha trasmesso un peccato, dal quale tutti nasciamo contaminati» [n,403]. «Tutti gli uomini sono coinvolti nel peccato di Adamo, così come tutti sono coinvolti nella giustizia di Cristo» [n.404]. S.Paolo fa capire chiaramente che, se non ci fosse stato Adamo col suo peccato, non ci sarebbe stato Cristo, perché Cristo ripara il peccato di Adamo [Rm 5, 12-20]. «Adamo ed Eva commettono un peccato personale, ma questo peccato intacca la natura umana, che essi trasmettono in una condizione decaduta. Si tratta di un peccato che sarà trasmesso per propagazione a tutta l’umanità, cioè con la trasmissione di una natura umana privata della santità e della giustizia originali. Per questo, il peccato originale è chiamato “peccato” in un modo analogico: è un peccato contratto e non un peccato commesso, uno stato e non un atto» ⦋ibid.⦌. Esso non è rimesso con un atto cosciente del soggetto, come se questi ne fosse responsabile, ma semplicemente ricevendo la grazia del Battesimo, conferibile anche a un neonato» [ibid.].
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Bianchi riconosce che Dio non può volere il peccato, ossia il male di colpa; ma è carente laddove si tratta delle punizioni o dei castighi divini, nei quali Dio infligge un giusta pena. In nome della misericordia, Bianchi non vuole ammettere la giustizia punitiva, che gli sembra una crudeltà indegna del Dio Amore. Indubbiamente il castigo del peccato è propriamente il male che il peccatore si tira addosso col suo peccato.
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Tuttavia, sappiamo come la Bibbia parli francamente di «castigo» divino, senza che ciò debba giudicarsi il segno di una teologia arcaica o superata, perché la severità si trova anche nel Dio di Cristo. Dunque ciò non può che far riferimento alla logica e necessaria conseguenza del peccato, che turba l’ordine posto da Dio stesso nelle cose, benché Dio, nella sua bontà abbia in certi casi la possibilità di sospendere o annullare la pena.
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IL PROBLEMA DEL MALE [12]
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La questione del peccato originale è certamente legata al problema della natura e dell’origine del male, giacché peccare è fare il male. E il male di pena è conseguenza del peccato. Bianchi si pone più volte la seconda questione, dichiarando peraltro falsamente, come abbiamo visto, che la Bibbia non dà una risposta, quando invece esiste già una risposta, per quanto imperfetta, fornita dalla filosofia, benché ovviamente non all’altezza della risposta che viene dalla Scrittura.
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Ma la grave lacuna di Bianchi è quella di non dirci che cosa è il male, male di pena e male di colpa. Anzi si nota come egli abbia un concetto sbagliato del male, quando afferma che il serpente genesiaco è il «male». Niente affatto. Il serpente, come egli dovrebbe sapere, è il simbolo di una creatura spirituale malvagia, creata prima dell’uomo, ossia del demonio, come ha chiaramente insegnato il Concilio Lateranense IV del 1215 ⦋Denz. 800⦌.
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Bianchi, con questo grave fraintendimento, dimostra dunque di ipostatizzare o sostanzializzare il male, cadendo esattamente in quel manicheismo, che egli dichiara di voler evitare. In tal modo e congiuntamente nega che il peccato dell’uomo tragga la sua occasione dal peccato dell’angelo, rifiutando, lo abbiamo visto, come sciocca favola questa verità di fede, che pure è insegnata da quel Concilio [ibid.], verità estremamente illuminante ed utile per il nostro cammino di salvezza, perché ci istruisce sul nostro dovere di vigilare e di guardarci dalle insidie, dalle illusioni, dagli attacchi, dagli inganni e dalle tentazioni del demonio, senza temere le sue minacce, né lasciarci confondere dalle sue accuse e dai suoi rimproveri, che ci insinuano falsi sensi di colpa, e senza cedere alle sue lusinghe e seduzioni, che ci induriscono nel peccato, ci accecano nella superbia e nell’orgoglio, e senza lasciarci turbare dai suoi spaventi, che vogliono gettarci nella disperazione.
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La gravissima questione del male, per poter essere affrontata seriamente, con speranza di successo, senza restare nel buio, richiede, come già ci insegna Aristotele, il ricorso alla metafisica, perché essa tocca la questione dell’essere e del non-essere, della posizione e della negazione-privazione, temi specifici della metafisica. Ora purtroppo Bianchi dimostra di essere in fatto di metafisica completamente digiuno. E qui sta la causa dei suoi gravi errori circa la questione del male.
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Così la suddetta maldestra sostanzializzazione o reificazione del male operata da Enzo Bianchi, lo getta in una gravissima difficoltà, della quale sembra non accorgersi, la stessa difficoltà per non dire assurdità del manicheismo, e cioè che, se il male è una sostanza, non vi è ad esso rimedio. Infatti è possibile rimediare al male, proprio perché esso non è una sostanza e non esiste necessariamente, ma è accidentale e precisamente unaprivazione [13], una mancanza di bene o di entità, alla quale si può rimediare apponendo il bene mancante. Certo, un soggetto o una sostanza dannosa può essere distrutta o impedita di nuocere. L’assassino può essere giustiziato. Ma il male, dal quale allora ci si libera, non è il soggetto come tale, in senso ontologico, ma il dannocompiuto dal soggetto.
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Il male rientra nel non-essere, benché sia concepito come fosse essere, ad instar entis [ens rationis]. Il che ovviamente non vuol dire che il male non sia nulla o che non esista o sia solo apparente o un fatto soggettivo e non abbia influsso sul reale [14]. Tutt’altro. Tremenda è la potenza mortifera e distruttiva del male. Ma essa lo è appunto come negazione, e più precisamente come privazione di essere. Ma se il male, come sembra credere Bianchi, è una sostanza, se esiste o sussiste in sé e non in un soggetto, non è più male, ma bene. Occorre infatti ricordare che la sostanza in sé, ontologicamente, è buona. Non esistono sostanze cattive per essenza. Di cattivo in essa non può esserci che la sua azione, ma non il suo essere. Una sostanza può essere nociva, ma in se stessa, in quanto ente, è buona. Ens et bonum convertuntur, secondo il noto principio trascendentale.
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Già la filosofia, sul piano fisico e morale, confermata dalla Rivelazione cristiana, benché assai meno perfettamente della Rivelazione, ci dice che cosa è il male, quale ne è la causa e quali ne sono gli effetti. Ci dice anche come toglierlo. Cristo, sul piano soprannaturale della fede e della vita della grazia, è il Medico divino, che, mediante la sua Chiesa, ci dice che malattia abbiamo, come ce la siamo presa e cosa dobbiamo fare per guarire.
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Se Dio avesse voluto, poteva creare un mondolibero dal male. Poteva impedire all’angelo di peccare. Poteva impedire ad Adamo ed Eva di peccare. Se avessero peccato, poteva perdonarli subito, senza che il male si estendesse a tutta l’umanità. Perché non lo ha fatto?
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Questo è il mistero impenetrabile, nascostonell’infinità della sapienza, della bontà e della libertà divine, mistero non “rivelabile” a noi per la sua trascendenza. Esiste il motivo per il quale Dio ha voluto permettere l’esistenza del male, benché Egli sia innocente, perché Egli non fa nulla senza ragione. Ma lo sa solo Lui. Fidiamoci [15]. Il grande ed incomprensibile mistero, pertanto, non è propriamente che cosa è il male, da dove viene, cosa produce e come si toglie — su questi punti Bianchi mostra una riprovevole ignoranza e disprezzo per la divina Rivelazione —, ma è perché Dio permette il male, quando, se avesse voluto, avrebbe potuto creare un mondo senza il male. Tuttavia, il male non esiste necessariamente col creato, ma esistono solo le condizioni di possibilità dell’esistenza del male, che sono date dall’esistenza del libero arbitrio della creatura.
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Il male non potrebbe assolutamente esistere se esistesse Dio solo, perché il male è legato all’esistenza del creato. Infatti Dio è assolutamente buono e perciò non può né compiere, né subire il male, che suppone invece un agente o paziente finito, ossia la creatura. La finitezza però non è male; è solo proprietà di un bene finito. Tuttavia, la finitezza è la condizione della possibilità che un soggetto spirituali compia o subisca il male. Infatti il male è la carenza di un bene dovuto ad un soggetto passibile, che, come tale, non può che essere finito, perché solo il finito può essere privato del suo bene o attivamente, perché fa il male o passivamente, perché subisce il male.
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Chi infatti subisce il male deve essere finito, perché solo il finito può essere privato del suo bene. Ma anche l’attore del male deve essere finito, perché solo l’agente finito può essere difettoso nell’agire, ossia privare il paziente del suo bene. Il male può essere o fatto – nocumento – o patito – dolore.
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L’atto dannoso, che procura nel paziente un male di pena, può essere volontario, e allora abbiamo il peccato, male di colpa; per esempio un adulterio o un furto; o può essere involontario — umano o animale — e allora abbiamo il semplice nocumento; per esempio il leone che uccide la gazzella. Tuttavia, se l’uomo che fa il male, pecca, ossia disobbedisce alla legge morale, il leone che uccide la gazzella obbedisce alla legge della sua natura.
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Mentre per l’uomo la morte è conseguenza e castigo del suo peccato, per il leone la morte è conseguenza della sua natura. Il male non può che trarre origine da una creatura capace di disobbedire a Dio sommo Bene, quindi dotata di libero arbitrio. Infatti, tutte le creature infra-umane non fanno che obbedire alle leggi divine, che sono sempre buone.
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Se una zanzara vi punge, non lamentatevi, perché non fa altro che il suo dovere, benché nessuno vi proibisca di ucciderla. Semmai si può dire che nell’Eden le zanzare avevano rispetto per l’uomo. L’ostilità della natura contro l’uomo non è infatti intrinseca alla natura stessa, come sembra supporre Bianchi, ma è conseguenza del peccato originale [Gen 3,17-18]. Dio non ha creato una natura cattiva, ma essa da madre è diventata «matrigna» in punizione del peccato originale.
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Il male dunque non è una sostanza, non è un assoluto, tanto meno è una divinità, ma è una semplice accidentale mancanza di bene, alla quale si potrebbe rimediare con l’apporto del bene mancante. Il male esiste perché c’è il bene, che viene reso difettoso dal male. Invece, il bene di per sé potrebbe esistere anche senza il male. Il male esiste perché c’è un soggetto nel quale si trova. Se il soggetto si corrompe, anche il male scompare. Se un tale muore di cancro, il cancro scompare, ma solo perché quel tale è morto. Già la ragione filosofica sa quindi che in linea di principio il male potrebbe essere tolto e vinto. Il male è effetto di una causa, per cui, tolta la causa, si potrebbe eliminare il male.
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La ragione sa inoltre che Dio, nella sua infinita bontà, non può aver voluto il male e che quindi esso dev’essere stato causato da una colpa originaria della creatura, forse dell’uomo. Platone ha pensato che ci troviamo adesso nelle tenebre e nell’ingiustizia a causa di una caduta avvenuta in passato da uno stato felice, nel quale contemplavamo la verità e il bene. Di questa colpa ancestrale abbiamo sentore, secondo Platone, per il fatto che adesso nasciamo con un’inclinazione irresistibile a peccare, esser soggetti alla sofferenza. Una cosa del genere non è normale: si dovrebbe nascere buoni e felici. Deve dunque — ipotizza Platone — essere capitata, all’origine dell’umanità, una tragedia, per cui essa è precipitata nell’attuale stato di cecità, di miseria e di malizia.
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La divina Rivelazione riprende, chiarisce e corregge l’antica visione pagana, mostrandoci meglio la natura e la gravità di questa caduta primitiva, nonché le sue conseguenze. Ma soprattutto — e sta qui l’elemento maggiormente rivelativo — la Scrittura, nell’interpretazione della Chiesa, dà all’umanità in Cristo i mezzi e i modi per liberarsi dalla sua ancestrale miseria e dalla tendenza al male, per ritrovare il piano originario della creazione, elevato dalla prospettiva cristiana della figliolanza divina.
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La sofferenza, da conseguenza del peccato originale viene trasfigurata da Cristo in strumento di espiazione e in via di salvezza. Da ripugnante diventa amabile. Non certo amabile per se stessa, ma per amore di Cristo. Da condanna diventa risposta d’amore all’amore di Colui che ha dato Se stesso per liberarci dalla sofferenza e dal peccato. Essa resta sempre un male che va combattuto. E tuttavia non va respinta con qualunque mezzo, ma, all’occasione va accolta per amore di Cristo come via per farci santi. Solo il peccato dev’essere respinto in modo assoluto, giacché, come dice un inno liturgico, «i chiodi della croce, benché duri, sono dolci».
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Questo è ciò che pensa e che annuncia Sua Beatitudine il Priore emerito di Bose Enzo Bianchi, che appena terminata la sua predicazione al clero mondiale ad Ars, si è precipitato a Roma, per parlare ai giovani, quindi per partecipare al primo “sinodo della libertà”, a ben considerare che, com’egli stesso afferma: «c’è una grande libertà di intervento che nei sinodi precedenti io non ho sperimentato» [cf. QUI]. Però, in questo clima di “libertà” come mai s’era visto prima, egli non ci narra che fine hanno fatto, quelli che la pensano diversamente …
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… «Oh Liberté, que de crimes on commet en ton nom!». Oh, libertà, quanti crimini che si commettono nel tuo nome! [Marie-Jeanne Roland de la Platière: 1734-1793].
Questa, è la fine che hanno fatto!
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Giovanni Cavalcoli, O.P.
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NOTE
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[1] Lo illustro nel mio libro Il mistero della Redenzione, Edizioni ESD, Bologna 2004.
[2] Cf. C.V.Héris, Il mistero di Cristo, Editrice Morcelliana, Brescia 1938.
[3]La dottrina del merito, negata da Bianchi sulla scia di Lutero, è dogmaticamente insegnata dal Concilio di Trento [Denz.1545-1550].
[4] Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica [nn.166-172].
[5] M.-J. Nicolas, Evoluzionismo e cristianesimo. Da Teilhard de Chardin a S.Tommaso d’Aquino, Editrice Massimo, Milano 1978.
[6] Cf. S.Giovanni Paolo II, Io credo. Catechesi del mercoledì a cura di Sandro Maggiolini, Edizioni Piemme, 1988, vol.IV, nn.4-5.
[7] Cf. Heribert Muehlen, Una Mystica Persona, Editrice Città Nuova, Roma 1968.
[8] Cf. il mio libro Il mistero della redenzione, Edizioni ESD, Bologna 2004, pp.29-56.
[9] De Malo, q.4,a.6; In II Sent., Dist.31, q.1,a,1.
[10] S. Pio V nel 1567 condannò Michele Baio, il quale sosteneva che l’immortalità era dovuta allo stato d’innocenza [Denz. 1921,1926, 1978].
[11] Cf. C. Journet-J,Maritain, Philippe de la Trinité, Le péché de l’ange. Peccabilité, nature et surnature, Beauchesne, Paris 1961.
[12] Cf. S.Tommaso, Il male. Questioni disputate, a cura di G.Cavalcoli e R.Coggi, vol.VI, Edizioni ESD, Bologna 2002; C.Journet, Il male. Saggio teologico, Borla Editore, Torino 1963.
[13] La steresis, della quale parlava Aristotele.
[14] Luigi Pareyson, nell’affermare giustamente cha il male esiste, resta intrappolato in una inadeguata concezione dell’esistere, per cui finisce col sostenere che il male è una realtà, cadendo anche lui nel manicheismo o quanto meno nella dialettica hegeliana del male presente anche in Dio, benché poi Pareyson cerchi di rimediare col dire che Dio ha «vinto il male in Se stesso». Tuttavia Pareyson ha almeno il merito di aver capito che la questione del male è anzitutto una questione metafisica, mentre il «cattolico maturo» bultmanniano di Enzo Bianchi vive ancora nel mondo delle favole. Cf il libro di Pareyson, peraltro bello e profondo, Ontologia della libertà. Il male e la sofferenza, Casa Editrice Einaudi, Torino 2000.
[15] Cf. J.Maritain, Dieu et la permission du mal, Paris 1963.
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