Torna a salire la tensione tra Russia ed Ucraina, dopo lo scontro navale della mattina di domenica scorsa tra le due marine nelle acque antistanti il porto di Kerch, nella parte estremo-orientale della penisola crimeana. Tre navi della marina militare di Kiev hanno cercato di oltrepassare lo stretto che separa la Crimea dal distretto russo di Krasnodar, penetrando nelle acque territoriali della penisola contesa e rifiutandosi di obbedire alle disposizioni impartite loro dalle autorità russe. La marina militare di Mosca è immediatamente intervenuta, catturando le tre imbarcazioni ed i 24 militari ucraini a bordo, tra marinai e membri dei servizi di sicurezza. Mentre scriviamo, i natanti ed i militari ucraini sono ancora trattenuti dalla Russia, che, nel frattempo, ha dislocato in Crimea diverse batterie di missili antimissile S-400, a scanso di equivoci.
Il ritorno della Crimea alla Russia, dopo gli esiti plebiscitari del referendum del 2014, ha mutato lo scenario geo-strategico dell’area. Il mare di Azov è, di fatto, un triangolo grosso modo isoscele, con i lati uguali, uno russo ed uno ucraino, chiusi, a sud, dalla base rappresentata dalla penisola crimeana. Questo grande “lago salato” è posto in comunicazione con il Mar Nero da un braccio di mare largo meno di 20 chilometri, posto tra Crimea e Russia. Risulta di ogni evidenza che, fintanto che la Crimea è stata in mani ucraine, Kiev ha potuto contrastare l’egemonia russa su queste acque; da quando, invece, la penisola è tornata a Mosca, il predominio di quest’ultima su questo mare è pressoché incontrastato, poiché controlla completamente la sua “bocca” di entrata e di uscita. E l’appartenenza alla Russia di questa penisola strategica è sempre più nelle cose, a dispetto dei mancati riconoscimenti di Stati Uniti, Unione europea, Nato…
La popolazione acuisce ogni giorno di più i propri sentimenti di adesione nazionale e spirituale alla Russia e di ostilità nei confronti dell’Ucraina, che non fa nulla per correggere questa situazione, anzi pare fare di tutto per tagliare i pochissimi legami tuttora rimasti con la Crimea, addirittura cercando di affamarne la popolazione. L’approvvigionamento idrico della penisola dipendeva da una serie di canali che vi facevano defluire una grande massa d’acqua deviata dal fiume Dniepr, prima che arrivasse al suo grande estuario nei pressi di Odessa; dopo la dichiarazione di indipendenza l’annessione alla Russia, Kiev ha chiuso e deviato tali canali, in modo da colpire durissimamente l’agricoltura crimeana. La Russia, per converso, sta incrementando l’integrazione della Crimea nel suo seno, anche con misure spettacolari, come il cosiddetto «ponte crimeano», vale a dire il più lungo ponte d’Europa (18,1 chilometri), che collega il porto crimeano di Kerč’ al Territorio russo di Krasnodar; si tratta di un’infrastruttura grandiosa, con due ponti paralleli, uno automobilistico (con quattro corsie, due per ogni senso di marcia) ed uno ferroviario (con due binari, uno per ogni senso di marcia), ad un’altezza, nel punto più alto, di 45 metri, per consentire il passaggio a navi alte fino a 35 metri sopra il livello medio del mare. Il ponte automobilistico è stato inaugurato il 16 maggio 2018, mentre quello ferroviario dovrebbe esserlo entro dicembre del 2019. È proprio sullo specchio di mare dove è avvenuto lo scontro domenica scorsa.
Risulta di ogni evidenza che, con l’attuale situazione, l’Ucraina vede soggetto al beneplacito russo l’accesso alle sue coste orientali sul mare di Azov. Se a questo si aggiunge il fatto che quelle sue regioni sono abitate da russi ed in uno stato di perenne agitazione, quando non di rivolta armata, e che costituiscono il naturale collegamento terrestre tra la Russia e la Crimea, si comprende come il Governo di Kiev cerchi disperatamente di svincolarsi da una morsa sempre più stretta, che rischia di favorire il processo di secessione delle sue zone orientali e meridionali, non più raggiungibili via mare in caso di aggravamento del conflitto.
Per cercare di rompere questo assedio, l’Ucraina sta costruendo un’importante base navale a Berdyansk, sulle rive settentrionali del mare di Azov e si vocifera che voglia “concedere amichevole approdo” a navi militari dell’Alleanza atlantica, onde costringerle a passare attraverso lo stretto di Kerč’ e porre la Russia di fronte alla scelta fra il tollerare questo scorrazzamento di unità militari ostili nelle sue acque territoriali e l’addivenire ad uno scontro armato con la Nato. In quest’ottica, l’incidente di domenica può rappresentare una sorta di preludio, nel quale ciascuno verifica la determinazione della controparte e, soprattutto, Kiev saggia fino a che punto gli Stati Uniti ed i loro alleati siano disponibili a rischiare una guerra con la Russia, pur di evitare l’autodeterminazione dei russi che abitano l’est ed il sud dell’Ucraina ed il conseguente smembramento di quest’ultima.
Non è chiaro quanto siano state le forze armate di Kiev a provocare quelle di Mosca e/o viceversa; il presidente ucraino, Petro Poroshenko, ha, però, un motivo in più per alzare la tensione, vale a dire le prossime elezioni presidenziali, nelle quali, stando ai sondaggi attuali, risulta al terzo posto, molto distanziato dalla passionaria del nazionalismo, Yulia Tymoshenko, già Primo Ministro.
Al di là delle contingenze tattiche, però, il Governo ucraino sente che la situazione gli sta progressivamente sfuggendo di mano e cerca di correre ai ripari, con un innalzamento della tensione, sia sul fronte interno che su quello internazionale, capace di incrinare la progressiva sedimentazione dello status quo. Sul fronte interno, cerca di intensificare la lotta ai separatisti con operazioni che Napoleone avrebbe definito di «controguerriglia», come l’attentato terroristico in cui il 31 agosto scorso ha perso la vita Aleksandr Zacharčenko (1976-2018), dal 4 novembre 2014 Presidente della Repubblica Popolare di Donetsk.
Sul piano internazionale, parimenti, cerca di spingere le potenze occidentali alla determinazione al conflitto con Mosca, qualora questa non cessi la sua politica di integrazione della Crimea e di sostegno all’autodeterminazione dei russi d’Ucraina. In quest’ottica, l’incidente di Kerč’ avrebbe dovuto ricoprire il ruolo di testo generale: se i Paesi Nato avessero accettato di inviare navi da guerra nel Mare di Azov, avrebbe avuto una sua ragion d’essere la prospettiva di attrezzare la base navale di Berdyansk e di aprirla alle loro flotte, quale grimaldello per scardinare il lucchetto russo a quelle acque; in caso contrario, si sarebbe dovuto prendere atto della disponibilità occidentale a sacrificare gli interessi ucraini sull’altare dei buoni rapporti con Mosca.
A giudicare dalle prime reazioni, pare che nessuno voglia «morire per Donetsk» e che, al di là delle plateali reazioni di Donald Trump, la più clamorosa delle quali è stato l’annullamento dell’incontro bilaterale al G 20 di Buenos Aires, reazioni più tese ad impressionare il pubblico statunitense di quanto lo fossero a creare pressioni su Vladimir Putin, l’Occidente è parso dare un riconoscimento di fatto, se non di diritto, dell’annessione russa della Crimea, limitandosi ad invitare i due contendenti alla moderazione e Mosca a restituire navi e prigionieri. Come preludio ad un intervento militare, pare effettivamente un po’ pochino.
Carlo Manetti
Guerra o suo Simulacro ? L’escalation delle relazioni russo-ucraine dopo il conflitto nel mare d’Azov
Guerra o il suo simulacro?
L’escalation delle relazioni russo-ucraine dopo il conflitto nel mare d’Azov richiede un’analisi.
Il lato formale è chiaro: Poroshenko, che non è in grado di vincere le elezioni, organizza una provocazione per imporre uno stato d’emergenza e far fallire le elezioni. In Russia, questo viene commentato con un sorrisetto. Tutto ciò è vero, ma non è certo una decisione spontanea e nemmeno un’agonia. Poroshenko ha un piano, non può non averlo, ed è un po’ più serio di una scappatella momentanea.
Se l’attuale escalation si attenuerà gradualmente, allora tra un po’ la legge marziale dovrà essere abrogata e si terranno le elezioni. In tal caso Poroshenko sembrerà un idiota, dato che la semplice esagerazione sul tema della minaccia russa non aumenterà il suo rating; di conseguenza il piano è diverso. L’unico fatto che renderà logico il passo di Poroshenko è un coinvolgimento più profondo della guerra con la Russia. Se ciò non accadrà, Poroshenko non farà che peggiorare la sua posizione. Ne consegue che Poroshenko non ha bisogno di un’escalation, ma ha bisogno di una guerra.
Sui nostri errori: l’arresto della “Primavera russa”
Rivolgiamoci alla Russia. Dopo aver fermato la “Primavera russa” nel 2014, Putin ha commesso un errore geopolitico. Putin ha fatto molti passi assolutamente corretti e importanti nella politica estera: ha ridato alla Russia una sovranità quasi completamente persa, nessuno gli toglie questo merito colossale. Ma, nel 2014, per una qualche ragione ha vacillato. Considerare questo dato come un “piano astuto”, o esaltare l’errore di Putin come “l’apice della saggezza strategica”, non sarebbe un segno di lealtà nei suoi confronti, ma una mina posta sotto la sua autorità reale. Lodare ugualmente il governante sia per i suoi risultati, sia per i suoi errori, significa semplicemente deriderlo, esponendolo come un idiota narcisista. È un’erosione della sua reale legittimità e un sabotaggio nascosto.
La liquidazione della “Primavera russa” e il rifiuto a difendere il “mondo russo” nel lungo e insensato processo dei “colloqui di Minsk” hanno permesso alla junta di Kiev di riordinarsi e di riaccostarsi al problema dell’Ucraina orientale con forze nuove. La liberazione dell’Ucraina orientale e la creazione della Novorossiya avrebbe allontanato il problema di eventuali navi ucraine nel Mar d’Azov, poiché le rive di sinistra (Novorossiya e Slobozhanshchina) sarebbero state indipendenti e, per definizione, amiche della Russia come il Donbass. Lasciando alla junta una parte enorme del “mondo russo”, Mosca ha predeterminato futuri conflitti. Kiev con piena discrezione era in grado, oggi, d’iniziare questa escalation e persino una guerra poiché ha il controllo della tempistica.
Le leve della junta
Il primo tentativo di cambiare lo status quo, Kiev l’ha intrapreso a Debaltsevo, ma la sua forte pressione diretta è stata respinta, questo non significa però che la junta si sia calmata, ma ha iniziato a cercare altri modi.
Il passo successivo è stato il riconoscimento del territorio dell’Ucraina come territorio canonico del Patriarcato di Costantinopoli, che ha portato a uno scisma tra la Chiesa Ortodossa Russa e il Patriarcato di Costantinopoli. Ciò ha dato a Poroshenko un’altra leva per influenzare Mosca. Poroshenko, d’ora in avanti, in qualsiasi momento, potrebbe dare un segnale d’inizio per la conquista delle chiese della Chiesa Ortodossa Russa (sul territorio dell’Ucraina n.d.r.), Mosca si vedrà costretta a rispondere.
Ed ora assistiamo a una provocazione nel Mar d’Azov, nel momento in cui Poroshenko invia consapevolmente delle navi senza avvisare la controparte russa. Questo ha portato a uno scambio di colpi, speronamento e arresto di marinai ucraini. Parlando direttamente: Poroshenko, che considera la Crimea ancora un territorio dell’Ucraina (come, a proposito, anche il resto del mondo), non avrebbe dovuto avvertire nessuno, ma ha capito perfettamente quello che stava facendo e quali sarebbero state le conseguenze da parte di Mosca che ha legalmente affermato il suo diritto sulla Crimea come parte della Russia.
Poroshenko, inoltre, dichiara la legge marziale. Ogni passo dipende da Kiev, non da Mosca. Mosca che con un allungo ha ristabilito l’unità con la Crimea e non ha mai completamente abbandonato il Donbass insorto, poi, per tutto resto, ha ricoperto solo una posizione passiva. Poroshenko ha preparato azioni di risposta e da lui dipende la tempistica. Putin, questa tempistica, non l’ha potuta influenzare in nessun modo. Ne siamo in parte responsabili essendoci posti su questa posizione liquidando la “Primavera russa”.
Varianti della situazione: non accadrà nulla (come sempre) o nonostante ciò qualcosa accadrà?
Da ciò cosa ne consegue? Mosca spera che anche questa volta “in un qualche modo se la caverà”. In altre parole, che Poroshenko farà tintinnare le armi, rinvierà le elezioni, si presenterà come “salvatore della Patria”, si farà nuovamente eleggere presidente, e tutto rimarrà come prima. Forse andrà a finire così. Se è su questo che si punta, allora non si deve far nulla, tutto si calmerà da sé. Nel frattempo si può continuare a prendere in giro Poroshenko che “si è seduto nuovamente in una pozzanghera”; questo è il punto di vista ufficiale di Mosca e la tesi principale della sua macchina di propaganda. Non lo si può comunque escludere, è possibile che sia così.
Ma supponiamo, che tutto non sia così. “Non sia così” significa una cosa: Poroshenko inizierà sul serio una guerra con la Russia. Questo lo può fare in qualsiasi momento, di pretesti ce ne sono in abbondanza: l’offensiva nel Donbass, che, molto probabilmente, è già iniziata, o sta per iniziare; un’escalation di tensione nel Mare d’Azov; un nuovo round di rivendicazioni per “restituire la Crimea”; un assalto alle chiese del Patriarcato di Mosca. Uno pretesto qualsiasi da solo o tutti insieme. Può succedere? Una coscienza assonnata risponderebbe “non può”: un fucile appeso a una parete sul palco, da solo, non sparerà mai. Sì, questa è la logica dei sogni geopolitici: “Non sparerà mai”.
Ma su cosa può contare Poroshenko facendo un passo così radicale? Nel sostegno della NATO e degli Stati Uniti. Oggi negli Stati Uniti, per questo passo, non c’è il miglior presidente, tuttavia, in fin dei conti, non è lui che decide tutto: c’è il “Deep State” americano, i neocons (come Bolton) al potere, la pianificazione strategica del bilancio del Pentagono e i problemi critici nell’Unione europea. Una guerra con la Russia non sarebbe nucleare, ma locale, per procura, questo è l’espediente. E in questa guerra l’Occidente ritiene non ci saranno rischi. Se Mosca invaderà l’Ucraina si trasformerà definitivamente in uno “stato-paria”. Non importa se l’Ucraina verrà nuovamente smembrata, questo è il dato che meno interessa all’Occidente. Ma ogni colpo sparato da parte della Russia, porterà particolarmente dei vantaggi ai globalisti.
Ed ecco il dato più interessante: il Cremlino ne è ben consapevole, quindi cercherà di schivare il più possibile. Un “piano astuto”, un qualcosa di questo genere.
Ma ecco che, probabilmente, in questo c’è anche il calcolo di Poroshenko. Iniziare un conflitto con la Russia, che sfuggirà di mano, per poi ottenere qualcosa. A proposito, la logica “malorossiskaya” (in Russia il territorio dell’Ucraina veniva anche chiamato “Malorossiya” – “Piccolarussia”), in parte è anche quella dei cosacchi: anarchismo russo- occidentale, calcolo combinato e caoticità.
Se anche la Russia si dovesse spostare su una direzione “troppo lontana”, questo potrebbe comunque diventare una sorta di “vittoria”. E poiché Poroshenko politicamente non ha quasi nulla da perdere, francamente non è popolare in Ucraina, dove, per inciso, nessuno ora è più popolare, con un regime che si fonda solo su una propaganda radicale e russofoba, il rischio è giustificato. Pertanto, l’escalation nelle relazioni con la Russia, per lo stesso Poroshenko è vantaggiosa, persino non sta nemmeno rischiando nulla. Inoltre, se riuscirà a trascinare, anche simbolicamente, la NATO nel conflitto, come lui stesso ritiene per “domare i russi”, questo sarà sufficiente per ricevere dividendi se non geopolitici, almeno morali ed elettorali. Se tutto è così, allora le sue azioni non sono così spericolate come potrebbe sembrare.
La guerra come un’opportunità
In totale: una trasformazione dell’attuale conflitto in guerra è possibile. Questo almeno non può essere escluso. Probabilmente Poroshenko ha calcolato i rischi, si è consultato con le forze influenti dell’Occidente, non solo negli Stati Uniti, ma anche nell’Unione Europea (principalmente Inghilterra) e, molto probabilmente, ha guadagnato un serio sostegno. È chiaro che Putin eviterà e aspetterà fino all’ultimo. Ma anche questo l’Occidente l’ha certamente previsto e probabilmente ha elaborato dei passi per limitare il campo di manovra del presidente russo. Se Kiev e l’Occidente ritengono che ora sia giunto il momento per una guerra russo-ucraina, hanno tutte le leve per mettere in atto questo piano.
Nel 2014, Mosca ha consegnato a loro l’iniziativa. Ora, sia il tempo della guerra, sia le sue condizioni di partenza non possono essere scelte da noi (russi n.d.r.). Non si può essere sicuri che inizierà esattamente ora, ma è altrettanto avventato presupporre che non stia accadendo nulla e che nulla accadrà mai in alcun modo; soprattutto, che nulla possa accadere in questo momento.
Alexander Dugin
Fonte: www.geopolitica.ru
Link: https://www.geopolitica.ru/article/tayming-voyny-ne-v-nashey-kompetencii
1.12.2018
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Eliseo Bertolasi
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