In vista delle elezioni regionali una nota del vescovo di Chieti presenta un programma politico a base di immigrazioni, poveri e ambiente; e il suo confratello di Pescara ancora più esplicito nell'invitare i suoi preti a votare Pd. Ma è tutto qui ciò che la Chiesa sa proporre? Oppure è soltanto una passerella per fare bella figura con il Papa?
Monsignor Bruno Forte
Viene proprio da chiedersi: se avevano tanta voglia di fare politica, perché hanno scelto la strada del sacerdozio? Oppure è che nel centenario del famoso “Appello ai liberi e forti” di don Luigi Sturzo, anche tanti vescovi si sono montati la testa?
Abbiamo parlato nelle scorse settimane delle tante manovre per un partito dei vescovi (clicca qui e qui), ora abbiamo anche vescovi che si impegnano direttamente nelle elezioni regionali, ovviamente a sostegno del Pd ma soprattutto contro la Lega. Stiamo parlando dell’Abruzzo, di monsignor Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto e teologo molto vicino a papa Francesco. Nei giorni scorsi ha pubblicato una nota in vista delle regionali e delle comunali che per l’Abruzzo sono previste il prossimo 10 febbraio. I partiti non sono mai nominati ma il messaggio è chiaro: in cima alle priorità ovviamente gli immigrati: o si accoglie tutti senza se e senza ma oppure non si è buoni cristiani, ci dice in sostanza monsignor Forte. E poi, l’impegno per i poveri, il lavoro dei giovani, la sanità – «che non va gestita secondo una logica aziendale» -, e l’ambiente, con il problema dei rifiuti, la gestione delle acque e l’incentivazione delle fonti rinnovabili.
Monsignor Forte è anche il presidente della Conferenza episcopale di Abruzzo e Molise e quindi la sua nota ha un valore che va oltre la sua diocesi. E infatti il vescovo di Pescara-Penne, monsignor Tommaso Valentinetti, si è subito esposto entusiasta a sostegno della presa di posizione di monsignor Forte. Di più, Valentinetti è stato ancora più esplicito parlando ai vicari foranei della sua diocesi durante il ritiro mensile del clero lo scorso 15 gennaio a Montesilvano: «Si deve votare Partito Democratico», ha detto senza mezzi termini. Come se qualcuno potesse dimenticare.
Magari sono gli stessi che a suo tempo criticavano il cosiddetto “collateralismo” nei confronti della Democrazia Cristiana.
Ora, quello che però un semplice fedele è portato a chiedersi è: ma davvero davanti a un evento come le elezioni amministrative l’unica cosa che hanno da proporre i vescovi sono un elenco di rivendicazioni politiche, di cui peraltro – lo si capisce dal modo in cui scrivono – hanno una competenza pari a zero? La testimonianza cristiana si riduce soltanto ad accogliere i migranti, proporre la raccolta differenziata e mantenere la gestione dell’acqua nelle mani dello Stato? Fosse così, sarebbe davvero inutile frequentare la chiesa e andare a messa, tanto vale andare direttamente ad iscriversi al Pd.
Oltretutto nel testo di monsignor Forte si fa riferimento alla Dottrina sociale della Chiesa, ma è soltanto una foglia di fico perché in realtà dei princìpi della Dottrina sociale non troviamo granché in queste frasi che sembrano più che altro slogan appiccicati l’uno all’altro. Pensiamo solo alla ossessione sui migranti: monsignor Forte inizia dal dovere di rispettare la «dignità di ogni persona umana, quale che sia il colore della sua pelle, la sua storia, la sua provenienza. Da un tale rispetto conseguono i doveri di solidarietà verso i più deboli e di accoglienza verso chi bussa alle nostre porte, fuggendo spesso da fame o violenza alla ricerca di un futuro migliore per sé e i propri cari». Ma il “dovere di solidarietà” non implica l’eliminazione dei confini nazionali, come questi vescovi vorrebbero, né la cancellazione della distinzione tra migranti regolari e irregolari; e la Dottrina sociale della Chiesa non ha nulla a che vedere con la condanna dell’«atteggiamento identitario». Al contrario, una identità chiara è la precondizione per un’accoglienza che punti all’integrazione di quanti sono ammessi a immigrare.
Cosa farebbe monsignor Forte se un giorno gli comparisse nel suo episcopio di Chieti, che so, il povero vescovo di San, in Mali, che pretende di condividere la guida della diocesi di Chieti, perché a San si soffre la fame? Gli direbbe davvero «Prego, si accomodi, resti con me e consideri questa la sua diocesi?».
E poi, il rispetto per la «dignità di ogni persona umana» deve restringersi soltanto agli immigrati e ai poveri? In Abruzzo ci sono già circa 90mila stranieri, pari al 6.5 della popolazione, e non risultano maltrattamenti o peggio nei loro confronti. Ma tra Abruzzo e Molise – ci dicono i dati diffusi la settimana scorsa dal ministero della Salute – nel 2017 ci sono stati 2.014 aborti, il 54% dei quali da donne nubili. Oltre duemila morti in un anno in Abruzzo e Molise, in un contesto di disgregazione della famiglia. La dignità che si deve a ogni persona umana non dovrebbe riguardare anche queste vittime innocenti? Ma di questa ecatombe guai a dire nulla, è un argomento troppo divisivo. Come nulla si dice della denatalità, causa importante della stagnazione economica attuale: si parla di mancanza di lavoro, ma non si menziona la causa.
Ma ecco il problema: questi vescovi cercano l’applauso del mondo; cercano l’amicizia dei politici immigrazionisti e poco importa se sono gli stessi che parlano di “aborto come diritto” e cercano di cancellare la possibilità ai medici di fare obiezione di coscienza; e soprattutto questi vescovi vogliono fare i bravi davanti al Papa, che sugli immigrati martella ogni giorno: chissà che non ci scappi qualche promozione al prossimo giro.
Riccardo Cascioli
http://www.lanuovabq.it/it/vescovi-al-traino-del-pd-labruzzo-insegna
Uomini giusti ai posti giusti / 9
Per spiegarci occorre raccontare un antefatto.
Il 18 gennaio alcuni studenti americani della Covington Catholic High School, che stavano partecipando alla marcia per la vita a Washington, sono stati accusati di aver provocato e deriso un gruppo di nativi americani. Secondo quanto riferito da numerosi media, i ragazzi avrebbero circondato minacciosamente i nativi e impedito loro di raggiungere il Lincoln Memorial, il tutto cantando “Build the wall”, “Costruite il muro”, in riferimento al progetto di innalzare una barriera per bloccare l’ingresso dei migranti negli Usa. Di qui una campagna di stampa contro i cattivi studenti conservatori e razzisti.
Peccato che le cose non siano andate affatto come hanno riferito i media.
Come si può vedere qui, in realtà è stato un nativo americano, Nathan Phillips, munito di tamburo, ad avvicinarsi ai ragazzi, i quali non gli hanno sbarrato la strada (l’uomo infatti si è diretto verso di loro, non verso il Lincoln Memorial), non lo hanno insultato e non hanno mai cantato “Build the wall”.
È vero che uno studente della scuola se ne sta fermo davanti all’uomo che suona il tamburo, ma lo studente, che era già lì e non sbarra la strada a nessuno, non dice una parola e non alza nemmeno un dito. Al contrario, resta fermo e silenzioso, forse lui stesso sorpreso dalla situazione, in una specie di resistenza passiva, senza impedire che l’uomo continui a suonare.
Qualcuno ha osservato che il ragazzo ha un sorriso sarcastico. Sarà. Di fatto non compie alcuna azione violenta né attua comportamenti discriminatori. Semmai occorre notare che è dal gruppo dei presunti “discriminati” che a un certo punto si alza l’invettiva “go back to Europe, this is not your land” (“tornate in Europa, questa non è la vostra terra”) rivolta ai ragazzi pro-life.
Domanda (ingenua): le accuse al ragazzo dipendono forse dal fatto che, come altri suoi compagni, indossa il cappellino dei sostenitori di Trump?
Ora, siccome i media mainstream non hanno perso la ghiotta occasione di schierarsi contro i ragazzi della scuola cattolica e in particolare contro lo studente che è rimasto faccia a faccia con Nathan Phillips, sarebbe stato lecito aspettarsi dalla diocesi di Covington una ricostruzione corretta dei fatti e una difesa degli alunni. Invece il vescovo Foys che cosa ha fatto? Ha diffuso un bel comunicato nel quale, parlando di possibili “azioni correttive” nei confronti degli studenti, afferma: “Condanniamo le azioni degli studenti della high school cattolica di Covington contro Nathan Phillips in particolare e dei nativi americani in generale, avvenute il 18 gennaio, dopo la marcia per la vita, a Washington. Porgiamo le nostre più profonde scuse più a Mr. Phillips. Questo comportamento è contrario agli insegnamenti della Chiesa sulla dignità e il rispetto della persona umana”.
E bravo il nostro vescovo Foys, uomo giusto al posto giusto all’ennesima potenza, perché non si è preoccupato di cercare la verità, si è subito schierato dalla parte del politicamente corretto e non ha pensato ai pericoli ai quali ha esposto gli studenti della sua scuola accusandoli di essersi comportati da razzisti (e infatti la scuola ha dovuto chiudere i battenti dopo che i ragazzi hanno ricevuto minacce di morte).
Precisato che il solito, ineffabile frate francescano Daniel Horan (già nostro uomo giusto al posto giusto nella scorsa puntata) ha definito la marcia per la vita “ripugnante e futile”, occorre aggiungere che Nathan Phillips, con una ventina di altri nativi americani, l’indomani, 19 gennaio, ha cercato di entrare, sempre suonando il tamburo, nella basilica del santuario nazionale di Washington, proprio mentre era in corso una Santa Messa. L’ingresso, per fortuna, gli è stato negato, ma, dicono le cronache, non sono mancati momenti di tensione.
Ed eccoci ora alla seconda segnalazione, che riguarda un fatto avvenuto a Piacenza. Il giornale locale, La Libertà, lo racconta così: “Incidente diplomatico in curia, per un crocifisso staccato dal muro da uno degli ospiti ebrei invitati per un convegno interreligioso. L’immagine sacra è stata nascosta dietro un televisore. Sono rimasti al loro posto i ritratti del Papa e del vescovo, che pure indossano una croce pettorale. Gli organizzatori cattolici hanno evitato di polemizzare”.
La pagina bolognese di Repubblica aggiunge che il confronto era tra il biblista don Paolo Mascilongo e il rabbino Elia Richetti, che il crocifisso è stato staccato dal muro durante le prove di un coro ebraico (per essere riposto “dietro a un televisore tra cavi polverosi e un termosifone”) e che il direttore dell’Ufficio per l’ecumenismo della curia, pur essendosene accorto, ha deciso di non intervenire.
Ci sembra ce ne sia a sufficienza per consegnare sul campo al suddetto direttore, ed a eventuali altri cattolici che si sono accorti della rimozione del crocifisso ma hanno preferito non intervenire, il titolo di uomini giusti ai posti giusti.
Ne è uscito meglio il rabbino Elia Richetti, il quale, informato della vicenda, ha dichiarato: “Il crocifisso poteva essere lasciato dov’era perché quello non era un luogo di culto. Mi dispiace per chi ci è rimasto male, gli sono vicino e lo capisco: non era necessario fare una cosa del genere. Lo dirò anche ai membri della comunità ebraica”.
Alla prossima!
Aldo Maria Valli
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