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Nel XVI secolo la propaganda protestante – anche grazie all’inescusabile ritardo di una Roma restia a riformarsi dalla sua scandalosa corruzione persino dopo il terribile sacco del 1527 – dilagò ovunque in Europa, in curie diocesane, corti principesche, università civili e facoltà teologiche. La novità faceva agevolmente presa su clero e intellettuali disgustati della condotta della corte papale e dei presuli latitanti che vi soggiornavano stabilmente, anziché stare alla guida del loro gregge. L’atteso concilio finalmente convocato a Trento, seppure in extremis, fu più volte interrotto per anni. A molti la situazione sarebbe potuta sembrare disperata, ma la Provvidenza aveva già suscitato santi vescovi e fondatori che fornissero gli strumenti della rinascita: gesuiti, teatini, barnabiti, cappuccini e tanti altri sul campo di battaglia; nelle retrovie, a sostenere i combattenti con la preghiera e l’offerta di sé, le carmelitane riformate e, più tardi, le visitandine.
Quelle forze, oggi, si sono in gran parte estenuate se non addirittura pervertite, a cominciare dai gesuiti, legati a tutti i principali movimenti sovversivi del XX secolo, dalla riconciliazione con la massoneria all’intesa con i comunisti, dal cinema corruttore al sincretismo religioso, dalla svolta antropologica alla teologia della liberazione, dai figli dei fiori al movimento omosessuale… Già san Carlo Borromeo, a suo tempo, aveva auspicato la soppressione di un’istituzione di cui, malgrado gli indubbi meriti e l’eccelsa santità del fondatore, nonché di tanti membri, presagiva fin da allora che avrebbe potuto prendere una piega preoccupante a causa di un potere sempre più vasto, capillare e incontrollabile, che poteva essere usato in bene come in male. Ma pure in tempi più recenti, dopo la clamorosa svolta dell’Ordine, che influenzò in modo decisivo il Concilio e i successivi sviluppi, Giovanni Paolo II, fin dall’inizio del suo pontificato, pensò di sopprimerli di nuovo con l’appoggio del fidato Ratzinger o per lo meno di effettuare un drastico intervento di riforma con l’allontanamento del famigerato padre Arrupe, amico dei gesuiti rivoluzionari sudamericani e apologeta di Teilhard de Chardin, esoterista e falso scienziato che aveva introdotto nella teologia cattolica la visione del mondo propria dell’occultismo cabalistico-massonico.
Non siamo in grado di ricostruire le trame occulte che possano spiegare l’incredibile metamorfosi – almeno nel complesso – dell’Ordine che rappresentava la punta di diamante della Chiesa Cattolica, non solo nel campo della teologia, ma anche nell’ambito della ricerca scientifica. Sta di fatto che, nel primo dopoguerra, si moltiplicano i contatti, miranti a stabilire un dialogo, tra singoli gesuiti e alti rappresentanti della massoneria, specialmente in Francia. Uno dei più fervidi promotori di tale incontro sarà, subito dopo il secondo conflitto mondiale, quell’Yves Marsaudon, membro del supremo consiglio delle logge francesi di tradizione scozzese, che frequenterà assiduamente il nunzio apostolico dell’epoca, monsignor Angelo Giuseppe Roncalli. È proprio in quegli anni, ma soprattutto a partire dalla morte (1955), che a dispetto delle condanne inizia il culto del pensiero di Teilhard de Chardin, convinto evoluzionista e adoratore di una materia divinizzata, considerata matrice di sviluppo dello spirito e grembo di gestazione di un Cristo cosmico in cui l’uomo dovrebbe trovare compimento qual essere sovrumano…
Questa visione tipicamente gnostica era valsa al gesuita, nel 1926, la rimozione dall’insegnamento e la proibizione di pubblicare, nonché il trasferimento in Cina. Laggiù aveva nondimeno avuto agio di approfondire le filosofie orientali (così congeniali alle sue idee) e di accreditarsi come paleontologo, fatto che gli aveva poi dato, in virtù di una fama artificiale, la possibilità di riciclarsi nelle università civili. La postuma aureola di riconciliatore della fede con la scienza non incantò però il cardinal Ottaviani, il quale nel 1958, pur senza metterle all’Indice, ordinò il ritiro delle sue opere da tutte le biblioteche religiose. Malgrado ciò ai riconoscimenti laici, specie in Francia e negli Stati Uniti, si associarono ben presto esplicite operazioni di riabilitazione ecclesiastica, a partire dal libro pubblicato nel 1962 da un altro gesuita sospetto, Henri de Lubac. Fu così che la gnosi teilhardiana – come ammesso più tardi da Josef Ratzinger – poté permeare in profondità il manifesto del rinnovamento conciliare, la Gaudium et spes. Non meraviglia affatto, a questo punto, che un cardinal Casaroli, nel 1981, ne abbia tessuto l’elogio in una missiva al futuro cardinal Poupard; è un po’ più imbarazzante, invece, che vi abbia fatto riferimento Benedetto XVI nell’evocare un’escatologica liturgia cosmica.
Senza una sotterranea manovra di promozione è inspiegabile come una simile ideologia allucinata, irrazionale e blasfema, basata sul rinnegamento della fede e sulla falsificazione dei dati scientifici, si sia imposta nella Chiesa Cattolica come catalizzatore del cristianesimo a venire. Gli evidenti tratti demoniaci, prima ancora che allo studio e alla pratica dell’esoterismo, scaturiscono da un’inquietante esperienza che il piccolo Pierre fece già nell’infanzia, quando, sentendosi attirato da una presenza panica che gli si rivelava nella natura, le acconsentì voluttuosamente, come racconterà egli stesso. Siamo obbligati a concludere che il Sant’Uffizio, per qualche ragione a noi ignota, non fu abbastanza severo nei confronti del teologo; un personaggio del genere, pochi secoli prima, avrebbe fatto la fine di un Giordano Bruno, suo parente stretto. Possiamo soltanto ammettere che i gesuiti deviati fossero già così potenti, all’interno della Curia Romana, da poter influenzare le decisioni di papa Pio XII; il suo confessore, d’altronde, non era forse il biblista Augustin Bea, fautore della riforma liturgica e dell’esegesi storico-critica, nonché sognatore di un concilio in cui la Chiesa rivedesse finalmente la sua dottrina sul giudaismo e sugli acattolici?
Alla dissoluzione dogmatica innescata da Teilhard e proseguita, seppur più discretamente, da de Lubac con la sostanziale riduzione della grazia alla natura, si affiancava la demolizione delle fonti della fede e della loro autorità. La Scrittura (ora trattata come un’opera letteraria qualunque) e la Tradizione (attestata in modo eminente dalla lex orandi) dovevano subire una sottile e pervasiva manipolazione dettata da “incontestabili” ragioni filologiche. L’École biblique di Gerusalemme – come chiunque può osservare nelle note della sua celebre Bibbia – si autorizzava allegramente ad alterare il textus receptus in base a mere illazioni e congetture di studiosi. Intanto il gesuita Stanislas Lyonnet, allievo di Bea e a sua volta maestro di Martini, dava il la allo stravolgimento della teologia biblica con un’interpretazione tendenziosa del peccato originale e della giustizia divina, ripensata come fedeltà di Dio alle proprie promesse ed epurata dell’aspetto retributivo, il quale è continuamente sottolineato, invece, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento (a titolo di esempio, cf. Sal 61, 13; Pr 24, 12; Mt 16, 27; Rm 2, 6; 1 Pt 1, 17; Ap 22, 12).
La reazione dei professori dell’Università Lateranense, capeggiati da Piolanti e Spadafora, in nome della retta dottrina ebbe per esito, nel 1962, la sospensione di Lyonnet dalla cattedra, presto resagli, nel 1964, per intervento di Paolo VI. Con questo avallo di fatto dell’interpretazione modernista dell’enciclica Divino afflante Spiritu di Pio XII, le porte dei seminari venivano spalancate alla nouvelle théologie, ormai libera di reinterpretare la Rivelazione in chiave esistenzialistica e di ridurre il Magistero a un’ermeneutica fra le altre, ineluttabilmente soggetta all’evoluzione culturale. Pochi si avvidero – facendosi perciò condannare all’ostracismo – del fatto che una tale legittimazione modificava i princìpi stessi della riflessione teologica, in tal modo consegnata allo storicismo con inevitabili esiti soggettivistici e relativistici. Non è risolutivo, in tale contesto, accanirsi a confutare singole innovazioni del Vaticano II (come la collegialità, l’ecumenismo e la libertà religiosa), né fermarsi alla condanna del modernismo da parte di san Pio X, dato che la sua riedizione è ben più perniciosa e ha prodotto una radicale mutazione della forma mentis cattolica. Il trionfo della prassi sulla teoresi è servito a imporre cambiamenti ingiustificati in nome dell’adattamento a mutate condizioni socio-culturali che sono frutto di una sotterranea pianificazione.
Sul fronte germanico, l’operazione di rilettura del dogma col filtro di filosofie incompatibili con la fede produceva frutti ancor più velenosi. Da una parte Karl Rahner, sulla linea kantiana, elaborava la sua teoria del cristianesimo anonimo (ovvero di un complesso di verità che sarebbero presenti, in forma trascendentale, in tutte le culture e che la fede cattolica non farebbe che portare in piena luce), con la conseguente dissoluzione della teologia nell’antropologia e l’annullamento della necessità, ai fini della salvezza, di appartenere alla Chiesa seguendone gli insegnamenti. Dall’altra Hans Urs von Balthasar (anch’egli gesuita, in un primo tempo), nel suo sforzo hegeliano di riconciliare Lutero con la dottrina cattolica, finiva con l’alterare quest’ultima in una personale costruzione estetizzante, fino ad accogliere l’assurda idea di un conflitto tra le Persone divine durante la Passione di Cristo. La concentrazione, ormai invalsa, sulla scelta del metodo e sull’approccio ermeneutico rende ciechi di fronte all’inconciliabilità di certi contenuti con la dottrina trasmessa. Che i due teologi, poi, siano assurti ad alfieri di due contrapposte ermeneutiche del Concilio, l’una progressista, l’altra conservatrice, non è altro che l’ennesimo inganno di una colossale mistificazione.
Arriviamo così a Giovanni Paolo II davanti al suo nodo gordiano, pronto a scioglierlo alla maniera di Alessandro, ma ignaro di un occulto pericolo. Il suo interessamento finanziario, mediante lo IOR, all’ascesa del sindacato Solidarność aveva appena coinvolto la Santa Sede nello scandalo del Banco Ambrosiano. Tale situazione metteva il Pontefice in una pericolosissima posizione di ricattabilità, effettivamente sfruttata da quel diabolico massone di Casaroli per bloccarlo sui gesuiti, come pure nella condanna dei regimi comunisti e nella consacrazione della Russia. Oltretutto, in ricompensa per l’appoggio occidentale alla rivoluzione polacca, si pretese il primo incontro sincretistico di Assisi, che, quale inizio di una lunga serie, costituì il riconoscimento di fatto della teologia dei gesuiti. Le erogazioni verso la Polonia, peraltro, continuarono sotto l’egida dell’IRI guidata da Romano Prodi, amico di famiglia – all’epoca – di un oscuro ausiliare di Reggio Emilia miracolosamente balzato, in pochi anni, a segretario della CEI, poi Vicario di Roma e Presidente della medesima.
Se Montini era imbevuto dell’umanesimo integrale del trasformista Maritain e del Cristo cosmico di Teilhard de Chardin, Wojtyła aveva una fede rocciosa e forgiata dalla vita sotto un regime del blocco sovietico, pur essendosi nutrito, negli studi, del personalismo franco-tedesco. Con un temperamento del genere, nessuno avrebbe potuto impedirgli – se fosse stato un po’ meno patriota – di rimettere ordine nella Chiesa, a cominciare dai gesuiti. Purtroppo le cose andarono diversamente, così che oggi il progetto eversivo, per quanto temporaneamente contenuto, è giunto a compimento proprio grazie a uno di loro, plasmato questa volta dalle idee di Marx, Rahner e Lutero, rifuse in una massonica mistica della fratellanza umana che lo ha condotto fino ad una dichiarazione formale di apostasia, secondo la quale «le diversità di religione […] sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani»: è la presunta religione universale ed eterna della Cabala, che sarebbe il ceppo comune di tutte le religioni storiche e in cui queste ultime dovrebbero riconfluire. Che dire? Preso atto di questa infausta storia, rimaniamo saldi, ognuno al proprio posto, per mantenere accesa la fiamma della fede. Mi raccomando, non lasciatevi ulteriormente complicare la vita con problemi inesistenti: quando vi comunicate, non potete entrare in comunione con chi è fuori della Chiesa.
Pubblicato da Elia
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