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domenica 23 giugno 2019

E'la destra a essere cambiata o la Chiesa cattolica?

La Chiesa che sfida le destre Così si è spaccato l'Occidente
La grande spaccatura tra la Chiesa cattolica e le destre

Lo scontro tra la Chiesa cattolica e la destra, occidentale o meno che sia, non fa quasi più notizia. L’ultimo episodio inseribile all’interno di quella che sembra ormai divenuta una saga riguarda l’attrito tra Jair Bolsonaro e la “indigenizzazione” della Chiesa, cioè la volontà delle istituzioni ecclesiastiche sudamericane di stringere accordi di prospettiva con le popolazioni amazzoniche. 

Il presidente del Brasile teme per lo scorporo del “triple A”, un territorio “che include le Ande e l’Amazzonia, fino all’Atlantico: una grande fascia che verrà posta sotto il controllo mondiale, in nome della protezione ambientale”.Possiamo provare a immaginare lo scenario di ottobre, che è il mese del Sinodo: i vescovi, chiamati a raccolta per l’appuntamento sinodale, si scagliano contro lo sfruttamento capitalistico della foresta e delle zone limitrofe, attaccando magari le politiche liberiste dell’esecutivo brasiliano. L’ecologismo è ormai entrato a far parte dei mantra pastorali. La Chiesa abbraccia il mondo e respinge il “gioco infame” del populismo. La definizione è di mons. Hollerich. Le dinamiche politiche dell’America meridionale, forse pure per via delle origini di Jorge Mario Bergoglio, raffigurano campi dove le Conferenze episcopali, per ora, sono intervenute con parsimonia. Non è andata così in Europa.
Lo sconto tra Alternative für Deutschland e la Chiesa teutonica è un argomento che abbiamo già trattato. Il cardinale Reinhard Marx guarda ai Verdi per l’avvenire del Vecchio continente. Nel Benelux, tanto il cattolicesimo quanto l’ideologia politica sovranista posseggono un peso specifico minoritario. Medesimo discorso vale per le nazioni scandinave. Marine Le Pen non è facile da contrastare per l’episcopato francese: è laica, ma le correnti cattoliche tradizionali d’Oltralpe, che contano ancora, hanno spesso fatto riferimento al Front National, specie ai tempi di Jean Marie. Gli ingredienti di base non si prestano troppo a un’offensiva. Ma Marine rimane comunque un’attrice centrale del “gioco infame”.
Addurre come prova il “caso” di Donald Trump è quasi un esercizio di stile. Negli Stati Uniti, la “crisi di credibilità” delle istituzioni ecclesiastiche è più evidente, ma pure la spaccatura tra l’ala destra e l’ala sinistra della Chiesa è appurabile con semplicità: pensate alle differenze tra la visione del mondo del cardinal Raymond Leo Burke e quella del gesuita James Martin, consultore del Vaticano per la Segreteria per la Comunicazione. Dal muro al confine con il Messico alla gestione dei fenomeni migratori, passando per la bioetica e le politiche economiche: la sinistra ecclesiastica americana è appiattita sui Democratici, mentre la destra ecclesiastica è quasi più trumpiana che papalina.
L’eccezione che conferma la regola si riscontra nelle nazioni che fanno parte di Visegrad: la Conferenza episcopale ungherese non è affatto ostile a Viktor Orban e al suo esecutivo. La stessa dinamica innestatasi in Polonia e in Repubblica Ceca. Ma non è possibile negare che la Chiesa cattolica contemporanea faccia parte, quasi per la sua totalità, dell’opposizione al sovranismo, quindi al ripristino e alla difesa dei confini e alla “linea del rigore” sui migranti e sull’ immigrazione. Il nemico non è tanto il capitalismo, che non tutte le formazioni politiche populiste perseguono. È la “mentalità restrittiva” che spaventa i chierici.
Il cattolicesimo, per definizione, è universale. La Chiesa contesta certi effetti della globalizzazione, ma opera all’interno di un palcoscenico aperto, che non prevede recinti. Chi recita su quel palco applaude all’irruzione nella storia del multiculturalismo. Può apparire paradossale, ma i clericali non sono più quelli seduti a destra tra gli scranni assembleari. Quei parlamentari, semmai, guardano alla sparuta minoranza composta da cardinali, vescovi e sacerdoti che sembrano almeno non protestare per ogni azione messa in campo: li chiamano “tradizionalisti”. E il rischio, manco a dirlo, è che i fedeli, immersi a loro volta nella secolarizzazione, si dividano per simpatie.
Sostenere la causa di un porporato “trumpiano” o “lepenista”, insomma, piuttosto che l’unità. Poi ci sono le stratigrafie elettorali, che continuano a raccontare di come i cattolici votino spesso e volentieri per le stesse istanze, e quindi per i leader, verso cui gli episcopati lanciano moniti. Ma è la destra a essere cambiata o la Chiesa cattolica.
Francesco Boezi 

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