Il senso della vita è capire il fine di tutte le cose. La creazione? Credulone e bigotto non è chi riconosce l’esistenza di Dio quale "Causa Prima" di tutto ciò che esiste, ma chi si ostina a non ammetterla per mero pregiudizio
di Francesco Lamendola
E tuttavia, si viene al mondo per una qualche ragione. Se così non fosse, se noi fossimo gettati a caso dal destino, da una forza naturale cieca e irresponsabile, come pensava Leopardi, ci troveremmo pur sempre in presenza di una stranezza, anzi di una coincidenza che ha dell’incredibile: che il caso avrebbe generato in noi, e non in noi soltanto, un universo di una complessità, di una perfezione e di un’armonia straordinarie, proprio come se fosse stato concepito e attuato dalla più prodigiosa delle intelligenze e dalla più possente delle forze. Senza l’uomo, tuttavia, non ci sarebbe qualcuno in grado di godere, consapevolmente e sino in fondo, di tanta magnificenza: il che sarebbe un incredibile spreco, una dissipazione di energia che solo una probabilità su miliardi di miliardi avrebbe potuto realizzare. Non è chi crede nel finalismo, ma chi sostiene il casualismo, che deve provare a spiegare una tale, inverosimile coincidenza e un tale spreco: è come se un perfetto analfabeta di pittura, semplicemente gettando qualche pennellata a casaccio sulla tela, dopo aver mescolato alla cieca i colori, avesse realizzato un capolavoro più ammirevole della Vergine delle rocce di Leonardo da Vinci.
Anzi, neppure questo: è come se un simile capolavoro si fosse fatto da sé, in base ad agenti puramente naturali: le forme, le linee, i colori, i materiali, le proporzioni, l’armonia compositiva, la perfezione di tutto l’insieme: solamente opera del caso, del vento, dell’acqua, degli sbalzi termici, della fermentazione della materia, dell’ossidazione, della cristallizzazione, della fossilizzazione. Una cosa forse non del tutto impossibile, in un modello matematico e probabilistico puramente teorico, disponendo però di un arco di tempo addirittura inimmaginabile; ma in pratica, chi potrebbe mai crederlo? Sarebbe come credere alla possibilità che un bambino di quattro anni, scarabocchiando delle note alla rinfusa, per gioco, sul rigo musicale, possa comporre la Toccata e fuga in Re minore di Johann Sebastian Bach. Suvvia, è chiedere troppo al caso.
Ogni cosa esiste secondo la propria natura, altrimenti non potrebbe sussistere e si auto-distruggerebbe, come un esperimento non riuscito: così l’intelligenza umana esiste in maniera lacunosa e imperfetta, mentre l’Intelligenza Prima vede tutto, sa tutto e conosce tutto, per la semplice ragione che tutto proviene da lei e tutto a lei farà ritorno!
Dunque, possiamo ammettere che l’esistenza di un fine inerente alla creazione è un’ipotesi altamente probabile, per non dire pressoché certa: tanto è vero che sarebbe difficilissimo riuscire a dimostrare il contrario, o anche solo a dimostrarne la probabilità, ossia che tutto è frutto del caso e che nessuna intelligenza, dunque nessun Dio, è all’origine dell’universo. Credulone e bigotto, a quel punto, non è chi riconosce l’esistenza di Dio quale Causa Prima di tutto ciò che esiste, ma chi si ostina a non ammetterla, per mero pregiudizio. E se esiste una Causa Prima, come vuole la logica e come nessuno scienziato serio potrebbe negare, a meno di ingolfarsi in una regressio ad infinitum, allora esiste anche una suprema Intelligenza, perché le cose che esistono rivelano un ordine estremamente complesso, perfino quelle in apparenza più semplici, come una goccia d’acqua o un filo d’erba; e nessuno può ragionevolmente negare che le cose complesse devono aver origine da un’intelligenza di altissimo livello. Si tenga sempre a mente che cause semplici producono degli effetti semplici (o che sono complessi solo in apparenza), mentre effetti complessi presuppongo necessariamente delle cause che siano come minimo altrettanto complesse, ma verosimilmente molto più complesse e sofisticate. A questo punto proviamo a domandarci se è concepibile, e se è verosimile, una intelligenza, non un’intelligenza qualsiasi, ma l’Intelligenza suprema, la quale operi del tutto a caso, senza alcun fine, senza alcuno scopo. Certo, è possibile, sempre in via teorica; ma in pratica? L’intelligenza non è una facoltà accessoria ed estemporanea; dire intelligenza è come dire fini e scopi, perché è nella sua natura cercare, indagare, realizzare, non però improvvisando, ma seguendo un metodo, un piano, una strategia: e si può concepire una strategia che sia priva di scopo? La strategia del ragno, allorché tesse la sua tela, è finalizzata alla cattura della mosca; la strategia dell’usignolo, nel costruirsi il nido, è covare e proteggere i piccoli; come la strategia del cuculo è sfruttare il nido di un altro uccello per mettervi le sue uova. E il fine è sempre lo stesso: la conservazione e, per quanto possibile, l’accrescimento della specie. E se questo è vero per l’intelligenza istintiva, meccanica, degli animali, come non lo sarà, e a molto maggior ragione, per una intelligenza assai evoluta e capace di vagliare e calcolare infinite cose, anche future, che sfuggono allo sguardo immediato, in vista di un fine più alto, non banale, non limitato, non caduco, ma profondo, assoluto ed eterno? Si giunge così alla conclusione che l’esistenza di un’intelligenza presuppone un fine, proprio come l’esistenza del fumo sta a significare che esiste un fuoco, qualche cosa che sta bruciando. L’intelligenza non può rimanere chiusa in se stessa: deve aprirsi, espandersi, traboccare all’esterno (e anche all’interno), per sondare tutte le possibilità e valutare in che direzione agire, a quale fine tendere. E se ciò è vero per l’intelligenza finita dell’uomo, così imperfetta e limitata, così frequentemente soggetta all’errore, a maggior ragione l’Intelligenza assoluta, che non s’inganna, né mai lo potrebbe per sua stessa natura. Ogni cosa, infatti, esiste secondo la propria natura, altrimenti non potrebbe sussistere e si auto-distruggerebbe, come un esperimento non riuscito: così l’intelligenza umana esiste in maniera lacunosa e imperfetta, mentrel’Intelligenza Prima vede tutto, sa tutto e conosce tutto, per la semplice ragione che tutto proviene da lei e tutto a lei farà ritorno.
La gloria di Dio è quando l’uomo si rende conto di qual è il fine della sua esistenza e qual è il fine di tutte le cose che vi sono nell’universo: conoscere e glorificare Dio!
Il senso della vita è capire il fine di tutte le cose
di Francesco Lamendola
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EVIDENZA DELL'ESISTENZA DI DIO
di Francesco Lamendola
Ci sono due modi per arrivare all’idea di Dio: per affermazione e per esclusione. Il primo è stato seguito dai filosofi classici, e in particolare da san Tommaso d’Aquino, con le sue cinque vie. Egli sostiene che si può provare l’esistenza di Dio, in base a queste logiche deduzioni:
1) nel mondo esiste il moto, dunque c’è qualcosa che muove ciò che viene mosso; e, risalendo la catena delle cause, si arriva al Motore Primo, che muove tutto ed è immobile;
2) tutto ciò che esiste presuppone una causa efficiente, ma a sua volta, ciò che è causato deve avere una causa che sia altro da sé; perciò si giunge all’idea di una Causa Prima;
3) tutto ciò che possiamo vedere è di natura contingente: esiste, ma potrebbe anche non esistere, e un tempo infatti non esisteva; perciò si deve ammettere qualcosa che sia necessario e non contingente, all’origine di tutto;
4) tutte le cose possiedono un certo grado di perfezione che è sempre relativo, mai assoluto; le cose cioè non sono mai del tutto vere, giuste, belle, ecc: e ciò presuppone che la perfezione esista e che in essa non vi sia alcuna traccia d’imperfezione;
5) tutte le cose tendono a un fine, ma nessuna mostra di possedere in sé la coscienza di esso, in quanto agiscono meccanicamente: la pianta si accresce, l’animale si nutre e si riproduce, ecc; dunque deve esserci un fine supremo a cui le cose tendono, e che è consapevole del disegno complessivo attestato dalla loro tensione, dunque assolutamente intelligente.
San Tommaso d’Aquino, con le sue cinque vie sostiene che si può provare l’esistenza di Dio
C’è un altro modo per arrivare all’idea della necessità di Dio, in parte simile a quello tracciato da san Tommaso, ma che pone maggiormente l’accento sulla impossibilità che Dio non esista, proprio perché, se non esistesse, il mondo così com’è ci apparirebbe del tutto inspiegabile, casuale e assurdo. Quando osserviamo il fatto di aver sete, la ragione ci dice che esiste ciò che spegne la sete, cioè l’acqua. Così pure, se consideriamo il fatto di aver freddo, giungiamo alla conclusione che noi abbiamo la nozione del calore: se non l’avessimo, non avremmo la sensazione del freddo. E così via. Allo stesso modo, se osserviamo il nostro bisogno di Dio, la ragione ci dice che non possiamo esserci creati da noi stessi l’idea di un assoluto che non esiste, perché, se non esistesse, noi non ne avremmo alcuna nozione. Le filosofie ateiste sostengono che noi, alienandoci, duplichiamo la realtà, e che ci fabbrichiamo un altrove che non c’è, per spiegare il mondo reale che non ci soddisfa. Ma perché non ci soddisfa? Se noi fossimo fatti solo di materia nata dal caso; se in noi non vi fosse alcunché di divino, ma solo la natura animale; se fossimo del tutto casuali e contingenti, effimeri e transeunti, chi o cosa avrebbe posto in noi la nozione di un di più che soddisfi le nostre più profonde aspirazioni? Ce lo siamo costruito da soli, essi dicono, proiettando su un oggetto immaginario ciò che vorremmo, perché insoddisfatti del presente. Ma, di nuovo: perché siamo insoddisfatti del presente?
Solo quando l’uomo capisce che non deve attaccarsi alle cose, neppure le più dolci, perché tutte le cose sono destinate a passare; solo quando si rende conto che la sete che lo divora non può essere spenta dalle cose terrene, ma esige un’acqua viva, che scaturisce per la vita eterna: solo allora l’uomo spezza l’incantesimo, o piuttosto l’incubo, dell’isola spaventosa sulla quale si vede confinato, e trova la pace, perché vede il fine della propria esistenza. Il fine dell’esistenza umana è cercare, conoscere, adorare e lodare Dio, fonte dell’esistenza di ogni singola cosa!
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La ragione conduce alla stessa meta della fede: Dio
di Francesco Lamendola
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