ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 9 settembre 2019

Il "Nuovo Ordine Buonista"

IL TOTALITARISMO DELLA BONTA'


Aiuto: vogliono imporre il totalitarismo della bontà. Il "Nuovo Ordine Buonista" e l'esempio del falso caso "Bellanova": quel che volevano ottenere l’hanno ottenuto, non parlando dell’oscenità di un governo nato da un ribaltone 
di Francesco Lamendola  

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Il putiferio scatenatosi di fronte alle battute ironiche che qualche incauto si è permesso di fare nei confronti della improbabile mise del neo-ministro delle Politiche agricole, Teresa Bellanova, una signora in quota PD che vanta un diploma di terza media come massimo titolo di studio e che, come sindacalista, non sembra aver riportato risultati strabilianti, tali da giustificare il suo inserimento nella squadra del governo Conte Bis, è solo l’ultimo episodio di una ormai martellante campagna mediatica volta ad instaurare, che ci piaccia o no, una nuovissima e impeccabile forma di dittatura, o, per dir meglio, di totalitarismo, visto che nessuna dittatura si è mai sognata di censurare anche i discorsi privati e i pensieri segreti della gente: il totalitarismo della bontà. 

Ancora più penose e imbarazzanti le parole con le quali l’interessata ha reagito alle legittime critiche (a meno che sia stata approvata, a nostra insaputa, una legge che faccia espresso divieto di esprimere giudizi estetici su un capo d’abbigliamento, o proibisca severamente di permettersi una forma d’ironia sulle scelte degli abiti sfoggiati dai personaggi pubblici) che le erano state rivolte sui social. Frasi come questa: La vera eleganza è rispettare il proprio stato d’animo. Io ho indossato un vestito blu elettrico a balze perché anch’io mi sentivo così, entusiasta, e quel colore esprimeva il mio stato d’animo; o come questa: Mi sono presentata così, sincera come una donna, meriterebbero il Nobel della banalità stile Baci Perugina, e anche qualcosa di meno. Se uno si sente in uno stato d’animo naturista, probabilmente sarà elegante se va in giro tutto nudo; e se un suo collega maschio si fosse sentito elettrizzato quanto lei, immaginiamo, per coerenza e per la par condiciofra donne e uomini, che avrebbe avuto ogni diritto di presentarsi in maglietta, bermuda e ciabatte infradito. Quanto alla proverbiale sincerità delle donne, crediamo non ci sia donna onesta e intelligente che non scoppi a ridere all’udire un’affermazione del genere.

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Il Governo Conte bis: spicca al centro l'improbabile mise "blu elettrico"del neo-ministro delle Politiche agricole, Teresa Bellanova, una signora in quota PD che vanta un diploma di terza media come massimo titolo di studio e che, come sindacalista, non sembra aver riportato risultati strabilianti, tali da giustificare il suo inserimento nella squadra del governo!

Ad ogni modo, quel che volevano ottenere i media, l’hanno ottenuto: non si parla dell’oscenità di un governo nato da un ribaltone di palazzo, che mette sessanta milioni d’italiani davanti al fatto compiuto di una manovra indecente, grazie alla quale sono giunti a governare il paese dei personaggi che nessuno ha votato e un partito, il PD, che è risultato nettamente in minoranza sia nelle ultime elezioni, quelle del marzo 2018, sia nei più recenti sondaggi. L’oscenità, quindi, non è che gente come la signora Bellanova occupi delle poltrone da ministro senza aver ricevuto un voto dagli elettori, anzi, in spregio aperto alla volontà espressa dagli elettori (che indicava una chiara maggioranza di centro-destra; e fu precisa responsabilità del presidente Mattarella non averne tenuto conto nelle consultazioni per formare il nuovo governo), ma che qualcuno trovi da ridire sul fatto che quella signora si presenti a giurare fedeltà alla Repubblica vestita in maniera inappropriata e irrituale. Ma questo, ripetiamo, è solo l’ultimo episodio di una lunga serie: è ormai da qualche anno che si sta profilando l’avanzata (ir)resistibile del totalitarismo buonista, e guai a chi osa opporvisi o a chi è lento nel mettersi al passo coi tempi nuovi e col Nuovo Ordine Buonista. Tutti abbiamo notato, per esempio, l’aumento esponenziale delle pubblicità televisive che chiedono, o pretendono, solidarietà morale e, naturalmente, offerte in denaro per contrastare questa o quella malattia, specialmente infantile, bombardando il telespettatore con immagini commoventi, talvolta scioccanti, e affidando la richiesta a genitori che a stento trattengono le lacrime e con occhi umidi gli dicono che la loro ultima speranza di “ridare un sorriso” ai loro figli malati è riposta nella sua solidarietà. In particolare vi è una moltiplicazione degli spazi televisivi che si prestano alla maratona denominata Telethon, fondata dall’attore Jerry Lewis nel 1964, il cui scopo è raccogliere fondi per trovare una cura alla sindrome della distrofia muscolare. Per le strade, all’ingresso degli ospedali, giovani volontari allestiscono banchetti e fermano i passanti offrendo loro volantini di associazioni come Scarpetta Rossa, sorte per raccogliere fondi a sostegno delle donne vittime di violenze (e per gli uomini, mai niente?).

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Il Nuovo Ordine Buonista? Col falso caso Bellanova, quel che volevano ottenere i media, l’hanno ottenuto: non si parla dell’oscenità di un governo nato da un ribaltone di palazzo: l'oscenità, quindi, non è che gente come la signora Bellanova occupi delle poltrone da ministro senza aver ricevuto un voto dagli elettori, anzi, in spregio aperto alla volontà espressa dagli elettori (che indicava una chiara maggioranza di centro-destra; e fu precisa responsabilità del presidente Mattarella non averne tenuto conto nelle consultazioni per formare il nuovo governo), ma che qualcuno trovi da ridire sul fatto che quella signora si presenti a giurare fedeltà alla Repubblica vestita in maniera inappropriata e irrituale!

E via di questo passo. Se un ragazzino straniero subisce un torto, se un professore lo sgrida, se un passante gli dà uno spintone, se un compagno lo apostrofa con una frase razzista, subito si fa un servizio da telegiornale, o si riempie una intera pagina di quotidiano per narrare il terribile fatto e riversare torrenti d’esecrazione sui miserabili che si sono macchiati d’una così abominevole colpa. Ma se a macchiarsi di colpe ben più gravi sono degli stranieri, e specialmente dei minorenni stranieri (il che non significa che siano dei “bambini”: a sedici anni, in Africa, si è già uomini fatti), non ci sarà alcun servizio di telegiornale e solo un trafiletto in una pagina interna del quotidiano: se possibile, il corrispondente cerca anche di non precisare la nazionalità del colpevole. Solo se è un italiano, o comunque un bianco, i mass-media, trionfanti, si affrettano a sbandierarlo già nel titolo; come dire: Avete visto? Avete visto quanto siete, quanto siamo cattivi, noi italiani, noi bianchi? Quanto siamo meritevoli di disprezzo, quante colpe abbiamo da farci perdonare?Sottinteso: accogliere qualsiasi quantità d’immigrati clandestini e di falsi profughi, chiudere un occhio su qualsiasi malefatta di rom e sinti, è il minimo che si possa fare, per alleggerire un poco il terribile peso delle nostre colpe che grava sul piatto della giustizia. Del resto, abbiano pure le colpe del colonialismo da farci perdonare: e la guerra d’Etiopia, dove la mettiamo? E l’uso dei gas da parte dell’aviazione di Badoglio, nel 1936? E le repressioni di Graziani in Cirenaica, contro i senussi di Omar al-Mukhtar, quelle ce le vogliamo scordare? Sì, è vero che, all’epoca, nessuno di noi aveva più di otto anni; ma che vuol dire? Ci sono delle responsabilità storiche che una società si deve assumere in solido, fino alla ventesima generazione e magari anche più in là. Come dite? Che invece di colpevolizzarci per il nostro colonialismo, durato pochi decenni e finito da ottant’anni, si potrebbe dedicare un po’ di attenzione al neocolonialismo dei nostri cugini francesi, i quali continuano a saccheggiare l’Africa, a imporre la loro moneta, a fare guerre destabilizzanti al solo scopo d’impadronirsi (a nostro danno) delle ricchezze naturali, come il petrolio; ma non sarebbe politicamente corretto. Emmanuel Macron è un leader socialista, è la punta di diamante dei progressisti europei, che fanno barriera contro il populismo e il sorvranismo scatenati; e c’è perfino un signore del nostro PD che ha accettato di entrare nel suo governo, per far sapere a tutti quanto è salda e forte l’amicizia fra i progressisti transalpini e quelli cisalpini, nel comune progetto di un’Europa più aperta e più civile, con più eutanasia, più droga libera, più uteri in affitto, più adozioni alle coppie gay  e più genitori 1 e genitori 2; lasciamo stare le faccende francesi in Africa, dopotutto son cose che non ci riguardano (anche se ci riguardano eccome, visti gli effetti della guerra del 2011 voluta da Sarkozy contro Gheddafi sulle ondate migratorie che c’invadono partendo dalle coste della Libia).

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  Dietro certi sorrisi bonari cosa si nasconde? il falso papa vuole essere l’amicone, il compagnone, il buffone di tutti per allontanar da sé quell’immagine sgradevole di autoritarismo che è inscindibilmente associata, nella cultura moderna, all’immagine paterna. Peccato solamente che al signor Bergoglio gli riesca così male di recitare una simile commedia: anche perché l’autoritarismo, lui, ce l’ha nel sangue e per davvero, non per finta, e ne sanno qualcosa i poveri cattolici che hanno la sfortuna d’incorrere nella sua ira e nella sua spietata vendicatività!

Eccoci dunque alle radici psicologiche e culturali del totalitarismo della bontà: il senso di colpa. Un senso di colpa abnorme, ipertrofico, sterile e distruttivo, che non perdona e non dimentica nulla del passato, perché non ama e non apprezza nulla del presente; un senso di colpa che alimenta un continuo auto-disprezzo, una specie di furore autolesionistico, un patologico impulso d’infangare, deturpare, insozzare la propria immagine. Cominciando dall’immagine più autorevole e più necessaria di tutte: quella del padre. Sulla scia di Freud, e sull’esempio dei pessimi maestri del ’68, la società europea ha introiettato, specie nelle giovani generazioni, un’avversione per la figura paterna che sconfina abbondantemente nel disprezzo e nell’odio più irragionevoli. Il padre non è più colui che protegge, che rassicura, che garantisce un ordine contro le forze minacciose del caos; no: è il tiranno, l’ipocrita, lo sfruttatore, colui che vuole sottomettere, che vuole castrare i suoi figli, e che merita il più grave dei castighi: la morte, se non la morte fisica, quella morale. E infatti, a partire dagli anni ’60, la figura paterna ha cominciato a morire: è stata lentamente avvelenata, intossicata, eliminata, rimossa. Al suo posto, la donna femminista nevrotica e perennemente insoddisfatta, i figli privi di riferimenti autorevoli, le coppie fragili che si rompono e si ricompongono in tutte le varianti possibili e immaginabili (ora anche quella omosessuale). Disonora il padre e troverai la tua libertà, potrai finalmente realizzarti (magari coi suoi soldi sia per studiare, sia per farti mantenere senza far nulla): questa è stata la filosofia post-sessantottina, seguita da milioni e milioni di giovani in Europa e in America. E poiché il papa dei cattolici è un super-papà, ecco che infine anche il papa s’è vergognato e pentito di fare il papa, ha voluto essere invece l’amicone, il compagnone, il buffone, per allontanar da sé quell’immagine sgradevole di autoritarismo che è inscindibilmente associata, nella cultura moderna, all’immagine paterna. Peccato solamente che al signor Bergoglio gli riesca così male di recitare una simile commedia: anche perché l’autoritarismo, lui, ce l’ha nel sangue e per davvero, non per finta, e ne sanno qualcosa i poveri cattolici che hanno la sfortuna d’incorrere nella sua ira e nella sua spietata vendicatività.

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Il totalitarismo della bontà? L'italico ciarpame post '68, mescolato ai sensi di colpa viene oggi abilmente pilotato e sfruttato dal potere occulto, quello che ha in mano tutta la comunicazione, il cinema, i mass-media, ovvero il potere finanziario; il quale, a sua volta, delega il potere politico a farne strumento di governo, sempre per i suoi sporchi fini!

Aiuto: vogliono imporre il totalitarismo della bontà

di Francesco Lamendola
  
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SE NON E' UN'INVASIONE COS'E'?
Signor ministro, se non è un’invasione che cos’è? Si ripete sempre il ritornello di "Quant’è bello vivere in democrazia": ma che democrazia è quella in cui non si chiede a un popolo se è d’accordo d’essere invaso e sostituito? 
di Francesco Lamendola  

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 Mentre prosegue il pressing delle navi delle varie o.n,.g. attorno a Lampedusa, il nuovo ministro degli Interni, Luciana Lamorgese, già capo di gabinetto di Angelino Alfano (a volte ritornano…), ha detto, per salvare la faccia e vista l’impossibilità di una inversione di centottanta gradi in ventiquattro ore, che i porti, per adesso, restano chiusi, ma che verso i migranti verrà usata una maggiore “umanità”. Non comprendiamo bene – sarà un nostro limite - in che cosa il precedente governo abbia dimostrato scarsa umanità nei loro confronti: ci risulta che tutti i minorenni, tutte le donne in stato interessante, tutte le persone con qualsiasi problema di salute sono state fatte sbarcare senz’altro; gli altri, hanno subito il terribile oltraggio di aspettare alcuni giorni fuori del porto, fino a quando la Carola di turno (che ora si prende la rivincita querelando l’ex ministro Salvini) non li ha fatti sbarcare a viva forza, magari speronando una imbarcazione della Guardia di Finanza e mettendo in pericolo l’incolumità degli uomini in uniforme. Tuttavia appare chiaro, dal fatto che la primissima mossa del neogoverno giallo-fucsia, quasi ancora prima di giurare fedeltà alla Repubblica (di Pulcinella) è stata l’annuncio di avere impugnato le leggi sull’immigrazione adottate dalla regione Friuli Venezia Giulia, perché “discriminatorie” nei confronti, appunto, dei migranti (cioè discriminatorie non verso dei cittadini regolarmente recensiti ma verso dei clandestini che non si sa neppure chi siano e con quali intenzioni pretendano d’entrare illegalmente nel nostro territorio) quale sia la filosofia sottesa alla nuova linea politica verso l’immigrazione clandestina. Filosofia riassunta mirabilmente, si fa per dire, dal ministro Lamorgese, nell’affermazione che d’ora in poi ogni singolo caso sarà valutato in sé e per sé, d’intesa con il premier Conte, partendo dal presupposto che l’Italia non sta subendo alcuna invasione. Ecco, il punto è proprio questo: il fatto che il medesimo fatto viene giudicato dai politici della sinistra con un metro talmente diverso da quello usato dalla stragrande maggioranza degli italiani – come è provato dal massiccio sostegno popolare al Decreto Sicurezza Bis dell’ormai defunto governo Conte 1 – da far pensare che non si tratti nemmeno dello stesso fatto. Signor ministro, se quella che sta subendo l’Italia ormai da una trentina d’anni, prima dall’Albania, poi da altri Paesi dell’est e infine dall’Africa e dal Medio Oriente, non è un’invasione, allora che cos’è? Come la chiama lei? Che cos’è un’invasione secondo lei e secondo i membri del governo di cui lei fa parte?

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Un’invasione è la penetrazione in un territorio di popoli che migrano in cerca di nuove sedi; e non è detto che debba avvenire manu militari!

Partiamo dal presupposto che la lingua italiana, come del resto ogni altra lingua, non esprime una corrispondenza fra parole e concetti tanto precisa quanto le scienze matematiche, e tuttavia che essa è suscettibile di fornire definizioni ampiamente condivise; che non è stata inventata artificialmente da qualche azzeccagarbugli per confondere le idee all’interlocutore; ma che, al contrario, è stata affinata dall’uso di tante generazioni affinché gli uomini si comprendano vicendevolmente e si comprendano sempre meglio.
Prendiamo allora il vocabolario Treccani e vediamo quale definizione dà della parola “invasione”:
invaṡióne s. f. [dal lat. tardo invasio -onis, der. di invadĕre «invadere»]. – 1. a. Ingresso nel territorio di uno stato da parte delle forze armate di uno stato belligerante, per compiervi operazioni belliche, con o senza l’intenzione di occuparlo stabilmente: l’idella Polonia, nella 2a guerra mondiale; faretentare un’i.; respingere un’invasioneb. Con riferimento soprattutto alla storia medievale, la penetrazione in un territorio di popoli che migrano in cerca di nuove sedi: le ibarbarichel’idegli Unni, o di Attilal’idella Spagna da parte dei Vandalil’i.longobarda, in Italia. c. Irruzione violenta o arbitraria di persone in un luogo: idi aziende agricole industriali, considerata come reato contro la pubblica economia; idi terreni edifici altrui (pubblici o privati), considerata reato contro il patrimonio, quando sia fatta con lo scopo di occuparli o di trarne altrimenti profitto; scherz.: ma questa è un’i., quando molte persone, per lo più amiche, entrano inaspettatamente tutte insieme in un luogo. In giochi a squadra, e soprattutto nel calcio, idel (o dicampo, irruzione degli spettatori sul terreno di gioco durante o alla fine di una partita, per protesta; ipacifica, quella effettuata per entusiastica acclamazione dei giocatori della propria squadra. d. Nella pallavolo, sconfinamento di un giocatore (o di una parte del suo corpo) nel campo di gioco avversario durante lo svolgimento di un’azione. 2. a. In relazione ai sign. estens. e fig. di invadere, di qualsiasi cosa che irrompa in un luogo occupandolo o diffondendovisi in gran quantità: un’idi cavallettedi topiarginare l’idelle acquel’idel morbodi un’epidemiac’è un’i.di prodotti (o anche di cantantistranieridi film polizieschidi fumetti pornografici. Raro col senso di usurpazione, ingerenza arbitraria e sim.: idi un poteredi un dirittol’idel sentimento nel dominio della ragioneb. In patologia, la diffusione nell’organismo di agenti infettivi o di cellule tumorali (imetastatica). In partic., nel decorso di alcune malattie infettive, periodo d’i., quello caratterizzato da febbre, comparsa più o meno brusca dei sintomi caratteristici, ed eventualmente positività dell’emocoltura.

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Non si può permettere a milioni di africani islamici di stabilirsi permanentemente in Italia, per una ragione semplicissima, che non c’entra né col razzismo, né con l’intolleranza religiosa: ossia perché l’Italia ha una sua identità, una sua fisionomia, e quelle persone non sono minimamente intenzionate ad adattarsi, ad integrarsi, a fare propri i valori e gli stili di vita del nostro popolo!

E dunque, o noi non conosciamo la lingua italiana e la adoperiamo malissimo, in senso del tutto improprio, e inoltre non sappiamo riconoscere i fatti che accadono sotto i nostri occhi e che ci toccano più da vicino, non sappiamo ragionare, non sappiamo comprenderli, oppure ci sembra che il secondo significato descriva perfettamente ciò che sta accadendo, da circa tre decenni, sulle coste e lungo i confini terrestri del nostro Paese. Un’invasione è la penetrazione in un territorio di popoli che migrano in cerca di nuove sedi; e non è detto che debba avvenire manu militari. A noi sembra che si possa e si debba definire “invasione” uno spostamento di popolazioni (perché, sommando il numero degli sbarchi e degli sconfinamento quotidiani, si arriva al valore di centinaia di migliaia, più i milioni d’immigrati “regolari”: cioè d’intere popolazioni) al quale non sia possibile opporsi. In questo caso, ciò che rende impossibile il rifiuto d’ingresso a chi giunge illegalmente nel territorio della nostra Patria è il carattere di emergenza umanitaria: difficile negare lo sbarco a persone che giungono in vicinanza dei nostri porti a bordo di canotti o imbarcazioni di fortuna; difficile anche se vi giungono comodamene traghettati dalle navi delle o.n.g., il cui medico di bordo non esita a compilare falsi certificati medici attestanti gravi patologie, per affrettare lo sbarco di persone che, visitate dal medico a terra, risultano perfettamente sane. Vi sono casi assolutamente documentati in proposito: perché sappiano, i signori buonisti in pantofole, che abbiamo a che fare con gente senza scrupoli, disposta a sfruttare il naturale senso di solidarietà e umana compassione per prendere per i fondelli sia il personale sanitario dei centri di accoglienza, sia l’intera opinione pubblica italiana, alla quale vengono rifilate commoventi narrazioni di emergenze sanitarie che in realtà non esistono. Inoltre, assurdi trattati internazionali, che andrebbero totalmente riscritti, assicurano tutti i diritti a queste persone che si fingono naufraghi e si fingono profughi, ma il cui vero obiettivo è stabilirsi definitivamente in un Paese non loro, costringendo la popolazione locale ad accettarli, e le autorità statali a regolarizzarli, anche se è evidente che un vero naufrago si accontenta di essere salvato dal mare e poi aiutato a fare ritorno a casa sua, e che un vero profugo è animato dallo stesso identico desiderio: ritornare a casa propria il più presto possibile, non appena si siano attenuate le circostanze eccezionali che l’hanno costretto a cercar rifugio all’estero. Rifugio nel più vicino Paese oltre le proprie frontiere: non in uno di sua scelta, preso di mira con protervia e scartando ogni soluzione alternativa, come quella di esser fatto sbarcare in un porto più vicino e assolutamente sicuro, come è il caso dei porti della Tunisia, geograficamente più vicini alla Tripolitania di quanto non lo siano le piccole isole italiane poste nel Canale di Sicilia, o addirittura le coste della Sicilia stessa. Ora, come si deve chiamare una quotidiana penetrazione di stranieri, che si prolunga da anni, da decenni, e investe cifre dell’ordine di milioni; penetrazione alla quale non è possibile opporsi, sia per ragioni umanitarie, sia giuridiche (il soccorso in mare ai profughi e l’ospitalità dovuta ai rifugiati), anche se tutto si basa su una grossa menzogna neanche tanto ben dissimulata, perché ciascuno sa che non si tratta né di veri naufraghi, né di veri profughi, almeno nel 95% dei casi? A casa nostra una cosa del genere si chiama invasione; ma evidentemente a casa del ministro Lamorgese, del premier Conte e del signor Bergoglio ha un altro nome.

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 Signor ministro, se non è un’invasione che cos’è? Si ripete sempre il ritornello di "Quant’è bello vivere in democrazia": ma che democrazia è quella in cui non si chiede a un popolo se è d’accordo d’essere invaso e sostituito?

Signor ministro, se non è un’invasione che cos’è?

di Francesco Lamendola

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