ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 15 novembre 2019

“Dio è messo in disparte”

DOPO IL CARDINAL SARAH
Combattere il naturalismo politico nella Chiesa

Il ripiegamento della Chiesa sul sociologismo indica che il naturalismo politico, condannato da tutti i Papi del Novecento, è entrato nella Chiesa stessa. Con gravi conseguenze anche per la Dottrina sociale.


                            Allegoria del Buon Governo - Ambrogio Lorenzetti

Nella Lectio pronunciata davanti al popolo della Bussola nell’occasione della presentazione del suo libro, il cardinale Robert Sarah ha lamentato il drammatico ripiegamento della Chiesa di oggi sul sociologismo. Si tratta di una “crisi di fede” e questa “perdita del senso della fede è la fonte e la radice della crisi della civiltà”.

Le parole del cardinale hanno riguardato indirettamente anche la Dottrina sociale della Chiesa la quale, da annuncio di Cristo nelle realtà temporali e da strumento di evangelizzazione,  è oggi ridotta ad opinione su temi ambientali e migratori, a collaborazione con tutti per una specie di umanesimo universale pacifista, a discorso che si guarda bene dal rivendicare un “posto per Dio” nella pubblica piazza. Quanto il cardinale afferma a proposito della Chiesa in generale vale anche per come oggi è intesa e messa in atto la sua Dottrina sociale.

Il posizionamento non più verticale ma orizzontale, ove “Dio è messo in disparte”, ha un nome: “naturalismo” e, in relazione alle tematiche della Dottrina sociale della Chiesa, ha anche un cognome: “naturalismo politico”. È questo il vecchio nemico, fin da subito denunciato dai Pontefici di fine Ottocento, e contro il quale era stata eretta la moderna Dottrina sociale della Chiesa.

Nella Immortale Dei (1885), Leone XIII affermava che “l’integrità della fede cattolica non è compatibile con le opinioni che inclinano al naturalismo o al razionalismo, le quali in sostanza non mirano ad altro che a rovinare l’edificio del cristianesimo e affermare nella società il principio dell’uomo indipendente da Dio”. Lo stesso pontefice, nell’enciclica Sapientiae christianae (1890), diceva che i sostenitori del naturalismo politico “trasferiscono alla natura umana il dominio strappato a Dio, e sostengono che si deve ricercare nella natura il principio e la norma di ogni verità” sicché “è necessario non lasciare alla Chiesa spazio alcuno nelle istituzioni dello Stato”. Già Pio IX nell’enciclica Quanta cura (1864) attribuiva al naturalismo politico la convinzione che: “il migliore ordinamento della società pubblica e il progresso civile esigono assolutamente che la società umana sia costituita e governata senza alcun riguardo per la religione, come se essa non esistesse, o almeno senza fare alcuna differenza tra la vera e le false religioni”.

Il naturalismo politico (sul quale segnalo il bel libretto curato da Giovanni Turco: M. Liberatore, Il naturalismo politico, Ripostes, Giffoni Valle Piana 2016) ritiene che il piano naturale basti a se stesso e sia in grado di organizzarsi senza Dio. La Dottrina sociale della Chiesa fu rilanciata da Leone XIII proprio per contrastare il naturalismo politico, in un’epoca in cui gli Stati sistematicamente estromettevano la religione dalla vita pubblica. Non si creda che la Rerum novarum sia nata per affrontare direttamente la questione degli operai, in questo caso sarebbe stata anche essa un esempio di naturalismo politico.

Essa vedeva la cosiddetta “questione sociale” come conseguenza dell’esclusione di Dio dalla vita pubblica, ossia come conseguenza del naturalismo politico. Per questo diceva che non c’è soluzione alla questione sociale fuori del Vangelo. Se oggi la Chiesa parla degli “operai” senza parlare di Gesù Cristo, significa che il giudizio sul naturalismo politico si è rovesciato e mentre un tempo la Chiesa lo combatteva, ora lo fa proprio. Un rovesciamento di prospettiva allarmante che il cardinale Sarah – seguendo in ciò Leone XIII -  attribuisce ad una lancinante “crisi di fede”. La fede cattolica è considerata semmai utile ma non più indispensabile per la vita comunitaria, la quale – come sostiene il naturalismo politico – si fonda sull’uomo e non su Dio. Che è il modo migliore, del resto, per non riuscire nemmeno a fondarla sull’uomo.

A questo proposito si può dire che anche il “personalismo cristiano” sia stato una forma di naturalismo politico, ancora moderata nella formulazione ma chiara nella impostazione. L’idea che la sintesi della vita sociale sia la persona umana, verso il cui concetto possono confluire tutte le religioni e tutte le ideologie in quanto concetto laico, ossia naturale, è un accoglimento del naturalismo politico tendente, come diceva Leone XIII,  ad “affermare nella società il principio dell’uomo indipendente da Dio”. Se è possibile, come sosteneva Maritain, stabilire una “fede secolare democratica” sufficiente per la costruzione della società e della politica e questa fede si chiama “personalismo politico”, risulta evidente  come questa proposta sia in debito con il naturalismo politico vero e proprio.

Il cardinale Sarah ha citato nella sua Lectio il famoso discorso del cardinale Ratzinger a Subiaco. In effetti la sua proposta/provocazione ai laici di vivere come se Dio fosse risulta di grande respiro, se collocata nella storia delle sorti del naturalismo politico. Quella frase suonava come invito a contrastare la prospettiva del naturalismo politico ed era rivolta non solo all’esterno della Chiesa ma anche all’interno di essa. Oggi che il naturalismo politico è penetrato così a fondo dentro la Chiesa, a pensare di dover organizzare la vita sociale come se Dio non fosse sono prima di tutto i cattolici. E si tratta di una crisi di fede.

Stefano Fontana

https://lanuovabq.it/it/combattere-il-naturalismo-politico-nella-chiesa
UNA NATURA NON “AMAZZONICA”

LA BELLEZZA DELLA BIOLOGIA
(estratto da Kurt Wise, “Devotional Biology: Learning to Worship the Creator of Organisms”, Compact Classroom, reperibile qui:
http://compassclassroom.com/shop/product/devotional-biology-textbook/)
Traduzione a cura di Stefano Dal Lago
La bellezza di Dio
Quando si intende il termine correttamente, la bellezza è un concetto olistico. Si dice che qualcosa è bello quando,prendendola in considerazione, si resta colpiti dal modo in cui tutte le sue caratteristiche si combinano in maniera coinvolgente. Non si tratta solo di trovare una cosa accattivante – una sorta di allettamento estetico monodimensionale –
ma anche armoniosa e in qualche misura buona. Risulta difficile definire bella una persona fisicamente attraente, ma al tempo stesso falsa, crudele, miserevole, infida, immorale o sciatta.
La bellezza implica una specie di piacevolezza estetica multidimensionale. Una persona bella è attraente nella totalità del suo essere – fisicamente, emotivamente e moralmente. È così, in un certo senso, che la Scrittura fa riferimento alla bellezza di Dio. Non soltanto per noi è attraente uno qualsiasi degli attributi di Dio (come la misericordia o l’amore) presi
singolarmente, ma tutti gli altri insieme, come la grazia, la pazienza, la bontà e l’onniscienza (e così via) lo sono. E questi attributi sono interconnessi e si combinano in modo meravigliosamente coinvolgente.
D’altra parte, bisogna rendersi conto che Dio non è semplicemente una somma e una mirabile composizione di un insieme di stupefacenti attributi. Nessuna somma può attingere l’infinito. Ogni attributo di Dio è infinito e parte necessaria
di Dio stesso. Tutti si realizzano pienamente e in contemporanea, in una totalità perfettamente unitaria – tanto mirabilmente allettante (bella) da muovere all’adorazione.
In tal modo, la “bellezza della santità” di Dio – la meravigliosa integrità di tutti i suoi attributi interrelati – muove al culto e alla lode (“adorate il Signore nella bellezza della santità”: I Chr. 16:29 & Psa. 29:2 & 96:9; “lodate la bellezza della santità”: II Chr. 20:21). Quando il salmista scrive: “Una cosa ho desiderato dal Signore… di contemplare la bellezza del Signore…” (Psa.27:4), ricerca l’interezza dell’essere di Dio – tutti i suoi attributi ad un tempo. Di conseguenza, la più grande benedizione che possa venir concessa ad un popolo è che Dio stesso sia la sua “corona di gloria” o il suo “diadema di bellezza” (Isa. 28:5), perché ciò significa che Dio abita nel suo popolo, sul suo popolo e tra il suo popolo, in tutta la sua pienezza e il suo essere.
Poiché Dio è spirito, la meravigliosa bellezza di Dio non può essere vista da occhi mortali. Ma Dio desidera che lo conosciamo e che lo conosciamo nella sua pienezza, compresa la sua bellezza. Perciò illustra questa bellezza, che non può esser vista, attraverso una bellezza fisica che si può osservare.

La bellezza biologica
Ad illustrazione della sua mirabile gloria, Dio ha profuso una bellezza straordinaria nell’intero creato – inclusa la componente biologica. Poiché questa bellezza è conferita ad un creato finito, risulta limitata e ciò nondimeno capace di togliere il fiato. Non c‘è soltanto bellezza in sovrabbondanza, questa bellezza possiede di per sé una serie affascinante di
qualità. Quanto segue è un tentativo di descrivere alcune delle incredibili caratteristiche della bellezza che Dio ha posto nella sua creazione biologica.
Una bellezza profonda Dio ha creato bellezza nell’universo ad ogni possibile scala di osservazione – infondendola nell’unità più piccola, nella struttura più grande e in ogni entità intermedia – compresi gli organismi viventi. Per contro, la bellezza delle cose prodotte
dagli uomini è poco profonda – tipicamente bella solo ad una data scala (1) . Un dipinto ad olio esaminato troppo da vicino si riduce a un insieme di colpi di pennello di nessun interesse; da una grande distanza, non se ne coglie la bellezza affatto.
Un sofisticato meccanismo esaminato troppo da presso diventa un insieme di squallidi ingranaggi. Le cose più belle fatte dagli uomini perdono la loro bellezza quando ci avviciniamo o ci allontaniamo troppo.
Per contro, la bellezza del creato si ritrova ad ogni scala. La bellezza di una montagna color cremisi avvicinandosi rivela uno stupendo panorama montano, rivestito di un soffice e verde mantello. Ancor più da vicino, la scena di una calda e avvolgente foresta. Più da presso ancora, si può restare colpiti dalle penne variopinte di un uccello. A una scala più piccola si ammira l’iridescenza di una singola piuma e a una più piccola ancora la simmetria regolare di microscopiche barbule agganciate l’una all’altra. Avvicinandosi ancora, si osserva la schiera ordinata di cellule specializzate e più oltre la tessitura
complicata dei componenti di una singola cellula. La profondità della bellezza non risulta nemmeno confinata nell’ambito della biologia. A scale molte volte inferiori alle dimensioni più piccoli organismi, ci si imbatte in disposizioni stupefacenti di molecole e atomi e particelle subatomiche. All’estremità opposta della gamma, quando il mondo biologico diventa troppo piccolo per essere visto, la bellezza si estende alle scene grandiose inquadrate dai satelliti e dai veicoli spaziali e addirittura oltre, fino alle stelle e alle galassie.
La bellezza della creazione divina è tanto maggiore delle più belle cose realizzate dall’uomo, in parte proprio perché è indipendente dalla scala di osservazione. Quanto profonda è, invero, la bellezza di Dio! Si può immaginare che ogni singolo colpo di pennello della prima creazione debba esser stato spettacolosamente bello, neppure uno fuori posto o inessenziale per la bellezza del tutto. Persino adesso, col creato caduto e deturpato, Dio è interessato ad estrarne più gloria per sé accrescendone la bellezza. Mira a render bella ogni cosa a suo tempo (Eccl. 3:11), così che tutte le cose lo glorifichino al massimo delle loro possibilità, compresa ogni sorta di imperfezione nella nostra esistenza – dal più piccolo e insignificante graffio alla più vistosa e irreparabile bruttezza. Ciascuno di noi è una componente essenziale della bellezza della trama della divina creazione.
Una bellezza onnipresente
La bellezza si ritrova in tutto il creato – non solo ad ogni scala, ma in ogni luogo, in ogni angolo dell’universo. Persino quella che Dio sceglie di mostrare attraverso la biologia è diffusa sulla terra nella sua interezza. Organismi dotati di straordinaria
bellezza si rinvengono nell’aria, sul suolo, nei mari.
Quasi ogni specchio d’acqua e ogni ambiente terrestre – non importa quanto inospitale – è ornato di organismi. Dalla cima delle più alte montagne ai più gelidi ghiacci polari, fino alla superficie torrida del più arido deserto, la bellezza biologica appare in tutti i continenti. Ovunque prosperano organismi, dalle fonti ribollenti ai calderoni di acido fumigante, entro le più profonde sorgenti oceaniche e, persino, tra i granuli di sabbia schiacciati da tremende pressioni chilometri al di sotto della superficie terrestre. La bellezza biologica è onnipresente sull’intero pianeta.
Quando qualcosa deturpa la sua opera, del resto, Dio mette in moto un processo che rimpiazza la sopraggiunta bruttezza con nuova bellezza. Seguendo un corso “naturale” di eventi, la guarigione ha luogo per gli ambienti devastati dall’inquinamento, dalla guerra o da una catastrofe. Dio ha inserito un meccanismo prodigioso all’interno del creato che
mantiene la sua bellezza ad un livello stabile e la ripristina quando va perduta, così come il nostro corpo ripara se stesso in seguito ad una ferita. Una fanghiglia inerte e maleodorante diventa allora una corrente limpida, che accoglie la vita. Un brullo paesaggio punteggiato da tronchi abbattuti si trasforma in una foresta brulicante di attività. Spettrali relitti
sottomarini producono scogliere multicolori. Terreni privati della vegetazione e segnati in profondità dall’erosione vengono riconquistati alla foresta pluviale. In taluni casi ci vogliono settimane o mesi, talvolta secoli o millenni. A volte occorre rimpiazzare quel che c’era con qualcosa di completamente diverso (2) . Non importa quanto sia corrotto ciò che è
caduto, Dio è capace di renderlo bello di nuovo.
Nel mondo degli esseri viventi questo risultato si ottiene, a livello di singoli organismi, per mezzo di processi di riparazione e guarigione. Su scala più ampia, si raggiunge invece nell’ambito di comunità costituite da molte specie diverse di organismi, attraverso un processo detto di successione ecologica: le specie che si trovano in una certa zona mutano nel tempo, perché gli organismi presenti ad un dato momento preparano il terreno per un’altra comunità di organismi che li seguirà. Ciascuna di queste comunità altera l’ambiente in modo tale da causare, di fatto, la propria uscita di scena. Nel corso degli anni si dipana così una serie di diverse comunità, ciascuna delle quali rimpiazza la precedente; questa culmina, infine, in una comunità climax, stabile, che può permanere più o meno indefinitamente nel luogo in questione.
Una successione ecologica prende di solito le mosse con l’arrivo di specie pioniere, appositamente progettate. Organismi fotosintetizzatori come cianobatteri, licheni e piante saranno normalmente i primi a giungere in un ambiente sterile, perché sono in grado di ricavare energia dal sole. Più tardi compariranno gli animali. Se l’ambiente è secco e privo di humus, i licheni saranno i primi in assoluto, in quanto capaci di estrarre acqua direttamente dall’atmosfera persino nel più arido dei deserti. I licheni erodono inoltre le rocce, per produrre terra per le piante che seguiranno. Le prime piante a comparire saranno quelle in grado di fertilizzare il suolo trasportando batteri in grado di fissare l’azoto.
Certe piante sono addirittura concepite per sopraggiungere a seguito di un incendio (ad es. alcuni tipi di pigne che si schiudono se arroventate dal fuoco). Un esempio di successione ecologica è rappresentato dalla serie di comunità che sta seguendo la ritirata dei ghiacciai in Alaska. Specie pioniere come licheni, muschi, piante annuali che fissano l’azoto
producono un suolo fertile. Altre serie di piante vi germogliano, finché si impone una comunità dominata da ontani, salici e pioppi. Questi vengono a loro volta sostituiti da abeti e pecci, rimpiazzati infine dalla comunità climax dei cosiddetti pecci di Sitka.
Dio ripristina queste forme viventi per la sua gloria, per assicurarsi che la sua bellezza sia sempre ben rappresentata nel creato. Se è così interessato alla bellezza di piante, animali e della stessa terra, quanto più lo sarà a restaurare la nostra e quella delle nostre esistenze!
1 L’idea dell’indipendenza della bellezza del creato dalla scala di osservazione, in contrapposizione alla bellezza visibile solo ad una specifica scala propria delle creazioni umane, mi è stata suggerita per la prima volta nel 1990 dal dottor David Mention.
2 Così come Dio crea nei fedeli uno spirito nuovo (ad es.. Eze. 11:19; 36:26) e come, in futuro, creerà nuovi cieli e una nuova terra (Isa. 65:17; Rev. 21:1).
Una bellezza intensa
La bellezza non solo si trova praticamente ovunque e ad ogni scala di osservazione, ma è anche specialmente intensa. La bellezza della creazione biologica ha qualcosa che toglie il respiro. Che si tratti dello scintillio bioluminescente di microrganismi sulle onde dell’oceano di notte, del turbinio di uno sciame di farfalle che migrano, del fiammeggiare acceso di un acero in autunno, della vibrazione policroma dei fiori di una prateria o di una qualsiasi altra scena tra milioni, la bellezza naturale ha il potere di farci arrestare sui nostri passi. Ci riempie di stupore e ci convince sempre più dellabellezza del creatore.
Questa bellezza ha ispirato poeti, pittori, scultori, compositori e artisti di ogni genere e presso ogni cultura. Nessuno è riuscito ad eguagliarla o a catturarla pienamente, sebbene abbiano provato in molti. Innumerevoli vite di artisti di genio
sono state spese a condividere questa bellezza con altri. Se tanto sublime è la bellezza del creato, quanto maggiore sarà quella del creatore!
Una bellezza poliedrica
Ci sono molti tipi diversi di bellezza biologica nel mondo. Differenti fonti di bellezza sono in grado di stimolare sensi diversi. Il tatto reagisce di fronte a un fresco tappeto erboso, a un mazzolino vellutato di mimose, alle lisce squame di un boa, alle scabra asperità di uno squalo, alla soffice pelliccia di un cincillà e a miriadi di altre trame. Dio ha concepito gli
organismi viventi per stimolare i nostri sensi dell’olfatto, del gusto, dell’udito e della vista in migliaia e decine di migliaia dimodi differenti.
La stessa scena può non soltanto essere apprezzata da sensi diversi, ma anche da diversi punti di vista. La ispezioniamo da sopra e da sotto, da nord e da sud, da est e da ovest. Possiamo persino esaminarla a diverse scale di osservazione, coi nostri occhi o con l’ausilio di lenti e microscopi. La medesima biologia produce una bellezza distinta in ogni situazione –da ogni prospettiva.
Quando Dio ha gratificato l’uomo della facoltà di percepire la bellezza, ad ogni persona è stata donata la capacità di coglierne un tipo unico nel suo genere – da cui il detto: “La bellezza è nell’occhio di chi guarda”. Dio ha quindi concepito la creazione biologica in modo tale da sollecitare ogni singola prospettiva individuale. Se una persona condivide la bellezza che gli appare, ad altri viene dato il privilegio di apprezzarne un aspetto che, altrimenti, avrebbero perso. Quando poi si combinano tutti i punti di vista, la natura appare un prodigioso arazzo di bellezze intessute tra loro. Come un diamante ben lavorato, la bellezza della biologia è poliedrica. In maniera analoga, Dio è bello in un modo unico da ogni punto divista e da tutti e ciascuno mira ad illustrare la propria bellezza.
Una bellezza sfavillante
Infine, la bellezza del creato non è uniforme. È piuttosto variegata e muta in continuazione. Allo stesso casello dell’autostrada non si presenta mai lo stesso paesaggio, poiché la natura cambia costantemente. Ogni panorama si trasforma, dal momento che differenti organismi viventi sono attivi in fasi diverse della giornata e in differenti stagioni dell’anno. Il movimento. del resto, caratterizza la maggior parte degli organismi – talvolta nella loro interezza, sempre e comunque nelle loro componenti.
La bellezza del creato luccica di vita, è sfavillante, per così dire e questo luminoso vibrare possiede una sua propria bellezza. È sempre sorprendente e sempre ristora. Dio è immutabile – godrà sempre perfettamente di ciascuno dei suoi
attributi. Sarà sempre santità, potenza, bellezza illimitata, amore infinito per noi. Ma in ogni istante di ogni giorno ci rendiamo conto dell’impatto del suo amore su di noi in modo fresco e nuovo. È come se il suo amore “facesse scintille”.
Ciascuno dei suoi attributi, la bellezza stessa di Dio è scintillante, vibrante di una bellezza sua propria.
L’origine della bellezza
I filosofi dell’antica Grecia erano affascinati dalla bellezza. Rimanevano estasiati di fronte al suo splendore, speculavano sulla sua vera natura, per estrapolazione giungevano a concepire la sua perfezione e si interrogavano sulla sua origine.
Millenni più tardi, l’origine della bellezza rappresenta ancora un rompicapo per i moderni evoluzionisti, perché la selezione naturale (che nell’ambito della teoria naturalistica dell’evoluzione viene ritenuta il meccanismo fondamentale
alla base del mutamento degli esseri viventi) dovrebbe privilegiare la capacità di sopravvivere o l’efficienza a scapito della bellezza. Se gli organismi impiegassero l’energia che adesso usano per “essere belli” al fine di sopravanzare quelli che li circondano, avrebbero maggiori possibilità di sopravvivere. Sarebbero avvantaggiati nella gara per la vita nota comeevoluzione.
Se le penne della sua coda fossero più corte, il pavone potrebbe volare meglio e sottrarsi più rapidamente ai predatori.
Charles Darwin (1809-1882) suggerì che il pavone possedesse penne vistose perché le femmine si accoppiano soltanto con maschi belli. Ma se fosse così, perché lo farebbero? Se scegliessero maschi più abili nel volo, i loro piccoli sopravviverebbero più facilmente (3) . Analogamente, se le farfalle fossero meno appariscenti un numero minore verrebbe
mangiato dagli uccelli.
Se la selezione naturale fosse davvero la fonte della varietà biologica, ci aspetteremmo poca o nessuna bellezza nel mondo. E per tutto il tempo in cui la selezione naturale ha operato (a partire dalla caduta dell’uomo), in realtà ha sistematicamente sottratto bellezza. Si immagini quanta in più dev’essercene stata al principio! Un Dio che la infonda nel
creato è la sola spiegazione ragionevole della bellezza profonda, intensa, onnipresente, poliedrica, sfavillante che si vede al mondo. La bellezza della creazione rende testimonianza al creatore e costituisce una prova decisiva a sfavore del
naturalismo e dell’evoluzione.
3 Gli evoluzionisti hanno escogitato un certo numero di spiegazioni (la più comune delle quali è che la bellezza sia indice di salute fisica, ragion per cui, quando le femmine del pavone privilegiano la bellezza, stanno implicitamente scegliendo una qualità assai più
desiderabile). Sebbene molte di queste ipotesi appaiano di primo acchito ragionevoli, nessuna di loro regge alla prova sperimentale (ad esempio, c’è in realtà poca correlazione tra la “bellezza” delle penne del pavone e la sua salute; le femmine, inoltre, non scelgono
necessariamente i maschi più belli o quelli più sani). La teoria evoluzionista, insomma, fatica tuttora a giustificare l’origine e la persistenza della bellezza biologica nel mondo.
La capacità dell’uomo di apprezzare la bellezza
Gli uomini apprezzano la bellezza. Anche se individui differenti ne percepiscono tipi diversi, ognuno apprezza una qualche sorta di bellezza e la ritrova nella creazione divina. Ogni essere umano rimane incantato di fronte alla bellezza della natura. La capacità di goderla e di restarne ammirati è un dono di Dio, come la bellezza stessa. Arrestarsi vinti dallo
stupore davanti alla bellezza del creato non è certo la migliore strategia di sopravvivenza in un mondo inselvatichito. La selezione naturale tenderebbe di per sé ad eliminare la percezione della bellezza, soprattutto si sbarazzerebbe della tendenza a restarne avvinti. Anche l’ammirazione per la bellezza presente in tutti gli uomini e la tendenza a subirne il
fascino attestano dunque la creazione divina.
Si consideri, tra l’altro, quanto sensibili siamo a queste sollecitazioni. Se la sopravvivenza fosse la nostra sola ragione di esistenza (che è quanto si predica nell’ambito dell’evoluzione naturalistica), non avremmo bisogno che i nostri sensi fossero tanto sviluppati. Gli esseri umani, ad esempio, potrebbero andare avanti benissimo senza vedere i colori.
Potremmo anche cavarcela riconoscendo un numero molto minore di sapori e odori. Ma Dio ci ha dotato di questa estrema sensibilità, in modo tale che potessimo appunto cogliere tutta la bellezza del mondo vivente. Desidera che riconosciamo la bellezza naturale, perché possiamo comprendere meglio quella del nostro Dio invisibile. Ci ha donato la capacità di vedere i colori – e di udire, gustare, odorare e sentire in maniera così intensa – come segno della sua benedizione. Sono tutti doni di quel Dio che vuole che ci facciamo un’idea della sua essenza invisibile a partire dalle cose create.
I nostri doveri riguardo alla bellezza
Le nostre responsabilità di fronte a Dio
In quanto sacerdoti della natura, abbiamo il dovere di conoscere Dio e adorarlo rendendo il creato un tempio e volgendolo alla sua adorazione. Ciò che apprendiamo sulla vita biologica ci può aiutare in questo compito. Lo studio della bellezza naturale ci permette di intuire qualcosa della natura di Dio stesso. Persino un contatto occasionale con la
superlativa bellezza del mondo vivente ci dovrebbe suggerire – come minimo – che il nostro è un Dio di meravigliosabellezza.
Uno sguardo ravvicinato alla bellezza della natura ci consente di intuire ancor di più. Dio, ad esempio, ha creato una progressione di livelli via via più perfetti di bellezza. Alcune cose ne appaiono totalmente prive, altre le ha adornate in
massimo grado, altre ancora ne possiedono quantità intermedie tra questi due estremi. C’è, in effetti, uno spettro completo che va dal non-bello allo straordinariamente bello. Una tale gradualità esiste, per esempio, nei cieli: “Altra è la gloria del sole, altra la gloria della luna e altra la gloria delle stelle; perché un astro è differente dall’altro in gloria” (I Cor.
15:40-41).
Persino tra gli uomini si registra tutta una gamma di gradi di bellezza. Alcuni non sono poi tanto attraenti (a dire il vero,
certuni potrebbero essere definiti decisamente brutti!). Altri sono invece sorprendentemente belli. La maggior parte, ovviamente, si colloca in qualche punto tra questi due estremi. D’altro canto, come Cristo stesso ha insegnato (Mat. 6:29),
un semplice giglio è stato fatto oggetto di una bellezza più perfetta di quella che si rinviene anche negli uomini più appariscenti e nelle più belle tra le loro creazioni. Gli organismi viventi, dunque, presentano nel loro complesso vari gradi di eccellenza a questo riguardo. Oltre a quelli che risultano indiscutibilmente sgradevoli, ve ne ne sono taluni che
appaiono brutti a chi giudica superficialmente (altri li troverebbero “interessanti”). Certi sono abbastanza piacevoli da vedere e altri ancora veramente magnifici. I milioni – miliardi – di organismi esistenti realizzano un impressionante campionario.
Si può percorrere idealmente lo spettro dal meno attraente al più bello e proseguire oltre, immaginando una bellezza ancora maggiore di quella che si osserva nell’intero creato. Si può cioè per estrapolazione postulare l’esistenza di una bellezza infinita – Dio stesso. Anche se la mente non è in grado di afferrarla pienamente, tramite questa progressione si
può avere un vago sentore della sconfinata bellezza di Dio, la fonte di ogni bellezza, colui che la sostiene e che rende belle tutte le cose a suo tempo. La sua è una bellezza senza limiti, immensamente più vasta di quella che vediamo tutt’attorno.
La meravigliosa gamma di gradi di bellezza che si rinviene nella natura – nei paesaggi, nelle farfalle, negli uccelli o nei fiori– dovrebbe esserci d’aiuto nell’intendere qualcosa della bellezza divina e muoverci a levare il nostro cuore in adorazione.
La scrittura insegna che Dio è incessantemente attivo, onnipresente, creativo e desideroso di entrare in relazione con noi.
La bellezza biologica rafforza questi concetti e permette di afferrarne meglio il senso. Lo sfavillio della bellezza naturale, ad esempio, è coerente con l’idea di un Dio energico, dinamico, vivo e sostanzia l’espressione “Dio vivente”. L’onnipresenza dello sfavillio suggerisce poi che Dio agisce su di noi, tra di noi e dentro di noi – anche attraverso ciò che talvolta consideriamo troppo prosaico o umile se rapportato alla sua grandezza.
La bellezza dà forma alla nozione della costante e continua attenzione di Dio per ogni aspetto della nostra esistenza. La sua profondità e onnipresenza rispecchia l’ubiquità di Dio. La sua presenza in ogni luogo e tempo è richiamata dalla bellezza che constatiamo ovunque, sempre, a tutte le scale di osservazione – anche in circostanze nelle quali non ce ne accorgeremmo altrimenti. La natura poliedrica della bellezza trasmette la certezza della inesauribile creatività di Dio.
Fornendo a ciascuno una bellezza adatta alla sua sensibilità, infine, Dio rimarca la sua volontà di interagire con noi come individui e di occuparsi dei nostri bisogni singolarmente.
Il fatto che abbiamo ricevuto in dono gli strumenti atti a farci apprezzare la bellezza del creato, quando in realtà non sarebbero stati “necessari” per la nostra sopravvivenza, è dunque coerente col desiderio di Dio di entrare in rapporto con noi. Ci rammenta quanto ci ami nella sua incommensurabile grandezza, al punto da abbassarsi perché possiamo
comprenderlo e conoscerlo. I meccanismi che ha messo in opera per ripristinare la bellezza naturale quando viene compromessa, ci ricordano come possa e voglia rimediare alla bruttezza delle nostre stesse vite e “far belle tutte le cose a suo tempo”.
Se permettiamo allo Spirito Santo di rivelarci questi aspetti di Dio attraverso la bellezza del creato, come possiamo non prorompere poi in adorazione? Nella misura in cui si riconosce in Dio l’origine di ogni bellezza, lo si glorifica. Man mano che si approfondisce lo studio della bellezza degli organismi viventi e di riflesso di quella divina, il fervore orante cresce
riempiendo il creato. Non si può, allora, trattenersi dal condividere questo prodigio con altri, sollecitandoli a glorificare Dio a loro volta. Così si onora, in definitiva, il proprio ruolo di sacerdoti della creazione.
Le nostra responsabilità di fronte al creato
Preservare la bellezza. Tra le nostre responsabilità come sovrani del creato rientra quella di servire Dio servendo e tutelando la sua divina creazione. Dopo aver infuso bellezza nella sua immensa opera, Dio ce l’ha consegnata perché “la proteggessimo e la custodissimo”. Abbiamo il compito di preservare la sua bellezza e di trasferirla intatta alle prossime
generazioni. Certe attività umane la compromettono in un senso ovvio e diretto (la deforestazione, l’estrazione a cielo aperto, le discariche, l’inquinamento).
Più in generale, però, lo sviluppo materiale (come la costruzione di nuove abitazioni, autostrade, fabbriche, uffici, scuole) finisce sovente per sostituire alla bellezza naturale del creato qualche cosa di considerevolmente meno bello. Non si deve trascurare il fatto che molti di questi cambiamenti sono necessari in quanto, essendo gli esseri umani creati a immagine di Dio, le loro esigenze godono di una priorità più alta, anche rispetto alla necessità di preservare la bellezza della creazione divina: spesso dobbiamo ridurre la sua bellezza, per venire incontro ai bisogni altrui.
Tuttavia, spesso è possibile convertire la bellezza esistente in una che rechi onore a Dio, suo creatore, almeno nella stessa misura. Nei luoghi in cui la bellezza è già andata in parte perduta bisognerebbe fare ogni sforzo per introdurne di nuova,
così da ripristinare la gloria che Dio ne riceve. Nei casi in cui si pianifica lo sviluppo di un’area, occorrerebbe prevedere progetti che generino almeno tanta bellezza quanta se ne dovrà distruggere nel corso del processo.
Accrescere la bellezza. Sebbene Dio abbia profuso una quantità smisurata di bellezza nella sua creazione, l’ha anche gratificata del potenziale perché ne manifesti in misura ancora maggiore. Ha inoltre provvisto gli uomini dell’abilità necessaria a svelare questa ulteriore bellezza – “creandone” di nuova, in un certo senso. Ci ha dato l’opportunità di
rendergli meglio gloria rivelando un ammontare sempre crescente della bellezza originariamente insita nella creazione divina.
Uno dei modi più semplici per aumentare la bellezza nel mondo consiste nell’ordinare gli organismi viventi realizzando combinazioni più armoniose. Il “giardino dell’Eden” è stato creato da Dio (Gen. 2:8) che, verosimilmente, ha selezionato un certo numero di organismi, li ha organizzati secondo uno schema conveniente e li ha collocati in una regione che aveva
riservato allo scopo. Quindi vi ha posto l’uomo “perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gen. 2:15).
È plausibile che proprio a partire da quel momento e seguendo l’esempio dal creatore gli uomini abbiano cominciato e poi proseguito per tutto il corso della loro storia a praticare l’attività che va sotto il nome di “selezione artificiale”(4) – la scelta di alcune forme viventi tra le altre volta ad ottenere combinazioni gradevoli, appunto. Dal momento che tutti gli esseri in quanto tali sono stati creati da Dio, a rigore la bellezza di queste disposizioni va ascritta a lui. Attraverso pratiche come il giardinaggio e l’arte di plasmare paesaggi si può quindi render gloria a Dio in maniera indiretta.
Un secondo metodo per accrescere la bellezza del creato è rappresentato dall’allevamento – ambito in cui gli uomini possono decidere quali organismi debbano essere fatti accoppiare o incrociare tra loro. La tecnica dell’incrocio si può usare per rendere una caratteristica desiderata più comune o per combinare caratteristiche separate in modo originale.
Cambiare la frequenza delle caratteristiche e realizzare nuove combinazioni può far emergere una bellezza prima non apparente.
Incrociare le razze porta a rivelare tratti non visibili nei genitori, mostrando la bellezza potenziale celata negli organismi (una sorta di “glorioso dono” posto in essi da Dio). Anche in questo caso si tratta di una pratica antica, che si potrebbe far
risalire ai tempi del giardino dell’Eden. Certamente data quantomeno a quelli di Giacobbe, giacché Dio lo benedisse allevando del bestiame per lui – e rivelandogli il modo di farlo (Gen. 31:8-10). L’arte dell’incrocio ha prodotto migliaia di varietà, ceppi e cultivar, tra cui centinaia di razze di cani, numerose varietà di fagiani, cavalli, mucche e poi rose, mele,
pesche e decine di migliaia di varietà di orchidee. La selezione di nuovi ceppi di piante e animali, più economici da coltivare e da allevare, più facili da mantenere in salute o da smerciare, migliori come alimenti o più attraenti, dà vita oggi nel mondo ad un settore industriale di dimensioni imponenti.
È tuttavia chiaro che gli allevatori non fanno altro che sviluppare progetti già presenti negli organismi di partenza, qualcosa che Dio vi ha posto, plausibilmente, all’atto della creazione. L’allevamento accresce così la bellezza visibile del creato, rendendo a Dio maggior gloria nella misura in cui riconosciamo che le nuove varianti non sono state prodotte dall’uomo, ma predisposte appunto dal creatore.
Si può, infine, incrementare la bellezza intervenendo in maniera più diretta. Intere discipline sono state istituite allo scopo.
L’arredamento, la cosmesi, l’arte culinaria, le belle arti – sono tutti esempi di professioni dedite ad accrescere la bellezza che ci circonda. Svolte in maniera consona, danno a chi le pratica un’ulteriore ’opportunità di glorificare Dio in modi insospettati.
4 Detta “artificiale” perché operata dall’uomo e non dalla “natura”.

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