ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 14 febbraio 2020

Non illudiamoci

Querida Amazzonia? Ecco dove si annida l’inganno….



Ringraziando le riflessioni fatte da Don Alfredo M. Morselli, siamo grati anche ad una riflessione del professore Josè Antonio Ureta – dall’Osservatorio  Sinodo Amazzonia dell’ Istituto Plinio Correa de Oliveira, insieme anche ad un articolo del professore Stefano Fontana
Fermo restando che al momento pare “salvata” la legge ecclesiastica sul celibato sacerdotale, si profila però un altro pericolo che in pochi hanno visto nella Esortazione…. Dalla Dottrina Sociale della Chiesa… arriviamo alla dottrina social-marxista-filo panteista e New-Age della new-chiesa???


Qual è il suo giudizio su Querida Amazonia?
E la prosecuzione del documento finale del Sinodo (Amazzonia: nuovi cammini per la chiesa e per un’ecologia integrale): esso non è contraddetto e neppure rettificato: Il Papa ha scritto: “Non svilupperò qui tutte le questioni abbondantemente esposte nel Documento conclusivo. Non intendo né sostituirlo né ripeterlo… nello stesso tempo voglio presentare ufficialmente quel Documento”. Cioè il Papa intende andare avanti oltre il documento finale, ma non contro o diversamente da esso.
La ha sorpreso il fatto che il Papa non abbia trattato le scottanti problematiche di viri probati e diaconesse?
Erano trapelate delle voci circa questo silenzio; ma attenzione: il Papa non ha detto di no: c’è come un taglio tra i paragrafi 89 e 90: essi ripetono quanto il Papa aveva detto nel viaggio di ritorno da Panama: “La Chiesa fa l’Eucaristia e l’Eucaristia la fa la Chiesa” Ma dove non c’è Eucaristia, nelle comunità – pensi lei, Carolina, alle Isole del Pacifico… si potrebbe ordinare un anziano sposato”. In Querida Amazonia ci sono analoghe premesse, ma manca la conclusione. Tuttavia il sacerdozio uxorato purtroppo non è precluso, come invece è precluso – per altro con ottime motivazioni – il sacerdozio alle donne.
A che cosa si deve?
I Rivoluzionari hanno pensato che è più utile alla loro causa rallentare la velocità del processo. La rivoluzione ha come due marce: una veloce, destinata al fallimento immediato: e una lenta, che procede passo passo con risultati migliori: ma la marcia veloce (es.: quelli che vorrebbero il sacerdozio uxorato e alle donne subito) non è inutile: essa attira lentamente verso la realizzazione dei loro vaneggiamenti la moltitudine innumerevole dei “prudenti”, dei “moderati” e dei mediocri. È per questi moderati, pastori cani muti, che i teologi condannati da Giovanni Paolo II oggi, dopo Amoris laetitia, possono tiranneggiare.
È possibile che sia stato l’ intervento di Ratzinger e Sarah e del loro libro?
Sicuramente l’episodio ha fatto riflettere la setta modernista: un po’ come l’avviso di un autovelox fa rallentare momentaneamente la marcia dei guidatori: ma, come dicevo, la marcia rivoluzionaria, nella mente dei modernisti, procede.
È solo un rallentamento del modernismo, oppure anche un segno di Dio, un miracolo?
Senz’altro è un fatto provvidenziale, perché questa pausa è per i buoni – a cui è stato per ora risparmiato il supplizio della fine del celibato sacerdotale – occasione per impegnarsi ancora di più nella buona battaglia e nel processo di santificazione personale. La Madonna usa i santi, come suo mistico calcagno, per schiacciare la testa al serpente, nel corso della storia della salvezza: dobbiamo mettere la Madonna nella condizione di poterci usare.
Qualcuno comunque parla di testo ambiguo: condivide?
No, è tutto fuorché ambiguo: la linea del Pontefice è tracciata e immutata. Non illudiamoci
In caso contrario ci sarebbe stato il rischio di uno scisma?
Come le ho già detto tante volte lo scisma c’è già, seppure non formalizzato: all’interno della Chiesa ci sono due famiglie spirituali che non hanno la stessa fede: sul matrimonio, sulla morale, sul dogma, sulla Confessione, sull’interpretazione della Sacra Scrittura etc. etc. Lo scisma formalizzato è evitato dai modernisti più spinti che vorrebbero “tutto e subito”, ma hanno bisogno di Bergoglio come bandiera delle loro eresie; e non lo vogliono neppure i buoni Vescovi che lottano con il Papa come Giacobbe con l’Angelo: “Non ti lascerò finché non mi avrai benedetto”, diceva Giacobbe; “Non ti lascerò anche se non rispondi ai dubia e non ascolti le correzioni filiali”, dicono oggi i buoni. E così sostengono, rafforzati dal bagno di sangue dei martiri del secolo scorso e di questo secolo, l’indefettibilità della Chiesa.
Pensa che adesso i progressisti attaccheranno il papa sentendosi traditi?
Sì, ma in modo molto subdolo: non vogliono “regalare il Papa alla destra” e non vogliono perdere colui che ostentano come la bandiera delle loro follie. Ci sarà qualche catto-tupamaro che griderà allo scandalo: ma i meno sciocchi si rassegneranno trattando il Papa da un povero vecchietto fermo al Concilio Vaticano II (“di più subito non possiamo pretendere”, ha sostanzialmente detto un tristemente noto liturgista), oppure in codice: il Card. Marx ha dichiarato di non essere disponibile a ricandidarsi come presidente della Conferenza episcopale tedesca: che non sia un avviso al Papa “Attento a non tagliare il ramo sul quale stai seduto”?

Qui i due articoli di Ureta e Fontana in video-riflessione:

Francesco ratifica Leonardo Boff e butta Fritz Löbinger nel Tevere

Pubblichiamo di seguito un’analisi dell’Esortazione Apostolica Querida Amazonia apparsa ieri sul blog del vaticanista Edward Pentin a firma di José Antonio Ureta, collaboratore dell’Istituto Plinio Corrêa de Oliveira.
_07 Querida amazzonia 2L’Esortazione Apostolica appena pubblicata conferma che nel pontificato di papa Francesco la politica ha la priorità sulla religione. Ha accelerato sull’”ecologia integrale” ma ha frenato in modo netto sull’agenda religiosa del Sinodo.
I cardinali Burke, Müller e Sarah (e il loro coautore Benedetto XVI), così come quei pochi prelati che hanno difeso con fervore il celibato sacerdotale, hanno motivo di essere soddisfatti. E possono guardare dall’alto i promotori del sacerdozio low cost, in particolare i vescovi Fritz Löbinger, Erwin Kräutler e i loro compagni di strada sul “cammino sinodale” tedesco. Schluss! Nessuna apertura né a viri probati né a “diaconesse”.
Papa Francesco riconosce che è necessario fare sforzi perché le comunità isolate in Amazzonia non vengano private dall’alimento dell’Eucaristia e dei sacramenti della Riconciliazione e dell’Unzione dei Malati (n° 86 e 89). Ammette pure che la vita e il ministero dei sacerdoti non sono monolitici (n° 87). Afferma tuttavia che la soluzione sta nel sacramento dell’Ordine Sacro, che configura il sacerdote a Cristo (n° 87), che è lo Sposo della comunità che celebra l’Eucaristia e che è rappresentata dal celebrante (n° 101). In questo modo, egli convalida i due argomenti principali di coloro che si oppongono al sacerdozio uxorato.
E propone come soluzione che si preghi per le vocazioni sacerdotali e perché vengano indirizzate verso l’Amazzonia le vocazioni missionarie (n°90). Di passaggio, si lamenta che sono più i missionari dei paesi amazzonici che si recano ad abitare negli Stati Uniti o in Europa di quelli che vanno alle missioni nei propri Paesi! (n° 132).
Come era stato annunciato negli ultimi giorni, non c’è neppure una menzione indiretta all’eventualità di ordinare uomini sposati che siano leader delle proprie comunità. Anzi, Francesco insiste che non si tratta semplicemente di facilitare una maggiore presenza di ministri ordinati che possano celebrare l’Eucaristia, ma di promuovere l’incontro con la Parola di Dio e la crescita nella santità attraverso i vari tipi di servizi pastorali svolti dai laici (n° 93), come aveva suggerito molto saggiamente mons. Athanasius Schneider ispirandosi alla sua propria esperienza della mancanza di sacerdoti nell’ Unione Sovietica.
Per lo stesso motivo della configurazione del sacerdote a Cristo, Sposo della comunità, e dell’ampio e generoso lavoro missionario già svolto dalle donne – nelle aree del battesimo, della catechesi e della preghiera – (n° 99), Papa Francesco chiude la discussione sull’ordinazione delle donne, asserendo che sarebbe una forma di riduzionismo “clericalizzarle”, il che sarebbe come insinuare che esse solo otterrebbero uno status superiore nella Chiesa se fossero ammesse agli Ordini Sacri (N° 100). Invece, le donne danno il loro contributo alla Chiesa alla loro maniera, facendo presente la tenera robustezza di Maria, la Madre (n° 100).
Un altro che può dirsi soddisfatto, almeno in parte, è il cardinale Walter Brandmüller. Egli denunciò l’Instrumentum Laboris del Sinodo amazzonico affermando che era un invito alla apostasia, in quanto intendeva l’“inculturazione” come una rinuncia alla predica del Vangelo e l’accettazione di religioni pagane come vie alternative alla salvezza. Il suo clamore ha raggiunto Santa Marta.
Querida Amazonia si dissocia dal concetto di “inculturazione” promosso dalla Teologia India – che ha come principali corifei i presbiteri Paulo Suess ed Eleazar López – per assumere una versione light della costituzione conciliare Gaudium et Spes. Questa fa consistere l’inculturazione in un mero adattamento del Vangelo alla comprensione di tutti, esprimendo il messaggio di Cristo in termini adeguati ad ogni cultura (n° 84).
Si tratta dunque di un’inculturazione che sebbene non rigetta nulla di buono di quanto esiste nella cultura amazzonica, fa di essa un oggetto di redenzione (n° 67), e la porta a pienezza sotto la luce del Vangelo (n° 66) volendola arricchita dallo Spirito Santo mediante il potere del Vangelo (n° 68).
Questo obbliga la Chiesa ad adottare, in relazione alle culture, un atteggiamento fiducioso ma anche vigilante e critico (n° 67). Tuttavia, richiede innanzitutto di non avere vergogna di Gesù Cristo (n° 62), né di limitarsi a dare ai poveri soltanto un messaggio sociale al posto di un grande messaggio di salvezza (n° 63), avendo in vista che quei popoli hanno il diritto di ascoltare il Vangelo. Senza l’evangelizzazione, la Chiesa si trasforma in una volgare ONG che abbandonerebbe il comandamento di predicare a tutte le nazioni (n° 64). Santo Toribio d Mogrovejo e San Giuseppe di Anchieta – e non quei missionari della Consolata e altri che si vantano di non avere battezzato nessuno in 60 anni – vengono presentati come i modelli dei grandi evangelizzatori dell’America Latina (n° 65).
In contrasto con quanto detto sopra, e in un malriuscito tentativo di giustificare gli scandalosi culti idolatrici alla Pachamama nei giardini vaticani e nella Basilica di San Pietro, Papa Francesco dichiara che, nel contesto di una spiritualità inculturata, è possibile adoperare in certi modi alcuni simboli indigeni, taluni miti carichi di un significato spirituale o di festività religiose rivestite di valore sacro, senza necessariamente incorrere in idolatria (n° 79).
Oltre a questa infruttuosa difesa del culto alla Pachamama, il cardinale Brandmüller avrebbe un altro motivo per rimanere dispiaciuto. Papa Francesco – citando abbondantemente la sua enciclica Laudato Si’ – ribadisce la sua cosmovisione “teilhardiana” e New Age di un universo in cui “tutto è collegato” (n° 41) e tesse le lodi al misticismo indigeno che porta gli aborigeni non solo a contemplare la natura, ma a sentirvisi così intimamente legati da ritenerla una madre (n° 55). Del resto, la Madre Terra viene ben due volte citata nell’Esortazione (n° 42).
Un riferimento passeggero a Dio Padre come creatore di tutti gli esseri viventi è insufficiente per dissipare il sapore “panteista” di quei brani, visto che sono preceduti dalla citazione di un poema sulla “comunione con la foresta” de Sui Yun (a proposito, una poetessa peruviana nota per il carattere disinvolto ed erotico delle sue opere: “la mia poesia è genitale”, afferma) (n° 56).
Tuttavia, di gran lunga l’aspetto più claudicante del documento è la sua piena adesione ai postulati e all’agenda della Teologia della Liberazione, nella sua versione ecologica riciclata da Leonardo Boff e fatta propria dai documenti sinodali.
In una palese manifestazione di “clericalismo” – visto che il magistero non ha nessuna autorità in materia scientifica o economica – e, soprattutto, in opposizione all’anelito di sviluppo dell’immensa maggioranza della popolazione che abita l’Amazzonia, l’Esortazione post-sinodale assume, senza il necessario discernimento, la diagnosi catastrofista e bugiarda delle ONG ambientaliste e dei partititi di sinistra sulla supposta devastazione dell’Amazzonia: la foresta sarebbe stata rasa al suolo (n° 13); la costruzione di centrali idroelettriche e di vie marittime starebbe rovinando i fiumi (n° 11); la regione sarebbe davanti a un disastro ecologico (n° 8); le popolazioni sarebbero decimate, nel silenzio, dai nuovi colonizzatori (nota 13) o costrette ad emigrare nelle città dove troverebbero le peggiori forme di schiavitù (n° 10).
Secondo il Papa, è necessario sentire indignazione (n° 15), un salutare senso de indignazione (n° 17). In tale contesto non è senza significato che vengano citati, fra i poeti-profeti, il comunista cileno Pablo Neruda e il brasiliano Vinicius de Moraes, autore di un famoso poema intitolato “Signori baroni della terra”, in cui invita alla lotta armata1.
Peggio ancora, le soluzioni alternative che Papa Francesco propone corrispondono ai sogni collettivisti più avanguardisti degli antropologi neo-marxisti che vedono nella vita tribale delle foreste il modello del mondo futuro.
Secondo il documento, la vera qualità della vita si esprime nel “buon vivere” indigeno (n° 8, n° 26 e n° 71), che realizza quell’utopia di armonia personale, familiare, comunale e cosmica e che trova la sua espressione nella concezione comunitaria dell’esistenza e in uno stile di vita austero e semplice (n° 71): “Tutto è condiviso, gli spazi privati – tipici della modernità – sono minimi (…). Non c’è posto per l’idea di un individuo distaccato dalla comunità o dal suo territorio» (n°20)
In ciò gli indigeni avrebbero molto da insegnarci (n° 71) e i cittadini dovrebbero lasciarsi rieducare da loro, “ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro» (n° 72).
Dinnanzi a queste fantasie eco-tribaliste e collettiviste di Papa Francesco si comprende che egli sia il leader a cui si volgono le correnti di estrema sinistra in tutto il mondo!
Insomma, questa insolita Esortazione post-sinodale – che evita di citare il Documento Finale del Sinodo dei vescovi che l’ha motivata – rappresenta, allo stesso tempo, una accelerazione socioeconomica e un freno ecclesiologico che dispiacerà a greci e troiani.
Ma senz’altro i più dispiaciuti saranno i prelati ed esperti dell’area germanica che hanno investito lunghe ore di lavoro intellettuale e centinaia di milioni di euro in una assemblea sinodale che è finita per far nascere un uccello storpio, non in grado di spiccare il volo giacché amputato in una delle sue ali.
Sarà compito degli storici risolvere l’enigma dei motivi che hanno portato Papa Francesco a fermare la tanto propagandata apertura ai sacerdoti sposati. “Per evitare uno scisma o, peggio ancora, una destabilizzazione [del pontificato] che sarebbe stata letale”, come suggerisce Franca Giansoldati su Il Messagero? O fare ora un passo indietro nella speranza di farne in breve due avanti? (Il riferimento, nella nota 120, alla proposta del Sinodo di sviluppare un “rito amazzonico” obbliga a rimanere vigilanti. In specie, quando l’autore del documento è un noto furbo…).
Chi vivrà, vedrà.
Ma per quanti di noi si sono impegnati lungo un anno al fine di bloccare l’agenda rivoluzionaria dei mentori del Sinodo sulla Regione Panamazzonica (fra i quali il sito panamazonsynodwatch.org, qualificato da un analista nordamericano come l’“hub” della resistenza) ci sono alcuni motivi di soddisfazione.
Anche se Francesco ha ratificato Leonardo Boff, almeno ha buttato nel Tevere gli orientamenti dei diversi Löbinger, Hummes, Kräutler, Suess e compagnia bella…
Note 
1. Signori baroni della terra / Preparate i vostri sudari / Perché sfruttate la terra / E la terra è di colui che la lavora (…) E’ giunto il tempo della guerra / Non ci sarà santo per proteggervi (…)- Granata contro granata! /- Mitra contro mitra / La nostra guerra è sacra /La nostra guerra non mancherà!


Allusioni, ambiguità e poesia: dimmi come parli e ti dirò che Magistero è

Per dare il proprio assenso in materia di fede e di morale il credente deve capire bene ciò a cui sta dando l’assenso per poterlo fare consapevolmente. Il resto è letteratura. Dopo Amoris laetitia, anche l’Esortazione apostolica di papa Francesco sull’Amazzonia utilizza un tipo di linguaggio che enfatizza l’uso di immagini, inserzioni di poesie, concetti ambientalisti di facile presa, espressioni caricate di profetismo sociale, drastici giudizi storici. Si ritiene inutile insegnare con precisione delle verità, ritenendo che il magistero debba suscitare riflessioni, confronti e aprire cammini nuovi.
Il linguaggio del magistero ecclesiastico è un aspetto importante dello stesso magistero ecclesiastico. Lo stile espositivo dei documenti magisteriali, infatti, deve essere adeguato sia al contenuto che viene insegnato sia all’atto autoritativo di chi lo insegna. Parole e frasi ambigue, sfumate e diversamente interpretabili, allusive e non dichiarative, poco chiare nella loro struttura con possibilità di fraintendimenti da parte di chi vuole apprenderne l’insegnamento non sembrano adatte. I documenti che prevedono un assenso doveroso da parte del fedele devono essere chiaramente formulati, sia nel contenuto che nella forma,  dato che il fedele non può sentirsi vincolato ad assentire al magistero se posto davanti a proposizioni con belle immagini sì ma dal contenuto teologico approssimativo espresso con un linguaggio incerto. Per dare il proprio assenso in materia di fede e di morale il credente deve capire bene ciò a cui sta dando l’assenso per poterlo dare consapevolmente. Il resto è letteratura.
Dal Vaticano II in poi, questo del linguaggio è diventato un problema centrale. Da quando l’intento pastorale è emerso rispetto a quello dottrinale, senza tuttavia eliminarlo ma condizionandolo, l’espressione linguistica degli insegnamenti si è fatta più imprecisa. Per mettere a fuoco correttamente alcune frasi della Gudium et spes – ad esempio – bisogna fare riferimento ad altri passi della stessa Costituzione pastorale, poi ad altri punti di altri documenti del Concilio, fino ad arrivare al Catechismo. Negli insegnamenti di Papa Francesco questo aspetto ha subito come un’impennata. L’Esortazione apostolica Amoris laetitia ne è stata forse l’esempio principale: il suo linguaggio è ricco di immagini ad effetto, utilizza strumenti retorici di vario genere, pone domande a cui non risponde, adopera spesso iperboli ed estremizzazioni, allude a criteri e soluzioni che non esplicita, le parole vengono adoperate con libertà e secondo codici diversi, come quando, per esempio, vengono chiamate “situazioni familiari” le coppie di fatto e le unioni tra persone dello stesso sesso. In questo modo il fedele non comprende con chiarezza quale sia l’esatto insegnamento al punto che, come è ormai noto, Amoris laetitia voleva dire quello che però espressamente non ha detto. Il magistero non dovrebbe insinuare ma affermare.
Ormai sappiamo che il problema nasce dal desiderio di far emergere le indicazioni pastorali dall’interno delle situazioni esistenziali. Un linguaggio preciso – così si pensa – sarebbe in grado di definire delle verità astratte di fede e di morale, ma non sarebbe capace di far emergere le concrete situazioni di vita in cui si dovrebbe viverle. Per lo stesso motivo si ritiene inutile insegnare con precisione delle verità, ritenendo che il magistero debba piuttosto suscitare riflessioni, confronti e aprire cammini nuovi. Una volta comprese queste motivazioni, bisogna però chiedersi se questo sia il vero ruolo del magistero ecclesiastico e se un linguaggio finalizzato a questi scopi non rischi di confondere.
Anche l’Esortazione apostolica di papa Francesco sull’Amazzonia utilizza questo tipo di linguaggio e lo enfatizza con l’uso di immagini, inserzioni di poesie, concetti ambientalisti di facile presa, espressioni caricate di profetismo sociale, drastici giudizi storici che colpiscono ma che sembrano improvvisati,  immagini dall’impatto lirico: “Dalle vette più alte della cordigliera, dove le nevi sono eterne, l’acqua scorre e traccia un solco vibrante nella pelle antica della pietra: il Rio delle Amazzoni è appena nato. Nasce ad ogni istante. Discende lenta, sinuosa luce, per crescere nella terra…”.
Nell’Esortazione sono illustrati quattro “sogni”, ma che significato magisteriale deve essere dato a questa parola? Il quarto sogno concernente “l’irresistibile bellezza naturale che l’adorna [l’Amazzonia], la vita traboccante che riempie i suoi fiumi e le sue foreste”: cosa vuol dire? Che i “popoli originari dell’Amazzonia possiedono un forte senso comunitario” è una espressione che fa presa ma è anche molto imprecisa. Cosa comporta “coniugare la saggezza ancestrale con le conoscenze tecniche contemporanee”? oppure riconoscere l’Amazzonia “come un mistero sacro”?
Come mai nel linguaggio di una Esortazione apostolica trova spazio l’espressione “Madre Terra”?; perché si citano poeti come Neruda e de Moraes?; per esprimere la contemplazione della natura è veramente utile adoperare espressioni come questa?: “se entriamo in comunione con la foresta, facilmente la nostra voce si unirà alla sua e si trasformerà in preghiera: «Coricati all’ombra di un vecchio eucalipto, la nostra preghiera di luce s’immerge nel canto di fronde eterne»”.
È anche strano che, mentre l’Esortazione non fa proprio il documento finale del Sinodo, si dica nei primi paragrafi che l’intero cammino sinodale deve avere una ricezione armoniosa, creativa e fruttuosa;  che il documento finale deve essere letto integralmente; che bisogna impegnarsi nella sua applicazione e che deve ispirare tutte le persone di buona volontà. Per rimanere sempre nel campo espressivo, è anche strano che la nota 120 – ancora una nota, come in Amoris laetitia – si ricordi che “nel Sinodo è emersa la proposta di elaborare un rito amazzonico”, il che potrebbe essere collegato ai “viri probati”.
Problemi di linguaggio certamente. Ma i problemi di linguaggio non sono mai solo di linguaggio.

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