ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 12 marzo 2020

Coronaantivirus

L'apparizione della Madonna alle Tre Fontane e l'appello alla conversione


Enzina Pasquali

Come la corona (di Maria) può aiutarci a sconfiggere il coronavirus



Cari amici di Duc in altum, il professor Mark Miravalle, mariologo americano della Franciscan University di Steubenville, mi ha mandato un contributo che volentieri vi propongo.
A.M.V.
*** 
La grande pestilenza del 1348, chiamata anche peste nera, portò alla morte almeno il trenta per cento della popolazione dell’Europa medievale: quasi un abitante su tre del vecchio continente perse la vita per quella che gli storici ancora oggi ricordano come una delle epidemie più devastanti mai avvenute.
Nel 1918 la grande influenza, nota più comunemente (e impropriamente) come spagnola, uccise circa cinquanta milioni di persone, oltre il doppio del numero totale di soldati che morirono durante tutta la Prima guerra mondiale, che in quel periodo si avviava alla conclusione. Il suo rapporto mortalità-infezione fu stimato tra i dieci e i venti decessi ogni cento persone.
Il coronavirus si sta attualmente manifestando con un tasso di mortalità del 3,4 %, con quasi 120 mila infetti e oltre quattromila decessi segnalati fino a oggi. Questo rapporto di mortalità, unito all’estrema contagiosità e all’assenza di qualsiasi precedente immunità, sta portando i governi del mondo a reagire al nuovo virus con molta più urgenza rispetto alle più comuni influenze, che in genere hanno un tasso di mortalità dello 0,1% rispetto al tasso di infezione (un decesso ogni mille infetti). Ciò rende il coronavirus più di trenta volte più fatale di un’influenza ordinaria.
La chiusura delle città e di vaste aree della Cina, di scuole, uffici pubblici e aziende in sempre più numerosi Paesi, la limitazione degli spostamenti, la soppressione dei voli, le cancellazioni dei principali eventi pubblici, fino alla dolorosa sospensione delle Messe in Italia, unite alle dichiarazioni sullo stato di emergenza, di fatto sono tutti segni distintivi di una pandemia in atto. Gli italiani (come i coreani, gli iraniani, ma anche francesi, spagnoli e tanti altri) sono solo all’inizio di un grande sforzo sanitario che si preannuncia senza precedenti; gli esperti sanitari hanno ammesso che il virus non ha un controllo tracciabile, mentre il Centro americano per il controllo delle malattie sta preparando gli americani ad affrontare un’epidemia di coronavirus oramai certa.
Il virus detto Corona, che prende il nome dalla serie di punte simili a corone sulla sua superficie, ha il potenziale di creare recessioni economiche in tutto il mondo, interruzioni della mobilità globale delle persone, un affievolimento delle forniture internazionali e, soprattutto, una enorme sofferenza e tante perdite di vite umane. Anche se nessuno può sapere con certezza il massimo impatto medico del coronavirus, i suoi effetti a livello mondiale, basati sulla realtà o sulla percezione, sono già davanti a noi.
Il coronavirus sta inoltre causando un’escalation mondiale di ansie e di paure: paure personali, paure familiari, paure comuni, paure globali.
Ciò ci pone dinnanzi a una domanda fondamentale: come possiamo mantenere la nostra pace interiore di fronte a una potenziale pandemia?
Mentre il destino del coronavirus è incerto, la risposta cristiana non può non essere certa e concreta.
Insieme a tutti gli sforzi attivi necessari e appropriati per prevenirne la diffusione e sfuggire al suo contagio, il cristiano deve vedere questo scoppio virale nel contesto della fede e della divina provvidenza. Una possibile ragione per cui Dio permette epidemie globali come queste è di riportarci alle nostre vere priorità, ossia di ripotarci verso il Dio che ci ama e verso le famiglie e gli affetti più cari che lui stesso ci ha donato.
Ecco, pertanto, tre suggerimenti che vogliono essere altrettanti pilastri fondamentali della vita cristiana, per aiutarci a mantenere la nostra pace spirituale e interiore con l’avvicinarsi della sfida del coronavirus.
  1. Prega di più. Ironia della sorte, a volte rispondiamo ai momenti difficili diventando ancora più occupati, ancora più attivi, in parte a causa della nostra maggiore ansia. I cristiani dovrebbero piuttosto tornare a una maggiore generosità nella preghiera, che rimane il rimedio cristiano perenne davanti alle maggiori paure.
Anche in questi giorni difficili in cui non ci è possibile accostarci al nostro Gesù eucaristico, né attraverso la Messa né tramite l’adorazione eucaristica, possiamo vivere spiritualmente in grazia questo momento, invocando Gesù presente nei nostri cuori. La Trinità dimora nelle anime dei giusti e possiamo adottare le due pratiche spirituali più classiche e potenti: adorare Gesù presente spiritualmente nei nostri cuori e fare la comunione spirituale. Facciamo la comunione spirituale quando esprimiamo la nostra fede nella presenza reale di Gesù nell’eucaristia e poi gli chiediamo di entrare spiritualmente nei nostri cuori. I santi hanno paragonato la grande efficacia delle comunioni spirituali alla ricezione di Gesù da un “calice d’argento” quando non possiamo ricevere fisicamente Gesù eucaristia dal “calice d’oro”.
Possiamo anche leggere quotidianamente le letture delle Sacre Scritture e il Vangelo dalla Messa del giorno, se possibile davanti ad una statua di Nostro Signore o della Madonna, unendo i nostri cuori al sacrificio delle messe celebrate dai sacerdoti in tutto il mondo.
  1. Ricorda il valore soprannaturale della sofferenza. La sofferenza, sebbene non sia mai vista dalla Chiesa come un bene in sé, può tuttavia portare a una qualità trasformativa sotto il profilo soprannaturale, che non può essere sostituita da nessun’altra esperienza umana. San Giovanni Paolo II ne parlava così: “È la sofferenza, più di ogni altra cosa, a fare strada alla Grazia che trasforma le anime umane” (Salvifici doloris, 27).
Bisogna anche ricordare ai noi cristiani che siamo stati salvati attraverso la sofferenza e anche noi dobbiamo salvare attraverso la sofferenza. La lettera ai Colossesi (1:24) enuncia la sublime chiamata di san Paolo a “compensare ciò che manca alle sofferenze di Cristo per amore del suo corpo, che è la Chiesa”. Attraverso l’unione delle nostre attuali sofferenze, comprese quelle legate al coronavirus, alle sofferenze di Gesù sulla croce, possiamo far in modo che il rilascio di grazie soprannaturali per merito di Nostro Signore Gesù sul Calvario possa oggi contribuire alla salvezza dei nostri fratelli e delle nostre sorelle con tutte le difficoltà e le implicazioni che in questo periodo stanno vivendo.
Il grande Giovanni Paolo II spiega inoltre: “Ognuno è anche chiamato a partecipare a quella sofferenza, mediante la quale si è compiuta la redenzione. È chiamato a partecipare a quella sofferenza, per mezzo della quale ogni umana sofferenza è stata anche redenta. Operando la redenzione mediante la sofferenza, Cristo ha elevato insieme la sofferenza umana a livello di redenzione. Quindi anche ogni uomo, nella sua sofferenza, può diventare partecipe della sofferenza redentiva di Cristo” (Salvifici doloris, 19). Ciò comprende la chiamata cristiana universale a essere, secondo le parole di papa Giovanni Paolo II, “corredentori in Cristo”.
Il tradizionale ruolo di Maria, Madre di Gesù, come corredentrice, fornisce l’esempio più eloquente del valore soprannaturale di unire le nostre sofferenze umane a quelle del Redentore per la salvezza degli altri. Ancora una volta, san Giovanni Paolo II spiega: “Fu sul Calvario che la sofferenza di Maria Santissima, accanto a quella di Gesù, raggiunse un vertice già difficilmente immaginabile nella sua altezza da un punto di vista umano, ma certo misterioso e soprannaturalmente fecondo ai fini dell’universale salvezza” (Salvifici doloris, 25).
Maria è la corredentrice. Consentendo di dare alla luce il nostro divino Redentore (Lc 1:38) e soffrendo con lui ai piedi della Croce (Gv 19:26), Maria, in quanto essere immacolato, partecipò in modo univoco con e sotto Gesù all’opera storica della redenzione, come hanno insegnato papi, santi, martiri e mistici. Più la Chiesa riconosce il suo ruolo unico nella redenzione, meglio incarneremo i nostri ruoli cristiani come redentori con Gesù nel processo in corso di salvezza umana e nel trasformare le nuove sofferenze causate attraverso il coronavirus in una vittoria soprannaturale.
  1. Rivolgiti alla Madre di tutti i popoli. I primi cristiani conoscevano bene la potenza dell’invocazione a Maria, la Madre di Dio e la Madre spirituale di tutti i popoli durante i periodi di disastro. Con l’antica preghiera mariana, Sub tuum praesidium (“Sotto la tua protezione”, risalente al 250 d.C.) si invocava la Madre di Dio, in modo particolare durante i periodi di persecuzione della Chiesa primitiva, per ricevere la sua ineguagliabile intercessione materna nelle necessità più gravi. La storia, di volta in volta, testimonia che invocare la Madre di tutti i popoli in momenti di potenziale disastro porta sia a una pace spirituale personale sia alla pace e al sollievo per tutti.
Insieme alla grande e potente preghiera del rosario, raccomanderei anche la preghiera quotidiana alla Signora di tutti i popoli. Questa potente preghiera è stata rivelata direttamente dalla Madonna durante le sue apparizioni di Amsterdam (1945-1959), approvate dalla Chiesa, per rispondere ai pericoli globali di “degenerazione, catastrofi e guerra”. E sicuramente l’attuale epidemia di coronavirus si sta manifestando come una “preannunciata” e globale catastrofe a tutti gli effetti.
La preghiera alla Signora di tutti i popoli, con i suoi oltre cinquanta imprimatur da parte di cardinali e vescovi in tutto il mondo, è stata rivelata direttamente dalla Madonna, con la promessa che questa preghiera “ha un grande potere davanti al trono di Dio”:
Signore Gesù Cristo Figlio del Padre,
Manda ora il tuo Spirito sulla Terra.
Fa’ abitare lo Spirito Santo nei cuori di tutti i popoli,
affinché siano preservati dalla corruzione,
dalle calamità e dalla guerra.
Che la Signora di tutti i popoli,
la Beata Vergine Maria, corredentrice e mediatrice,
sia la nostra avvocata.
Amen
Questa preghiera è stata donata dalla Madonna anche per preparare il mondo a una definizione solenne, come dogma, del suo ruolo di Madre spirituale di tutti i popoli. La Beata Vergine, nelle sue apparizioni di Amsterdam, ha ripetutamente promesso che una solenne proclamazione da parte del papa dei suoi ruoli materni avrebbe permesso una immensa concessione di grazie, di redenzione e di pace per tutta l’umanità, attraverso la potente intercessione di Maria.
Dato che il coronavirus, come altre sfide contemporanee, sta mettendo a dura prova l’umanità, forse sarebbe il momento ottimale per incoronare Maria con questo dogma e consentire così la piena liberazione della sua più potente intercessione materna per il mondo e per la Chiesa. È tempo di invocare solennemente la Madre di tutti i popoli e l’aiuto divino per combattere un virus che sta raggiungendo e minacciando tutti i popoli.
Manteniamo pertanto la nostra pace cristiana durante la vicenda del coronavirus.
Preghiamo più generosamente, specialmente con il nostro Gesù eucaristico.
Offriamo le nostre sofferenze con Gesù come corredentori in Cristo.
E riconosciamo la potente intercessione della Nostra Madre e accogliamo e manteniamo il dono della pace di Cristo in questo tempo di prova, per il tramite della Madre spirituale di tutti i popoli.
Mark Miravalle
Cattedra di Mariologia “St. John Paul II”
Franciscan University of Steubenville
Ohio, USA
__________
Per approfondimenti, www. motherofallpeoples.com
https://www.aldomariavalli.it/2020/03/12/come-la-corona-di-maria-puo-aiutarci-a-sconfiggere-il-coronavirus/

Un esorcista contro il coronavirus



L’esorcista Don Roberto Liani ha avuto l’ispirazione di questa preghiera di liberazione dal coronavirus che può essere recita anche dai laici.


Signore pietà.
Cristo pietà.
Signore pietà.
Santa Maria madre di Dio
prega per noi.
San Giuseppe
prega per noi.
San Giovanni Battista prega per noi.
Santi patriarchi e profeti
pregate per noi.
Santi Pietro e Paolo pregate per noi.
Santi apostoli ed evangelisti
pregate per noi.
Santi discepoli del Signore
pregate per noi.
Santi Michele Gabriele Raffaele
pregate per noi.
Santi Serafini Cherubini e troni
pregate per noi.
Sante dominazioni virtù e podestà
pregate per noi.
Santi principati arcangeli angeli
pregate per noi.
Santi e Sante tutte del Paradiso pregate per noi.
San Pio, Santa Faustina e Santa Gemma pregate per noi.
Nostri santi protettori e patroni, anche delle case, delle città, di tutta l’Italia, di tutta Europa e di tutto il mondo pregate per noi.
Nel nome di Gesù Cristo il Signore, STERMINO e CACCIO via da me e da tutto quello che mi può appartenere, tutti gli agenti patogeni, in particolare il coronavirus. DISTRUGGO e CACCIO via da me e da tutto quello che mi può appartenere, il coronavirus.
Nel nome di Gesù Cristo, coronavirus, ti STERMINO, DISSOLVO e ti CACCIO via in tutte le tue manifestazioni, in tutti i tuoi effetti.
Ti STERMINO e CACCIO via nel nome di Dio Padre Onnipotente,
del Figlio suo Unigenito Gesù Cristo e dello Spirito Santo Paraclito, affinché ti allontani con tutti i tuoi effetti dalla mia persona, dalla mia casa e da tutto quello che mi può appartenere e non resti in me e in nessuna cosa che mi può appartenere,
ma vai via dove non puoi nuocere a nessuno.
Te lo COMANDO in nome di Dio Onnipotente, di tutta la corte Celeste che ti maledice,
affinché dovunque andrai tu sia maledetto perché possa ridurti in te stesso di giorno in giorno e possa scomparire in tale maniera che non si possano più incontrare superstiti in nessun luogo di te, coronavirus, se non quelle cose che potrebbero essere necessarie per la salute e l’uso degli uomini. Voglia così concederci, Colui che verrà a giudicare i vivi e i morti col fuoco.
Amen.

San Rocco di Montpellier, protettore contro la pestilenza


Cristina Siccardi) Sono migliaia e migliaia le preghiere di aiuto per fermare l’epidemia del Covid-19 che giungono al sito sanfrancesco.org, che inquadra la tomba di san Francesco d’Assisi in diretta Webcam. Le maggiori invocazioni al Patrono d’Italia arrivano da una nazione che, all’improvviso, si vede travolta da un’emergenza pandemica tanto misteriosa quanto indicativa di un mondo che ha perso il reale senso della vita e il timor di Dio.
Il direttore della sala stampa del Sacro Convento, padre Fortunato, sostiene, sullo stesso sito, che «la preghiera che ci sta raggiungendo attraverso sorella rete manifesta un’Italia solidale, unita e pronta a leggere un senso e un significato profondo, non quello del castigo di Dio, ma quello di fare emergere nuove possibilità». Lettura, questa, dal sapore modernista. Avendo perso il timor di Dio si è anche perso il senso del peccato, che procura l’offesa a Dio, e i peccati richiamano i castighi divini, come insegnano le Sacre Scritture e recita l’Atto di dolore: «Mio Dio mi pento e mi dolgo dei miei peccati, perché peccando ho meritato i Vostri castighi e molto più perché ho offeso Voi infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa…». I dolori, le sofferenze e le prove sono castighi che fanno sorgere delle opportunità di conversione. Così, questi drammatici nostri giorni, possono essere occasione di rinsavimento per le coscienze, ma certamente anche per ristabilire nuovi e più saggi criteri nelle piccole o grandi scelte nella propria microstoria (quella di ognuno), sia nella macrostoria (quella delle collettività). Le persone, nel momento del bisogno acuto e della paura, si aggrappano al trascendente ed è per questo che tornano a chiedere a gran voce il soccorso a Dio, a Maria Santissima, ai Santi.
Ci sono, nella storia della Chiesa, alcuni santi maggiormente invocati nei momenti delle calamità epidemiche, in particolare san Sebastiano (256-288), sant’Erasmo di Formia (?-303), san Francesco da Paola (1416-1507). Ma il primo in assoluto è san Rocco, terziario francescano, il santo più invocato, dal Medioevo in poi, come protettore dal flagello della peste. La sua popolarità continua ad essere ampiamente diffusa e con il propagarsi del Coronavirus molti si stanno a lui affidando in Italia e nelle comunità cattoliche dell’Estremo Oriente, come nelle Filippine, ad Hong Kong e Macao. Recita il Messale Romano il giorno 16 agosto: «In Lombardia, san Rocco, che, originario di Montpellier in Francia, acquistò fama di santità con il suo pio peregrinare per l’Italia curando gli appestati».
Rocco di Montpellier, nato fra il 1345 e il 1350, fu pellegrino e taumaturgo. Il suo patronato si è progressivamente esteso alle catastrofi dovute alle epidemie, alle malattie molto gravi, ai terremoti. Nella sola Italia è il patrono di oltre cento comuni ed è il compatrono di molti altri fra cui Napoli. Con il trascorrere dei secoli è divenuto uno dei santi più conosciuti in Europa, nelle Americhe e in Asia, grazie anche alla presenza dell’Ordine francescano. Le prime fonti agiografiche concordano sulle origini di Rocco, nato da una famiglia benestante di Montpellier, in Francia, probabilmente i Delacroix, notabili e consoli della città. Secondo il più antico e affidabile testo anonimo medievale, l’Acta breviora, composto il Lombardia intorno al 1430, la sua nascita era seguita ad un voto fatto dai suoi genitori avanti negli anni. La madre fu sua catechista, che lo indirizzò verso una profonda devozione alla Madonna, spingendolo, fin dalla nascita, a diventare «servo di Cristo» per seguire Gesù nelle sofferenze terrene prima di accedere alla gloria celeste. Di viva intelligenza, studiò fino a vent’anni all’Università di Montpellier, per poi sposare in toto la spiritualità francescana, tanto che decise di entrare a far parte del Terz’ordine di san Francesco. Con la morte dei genitori lasciò, come frate Francesco, ogni ricchezza, distribuendo tutti i beni ereditati ai poveri e, per assolvere ad un suo voto, s’incamminò in pellegrinaggio verso Roma.
Rocco, iconograficamente parlando, viene sempre rappresentato come un uomo nel pieno del vigore, alto di statura, quasi sempre con la barba, segno distintivo del viandante. Impugna il bordone dei pellegrini, possiede una borraccia e il tascapane, accessori che lo avvicinano a san Giacomo e a san Pellegrino. Nell’arte italiana è spesso presentato con un giustacuore rosso ed un mantello di ruvida stoffa, in conformità alle indicazioni fornite dal suo veneziano biografo, Francesco Dieto. A volte, accanto al santo, nei dipinti si nota la presenza di un angelo e di un cane. L’angelo interviene talora come annunciatore della peste, che lo stesso Rocco contrasse, talaltra come consolatore del malato o anche in atto di medicare il bubbone infetto della sua gamba. Questo ruolo di infermiere è conforme alla tradizione che vuole che il santo sia stato visitato e guarito da un angelo. L’animale a volte lecca le piaghe dell’appestato, ma quasi sempre è accanto al santo e reca in bocca o fra le zampe una pagnotta. A partire dal XVI secolo compaiono in tutta Europa veri e propri cicli di dipinti e di vetrate che rappresentano i principali episodi della vita del santo di Montpellier, come quello del Tintoretto nella celebre Scuola di San Rocco di Venezia o le vetrate di Saint-Étienne d’Elbeuf.
Arrivato in Italia durante l’epidemia di peste, fra il 1367 e il 1368, Rocco non solo non fuggì, ma andò a soccorrere i contagiati. Il pellegrino francese, tra l’altro, aveva già conosciuto l’epidemia nella sua giovinezza e nella sua città (1358 e 1361) e in quel tempo aveva scoperto la sua vocazione di carità. Acquapendente, in provincia di Viterbo, fu la prima tappa fondamentale del suo pellegrinaggio. Vi giunse fra il 25 e il 26 luglio del 1367, e qui incontrò Vincenzo, molto probabilmente direttore dell’Hospitale di San Gregorio, che gli permise di accedere a quel luogo di dolore. Su invito di un angelo, san Rocco benediva gli ammalati con il segno della croce e all’istante li guariva, toccandoli con la sua mano taumaturgica… e l’epidemia venne domata e spenta. I miracoli contro malattie ed epidemie, per sua intercessione, si moltiplicarono anche in altre città. Rimase a Roma tre anni, curando gli ammalati dell’Hospitale di Santo Spirito. Probabilmente curò e guarì un cardinale non bene identificato, ma che potrebbe essere, secondo alcuni storici, Anglico de Grimoard, francese originario di Grisac, nonché fratello di papa Urbano V (1310-1370), il quale, durante un’udienza, avrebbe presentato Rocco al Pontefice, che rimase profondamente toccato da quel giovane. Il viaggio di ritorno a Montpellier venne interrotto ancora dalla peste, in corso a Piacenza. Rocco si fermò per prestare soccorso ma, nell’assistere gli ammalati, probabilmente quelli dell’Hospitale di Santa Maria di Betlemme, contrasse il morbo. Al fine di non contagiare altri a sua volta, si nascose dentro una grotta o capanna lungo il fiume Trebbia, sulla via Francigena. Sarebbe morto di fame se, come racconta la tradizione, un cane non avesse provveduto a portargli il pane, sottratto alla mensa del suo padrone e signore del luogo. Forse si trattava di Gottardo Pallastrelli del castello di Sarmato. Il nobiluomo, seguito il cane per i tortuosi sentieri della selva, giunse fino al rifugio di Rocco: lo soccorse e lo curò.
Il santo, mai sazio di carità, fece ritorno nei lazzaretti di Piacenza e quando la città fu libera dalla peste, si ritirò nella selva per occuparsi di coloro che erano ancora appestati, insieme a molti altri piacentini, divenuti suoi discepoli. L’antica tradizione vuole che il santo sia tornato a Montpellier, mentre le scoperte successive concordano sul fatto che egli si fermò a Voghera, in provincia di Pavia (gli errori e le alterazioni di dizione, crearono una confusione con Angera, in provincia di Varese). Sfigurato dalle prove e dalla peste, avvolto da poveri e polverosi panni, giunse al confine della città, non passando inosservato, neppure dalla vigilanza delle guardie. Quando gli chiesero chi fosse, lui rispose: «un umile servitore di Gesù Cristo». Fu allora accusato di essere una spia, perciò venne legato e condotto di fronte al governatore. Rocco non si ribellò e dopo cinque anni, che egli visse come un purgatorio per l’espiazione dei suoi peccati e dei peccatori, morì in carcere nella notte fra il 15 e il 16 agosto di un anno imprecisato, fra il 1376 e il 1379.
Al fianco della salma venne ritrovata una tavoletta, sulla quale erano incisi il nome di Rocco e le seguenti parole: «Chiunque mi invocherà contro la peste sarà liberato da questo flagello». La tradizione racconta che il corpo venne riconosciuto da una dama – nonna di Rocco e madre del governatore – grazie alla croce rossa impressa sul petto. Il pentimento, per aver provocato quella dura morte ad un innocente, investì molti cittadini. Fu così che Voghera con le zone circonvicine del piacentino, divenne il luogo del primitivo culto al santo. Dapprima il pellegrino di Dio venne accolto in una delle chiese di Voghera per poi, dopo alcuni temporanee traslazioni (prima nella chiesa di San Geminiano a Venezia, in seguito nel palazzo del patriarca di Grado, nella chiesa di san Silvestro), trovare destinazione definitiva, il 3 marzo 1490, nella nuova chiesa di San Rocco a Venezia. Nel 1590, papa Sisto V (1521-1590) chiese al legato veneziano a Roma, Alberto Badoer, di procurargli informazioni sulla vita e sui miracoli del santo, in modo da poterlo canonizzare. Gregorio XIV (1535-1591) fece iscrivere il suo nome nel Martirologio romano, il giorno seguente l’Assunzione di Maria Vergine. Il 16 luglio 1629 Urbano VIII (1568-1644) invocò «per sé e per tutto il popolo romano» la protezione di san Rocco contro le epidemie, per poi approvare definitivamente il suo culto con un breve apostolico il 26 ottobre dello stesso anno. E ancora, nel 1694 Innocenzo XII (1615-1700) prescrisse ai Francescani di celebrare la sua festa con rito doppio maggiore. Oggi, quando finalmente molti in Italia non si illudono più e chiacchierano meno, rendendosi conto della gravità di questo flagello in corso, stanno riscoprendo, nelle loro case, nel silenzio, nel raccoglimento e nella preghiera, la potenza intercessoria dei prediletti di Dio, come san Francesco d’Assisi e san Rocco di Montpellier. 

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