“Sono questi i giorni in cui metterci in ginocchio per intercedere per il mondo. Penso all’intercessione della regina Ester per la salvezza del suo popolo e all’insegnamento di Gesù sull’efficacia della preghiera: ‘Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto’”.
Così si è espresso il cardinale vicario Angelo De Donatis in una lettera ai fedeli della diocesi di Roma, nella quale ha indetto una giornata di preghiera e di digiuno per impetrare da Dio la cessazione del contagio da Coronavirus.
Il cardinale non si è richiamato né a san Gregorio Magno né a san Carlo Borromeo, che rispettivamente nel 590 e nel 1576, a Roma e a Milano, si prodigarono eroicamente nella cura degli appestati e nella guida di processioni penitenziali per invocare da Dio e dai suoi angeli di rimettere nel fodero la spada del castigo.
Ha però offerto l’esempio biblico della regina Ester (sopra, in un dipinto di Chagall), che a Susa “indossò gli abiti di miseria e di lutto” e con le ceneri sul capo pregò Dio di risparmiare l’incombente sterminio dell’intero popolo d’Israele, tramato dall’empio primo ministro persiano Aman (Ester, 4,17).
Curiosamente, questo richiamo del cardinale a Ester è coinciso proprio con la festa ebraica di Purim, nella quale viene letto nelle sinagoghe (o questa volta, per forza maggiore, in streaming) l’intero rotolo di quel libro, con i bambini che strepitano festosi ogni volta che odono il nome di Aman, giustiziato grazie al rovesciamento delle “sorti” compiuto da Dio a favore del suo popolo, per intercessione di Ester.
Quest’anno gli ebrei festeggiano Purim, cioè le “sorti”, a iniziare dal tramonto di lunedì 9 marzo e nei due giorni a seguire, di norma con generose offerte di aiuto a persone bisognose.
Mentre la giornata di preghiera e di digiuno indetta nella diocesi di Roma è stabilita per mercoledì 11 marzo, anche qui con un’elemosina ben mirata.
“Pregheremo – scrive nella lettera il cardinale De Donatis – per quanti sono contagiati e per chi si prende cura di loro; e per le nostre comunità, perché siano testimonianza di fede e di speranza in questo momento”.
E quanto al digiuno, da compiersi “rinunciando ad un pasto”, potrà concretarsi “in un segno di elemosina, raccogliendo delle offerte a sostegno del personale sanitario che si sta spendendo con generosità e sacrificio nella cura dei malati”.
Le offerte si potranno devolvere al centro per la pastorale sanitaria della diocesi di Roma, con le seguenti coordinate bancarie:
Beneficiario: Vicariato di Roma
IBAN: IT 25 E 05216 03229 0000 0009 2433
Causale: “Offerta Centro per la Pastorale Sanitaria - Emergenza Coronavirus"
IBAN: IT 25 E 05216 03229 0000 0009 2433
Causale: “Offerta Centro per la Pastorale Sanitaria - Emergenza Coronavirus"
*Settimo Cielo
di Sandro Magister 10 mar
di Miguel Cuartero Samperi
Oggi, domenica 8 marzo, ho partecipato alla messa delle 11 ignaro del fatto che sarebbe stata l’ultima celebrazione eucaristica a cui sarà possibile partecipare fino al prossimo 3 aprile.
L’ultima Messa. Voglio ricordarla così: con poche persone, quelle giuste, il numero esatto. Come se la parrocchia avesse stabilito il numero massimo di partecipanti e avesse distribuito i biglietti per convalidarli all’ingresso. Pochi fedeli ordinatamente seduti a un metro di distanza, uno per panca, alle estremità opposte. Al mio arrivo c’erano ancora metri di panca liberi, in prima e seconda fila.
Il Vangelo della Trasfigurazione mi ha ricordato qualcosa che ho sentito gridare (certe cose non si dicono ma si affermano con enfasi e determinazione) da Kiko Agüello in una sua recente catechesi, ossia che «non siamo stati creati per i cimiteri ma per la vita eterna, perché Cristo è Risorto, veramente risorto» (… non per modo di dire).
Se inizialmente non riuscivo a capire il collegamento tra quel brano del Vangelo e la Quaresima (cosa che ora riflettendoci mi sembra ovvia!), ho pensato al coronavirus. Ho pensato che a tutti noi, accorsi in quella chiesa nonostante il pressante invito a non uscire di casa, la Parola stava suggerendo: “non temete di ammalarvi, non temete di morire, perché siete fatti di una sostanza immortale, siete chiamati alla luce, alla trasfigurazione”. E ancora “Noi tutti saremo trasfigurati, Cristo ha aperto il cielo e il nostro destino è la vita eterna, non il tampone e la terapia intensiva”.
Nulla di tutto ciò nell’omelia, perché purtroppo il sacerdote ha volutamente evitato di parlare dell’unica cosa di cui – verosimilmente – i presenti avrebbero avuto voglia sentire parlare. In maniera quasi imbarazzante, non c’è stato nessun riferimento al virus, all’epidemia, alla malattia, alla polmonite che sta colpendo in maniera estremamente seria il paese, mietendo vite e seminando panico. Chi si aspettava parole concrete di incoraggiamento, di speranza, di fede, di fronte alla paura reale del virus, sarà probabilmente rimasto deluso. Ma se l’omelia non parla delle nostra paure concrete, per dare una risposta di fede, di cosa ci deve parlare?
Un accenno si è fatto durante le preghiere universali, quando il sacerdote ha aggiunto una sua preghiera a quelle presenti sul “foglietto”; una preghiera a Dio affinché ci protegga “dalle malattie” e guidi la “comunità scientifica”.
Come ogni cosa preziosa di cui disponiamo quotidianamente senza riuscirne ad apprezzare sufficientemente il valore, ogni Eucaristia dovrebbe essere vissuta come l’ultima. Non l’ho fatto con quella consapevolezza, eppure la ricorderò come l’ultima eucaristia per qualche settimana, sperando che l’emergenza non costringa a procrastinare la ripresa delle celebrazioni.
La celebrazione si è svolta nel pieno e ferreo rispetto delle norme igenico-sanitarie e delle disposizioni governative per prevenire il contagio di coronavirus. Oltre alla distanza di sicurezza, comunione obbligatoriamente sulle mani, divieto dello scambio della pace e di ogni contatto fisico (baci e abbracci) dopo la celebrazione. Ci si guardava appena, e un colpetto di tosse (sul fazzoletto, ché il gomito in Chiesa non sono ancora abituato ad alzarlo, mi sembra scomposto e indecoroso) mi ha fatto guadagnare una brutta occhiataccia da un’anziana signora ubicata a tre metri di distanza in direzione nord-ovest.
Prima della benedizione finale il celebrante ha trasmesso (a dire il vero a modo suo) il messaggio che il cardinale Vicario ha voluto inviare a tutti i fedeli di Roma. Il cardinale De Donatis ha chiesto «un giorno di digiuno e preghiera». Il parroco ha interpretato e riferito chiedendo «un giorno di preghiera e una piccola rinuncia per chi se la sente…». Moriremo senza sforzarci.
Finita la celebrazione mi sono recato al supermercato di fronte alla Chiesa per acquistare alcune provviste necessarie per il pranzo. Come si suol dire: «Dopo la mistica, la mastica!». Com’è facile prevedere, quel supermercato si riempie regolarmente alla fine di ogni celebrazione; dunque molti dei fedeli usciti poc’anzi dalla Messa, ci siamo ritrovati al bancone dei salumi e del pane col numeretto in mano, gomito a gomito (si sa’, alcune signore sgomitano di fronte al San Daniele in offerta), ma anche faccia a faccia, quasi mano a mano. L’emergenza è alta ma sembra che il supermercato sia considerata zona franca, qui non sembra sia necessario mantenere il metro di distanza tra persone. Neanche alla cassa, lungo la fila che occupava un intero corridoio, nessun direttore o commesso ha chiesto alla clientela di mantenere distanze prudenziali. Tutto comprensibile: “Sine manducare non possumus“.
Solo nel pomeriggio sono venuto a sapere che la Diocesi di Roma ha disposto di sospendere ogni celebrazione eucaristica fino al 3 aprile in ottemperanza al decreto del Presidente del Consiglio. La notizia è arrivata grazie a Domenica In, noto programma di intrattenimento nazionale che da quasi cinquat’anni anima (si fa per dire) è il sopore pomeridiano del focolare domestico italiano, mentre si combatte col “demone meridiano”. È toccato a Mara Venier dare il messaggio a tutti i fedeli della Diocesi governata dal Sommo Pontefice (Vescovo di Roma). Nel suo studio televisivo, infatti, un sacerdote si dibatteva animatamente per difendere a gran voce il proprio diritto di celebrare l’Eucaristia, pur prendendo le dovute precauzioni e nel rispetto delle norme diramate dal governo, perché – affermava – «C’è un diritto del cristiano di avere Gesù» e su questo si diceva disposto a disobbedire al Governo. La conduttrice lo bacchettava con severità: «Sei un pericolo pubblico».
È a questo punto che – per porre fine all’accesa diatriba del salotto televisivo – è arrivata, in diretta, la telefonata del portavoce del Vicariato che ha dato ragione alla Venier (che prontamente posa un microfono sul cellulare in contatto dal Laterano) zittendo il sacerdote. La Venier viene dunque, avvisata in anteprima, che la Diocesi è in procinto di comunicare a tutti che non si potranno più celebrare le Sante Messe in pubblico… La telefonata termina col sentito ringraziamento del portavoce del Vicariato alla “Signora della domenica” e Domenica In «per il servizio che state facendo a tutti». Anche noi ringraziamo Mara per aver dato a tutti l’annuncio della sospensione delle Messe nell’Urbe. Dopo gli orrori della comunicazione del Governo Pd-5stelle e i continui grattacapo della comunicazione vaticana… il Vicariato si adegua: dal Signore della domenica, alla signora della domenica.
Certamente in Francia la situazione non è seria come lo è in Italia. Ma la posizione di monsignor Pascal Roland, vescovo di Belley-Ars, colpisce per la distanza da ciò a cui siamo abituati nel nostro paese. In una lettera alla sua diocesi (che vale la pena leggere e meditare per esteso) ha espresso con chiarezza e coraggio la sua posizione. Parole di un pastore che ama le sue pecore e che onora la sua missione:
«Da parte mia, mi rifiuto di cedere al panico collettivo e di sottomettermi al principio di precauzione che sembra muovere le istituzioni civili. […] Lungi da me, quindi, l’idea di prescrivere la chiusura delle chiese, la soppressione delle messe, l’abbandono del segno di pace durante l’Eucaristia, l’imposizione di questa o quella modalità per ricevere la Comunione, considerata più igienica, perché una chiesa non è un luogo di rischio, ma un luogo di salvezza. È uno spazio in cui accogliamo Colui che è la Vita, Gesù Cristo, e dove, attraverso Lui, con Lui e in Lui, impariamo a vivere insieme. Una chiesa deve rimanere quello che è: un luogo di speranza. Dovremmo sigillare le nostre case? Dovremmo saccheggiare il supermercato del quartiere e accumulare riserve per prepararci ad un assedio? No! Perché un cristiano non teme la morte. È consapevole di essere mortale, ma sa a chi si è affidato. Crede in Gesù, che lo afferma: “Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà; e chiunque vive e crede in me non morirà in eterno” (Gv 11, 25- 26) Sa di essere abitato e animato dallo “Spirito di colui che risuscitò Gesù dai morti” (Rm 8,11)».
Mentre scrivo, in televisione parla un esperto che invita a starsene a casa: si vada al lavoro, si faccia la spesa, si assolvano i doveri fondamentali e urgenti. Si tralasci il resto. Il passatempo, il passeggio, il cazzeggio, il diletto. Insomma, ciò che è inutile e di cui possiamo fare tranquillamente a meno.
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