ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 29 aprile 2020

Il campo di battaglia

È crollato un mondo?


(Corrado Gnerre) In merito a ciò che sta accadendo e a come “cattolicamente” bisogna interpretare ciò che sta accadendo è opportuno partire dal rapporto tra Provvidenza e Storia umana. Rapporto che richiama l’essenza di quella disciplina molto importante, ma -ahinoi- assai dimenticata qual è la Teologia della Storia.

La Teologia della Storia ci dice che la Storia è una sorta di campo di battaglia tra il Bene e il Male, tra l’azione della Provvidenza e l’azione di una sorta di Anti-Provvidenza, qual è la presenza del Demonio. Il padre della Teologia della Storia è sant’Agostino, il quale, con la sua famosa opera De Civitate Dei, dice appunto che due ideali “città” si fronteggiano nella Storia, la Città di Dio (il Bene) e la Città dell’Uomo (il Male). Questa concezione agostiniana costituì al tempo una significativa novità, esito a sua volta di un’altra novità, quella cristiana, in merito alla libertà umana. Infatti, nella concezione pagana, l’uomo non figurava come essere libero nella Storia, anzi la Storia stessa di fatto non esisteva. L’uomo veniva inteso come una sorta di “burattino” vittima del capriccio degli Dei e del Fato. La stessa definizione di persona veniva da “maschera dell’attore” per far capire che come l’attore s’illude di essere libero ma non fa altro che riprodurre sul palcoscenico un canovaccio che qualcun altro ha scritto per lui, così l’uomo s’illude di essere libero sul “palcoscenico” della Storia, ma in realtà è sempre vittima di qualcos’altro. Sant’Agostino, invece, dice sì che la Storia è lotta tra due forze che sovrastano l’uomo (Dio e il Demonio), ma che l’uomo stesso ha la libertà di decidere da quale parte stare, per quale “città” combattere. Da qui la sua libertà. E così la Storia diventa una risultante tra due componenti. Da una parte l’azione della Provvidenza, dall’altra la libera corrispondenza umana che può decidere tra il Bene e il Male. Un famoso pensatore cattolico del XIX secolo, Juan Donoso Cortes, così scrive: «La storia, considerata in generale, è la narrazione degli avvenimenti che manifestano i disegni di Dio sull’umanità e la loro realizzazione nel tempo, sia come intervento divino diretto e miracoloso, sia per mezzo della libertà dell’uomo». Questa premessa è importante per poter rispondere dalla questione da cui siamo partiti, ovvero da un punto di vista sanamente cattolico come ci si deve rapportare a ciò che sta accadendo in questi giorni, ovvero alla pandemia in atto?
A riguardo dominano fondamentalmente due posizioni.
La prima è quella tipica della teologia neomodernista contemporanea: Dio in ciò che sta accadendo non c’entra. Guai a pensare a castighi di sorta. Molti nella Chiesa si sono premurati a smentire qualsiasi ipotesi di “lezione” di Dio. Padre Raniero Cantalamessa nell’omelia del Venerdì Santoha detto così: «Se questi flagelli fossero castighi di Dio, non si spiegherebbe perché essi colpiscono ugualmente buoni e cattivi, e perché, di solito, sono i poveri a portarne le conseguenze maggiori».
La seconda posizione è quella che possiamo definire “complottista” nei casi più esagerati o,in quelli più soft, “cripto-complottistica”: ciò che sta accadendo è dovuto chissà a quale mano nascosta e chissà per quali fini. Posizione logicamente debole, perché non ci sembrano ci siano spiegazioni coerenti che possano spiegare tanto cause previe quanto sfruttamenti successivi a ciò che sta avvenendo. Per esempio, le terribili conseguenze economiche e finanziarie le stanno pagando tutti a “360 gradi”, facendo, per esempio, saltare qualsiasi interpretazione geopolitica. A riguardo però va detto un’altra cosa che è ancora più importante. Se ci si riflette queste due posizioni (neomodernista e complottista), pur essendo lontane fra loro nell’origine, sono perfettamente uguali negli esiti. Dio, infatti, sparisce tanto nella prima quanto nella seconda. La Provvidenza di Dio non c’è più. È dissolta la Storia come risultante dell’azione della Provvidenza e della libera corrispondenza umana.
C’è invece una terza posizione che ci sembra perfettamente coerente con l’autentica Teologia cattolica della Storia. È quella di ritenere possibile anche l’eventuale complotto e azione di forze occulte, ma che è dovere primario di onestà intellettuale non solo trattare tutto questo come semplice ipotesi, ma anche evidenziare ciò di cui si ha unica certezza, ovvero il fatto che ciò che sta avvenendo, sta avvenendo perché Dio lo sta permettendo. E se Dio sta permettendo, significa che tutto si configura anche come castigo.
Il Cristianesimo è sano realismo, e realisticamente non ci vuole molto a capire che nel giro di pochissimo è cambiato tutto. È imploso un mondo certamente non conforme alla Verità Cattolica. Un mondo che con ogni probabilità tornerà come prima perché non sempre l’uomo è capace di capire e far tesoro delle “lezioni” della Provvidenza, ma che allo stato attuale è cambiato.
Nel giro di un paio di mesi sono crollati tanti “miti”. Dalle piazze in cui l’emblema era quello di sentirsi stretti-stretti (il movimento delle Sardine), si è passati all’obbligo delle distanze gli uni dagli altri.
Dalla disinibizione di baciarsi dinanzi a tutti o con chiunque (i baci omosessuali del Festival di Sanremo), si è passati all’auspicio di non incontrarsi fisicamente: bandite finanche le strette di mano!
Dal che bello la globalizzazione e un mondo-nazione senza confini, si è passati all’auspicio che tutti rimangano nei propri Paesi e perfino nelle proprie case.
Dal mantra ossessivo dei porti aperti, si è passati all’auspicio che i porti vengano chiusi per evitare l’arrivo di possibili contagiati.
Dalla preoccupazione “gretina” di salvare la natura, si è passati all’auspicio di salvarsi dalla natura (il Covid-19 è natura!)
Dall’ideologia di emancipare quanto più presto i bambini dalla famiglia (asili obbligatori), si è passati all’auspicio di far restare i bambini quanto più tempo a casa.
Dall’impegno di bandire quanto più possibile la plastica, si è passati all’auspicio che s’intensifichi quanto più la produzione di materiale plastico per fabbricare mascherine e respiratori.
Dalla paura dell’innalzamento climatico come spauracchio dell’inquinamento climatico antropico, si è passati all’auspicio che il caldo arrivi quanto prima con la speranza che inibisca la forza del virus.
Dal mito dei genitori entrambi in carriera, si è passati all’auspicio di ottenere dal governo sussidi economici perché almeno un genitore possa rimanere a casa per accudire i figli privati della scuola.
Insomma, come dicevamo, è crollato un “mondo”. 

Il comitato tecnico-scientifico e i nuovi dogmi


Cari amici di Duc in altum, vi propongo qui il mio intervento per la rubrica La trave e la pagliuzza di Radio Roma Libera.
***
Se solo qualche mese fa un analista politico o un comune osservatore ci avessero detto che un giorno un Paese intero, il nostro Paese, sarebbe stato completamente bloccato, con la popolazione costretta a restare chiusa in casa, in base ai provvedimenti presi da un governo di non eletti il quale si muove a sua volta seguendo le indicazioni di un comitato tecnico-scientifico, sicuramente avremmo dato del pazzo a quell’analista o a quel comune osservatore. Invece, eccoci qui.
Al di là delle aberrazioni della nostra politica, il segreto sta tutto in quel doppio aggettivo: tecnico-scientifico. Se una decisione è presa da un comitato tecnico-scientifico, occorre credergli. Se una dichiarazione arriva da un comitato tecnico-scientifico, quella dichiarazione va ritenuta vera. Il comitato tecnico-scientifico è un’entità rispetto alla quale è obbligatorio un atto di fede e le sue formulazioni hanno valore di dogma.
Se ci pensiamo, è davvero singolare che tutto ciò avvenga in un Paese segnato, come tutto l’Occidente, da un processo di secolarizzazione che ha preteso di mettere sempre più ai margini ogni religione fondata su una fede trascendente. E ancor più singolare è che ai dogmi del comitato tecnico-scientifico debba piegarsi anche la Chiesa, la quale da tempo, nel tentativo di rendersi, si dice, più umana e simpatica, ha intrapreso un cammino per apparire meno dogmatica.
Non è vero che oggi i dogmi non ci sono più. Oggi i dogmi ci sono e sono quelli tecnico-scientifici.
A dire il vero, anche nella Chiesa, che si proclama ormai antidogmatica, i dogmi esistono ancora, perché la Chiesa ha fatto propri i dogmi del mondo, a partire dal superdogma del dialogo, ma il punto è che noi tutti oggi, cattolici e non cattolici, credenti e non credenti, colti e meno colti, siamo appesi alle decisioni di un comitato tecnico-scientifico al quale, di fatto, è stato riconosciuto il valore di fonte dogmatica, altrimenti non ci piegheremmo  a tutte le sue decisioni.
Il comitato tecnico-scientifico è talmente dogmatico da aver assunto ormai l’aspetto di un vero e proprio oracolo. Dinnanzi a ogni comportamento o possibilità, la prima domanda, ormai, è una sola: ma che cosa ha detto il comitato tecnico-scientifico? I nostri antenati probabilmente nei confronti dei responsi delle sibille erano più liberi di quanto lo siamo noi adesso nei confronti del comitato tecnico-scientifico.
Pensiamoci. Di questo comitato tecnico-scientifico noi non conosciamo neppure la composizione. Sì, i nomi sono stati resi noti e pubblicati, ma alzi la mano chi li conosce tutti quanti. Alzi la mano chi può dire di sapere chi siano effettivamente coloro che ne fanno parte e perché, precisamente, sono stati nominati nel comitato. Quasi nessuno sa chi siano, e non lo sappiamo perché non è necessario. Trattandosi, appunto, di un’entità dogmatica, non è importante entrare nel perché e per come. Di fronte a un’entità dogmatica è richiesta soltanto una cosa: un atto di fede. E un atto di fede è appunto quello che noi tutti stiamo mettendo in pratica.
Ma in virtù di che cosa noi diamo ogni giorno sostanza a tale atto di fede, dal momento che i nomi dei membri del comitato addirittura ci sfuggono? In virtù, lo ripeto, di quel doppio aggettivo: tecnico-scientifico. Ecco il sigillo di garanzia, se così possiamo dire.  Ecco il contrassegno della verità. Basta dire “tecnico-scientifico” e il gioco è fatto: l’entità che si fregia di tale titolo diventa ipso facto entità dogmatica e le sue formulazioni diventano verità indiscutibili.
In tutta questa situazione c’è un altro aspetto curioso. È dato dal fatto che i veri scienziati, non i millantatori, sanno una cosa sola: sanno di non sapere. Certo, uno scienziato sa molte cose che riguardano il suo settore di studio, ma, in fondo, ciò che ne fa veramente uno scienziato è la consapevolezza di non sapere. Perché la scienza funziona così: più acquisisce conoscenze, più scopre nuovi orizzonti da esplorare; più ottiene risposte, più si pone nuove domande. La scienza, in effetti, ha risposte sempre e soltanto relative, tutt’altro che immutabili, definitive e dogmatiche. La scienza, poi, per dare le sue risposte relative ha bisogno di tempo e di confronto tra le informazioni. Eppure, noi l’abbiamo eletta a sacerdotessa di Apollo, a tal punto che un comitato tecnico-scientifico, per il solo fatto di fregiarsi di questo aggettivo, è diventato un oracolo, e noi ci avviciniamo ai suoi responsi come se entrassimo nell’antro della sibilla, in atteggiamento di umile ascolto e disposti ad accogliere tutto come oro colato.
Insomma, ciò che stiamo vivendo merita qualche riflessione perché è tutto davvero paradossale. Secondo il noto aforisma di Chesterton, “chi non crede in Dio non è vero che non crede in niente, perché incomincia a credere a tutto”. Ma mi viene in mente anche Il Signore delle mosche, di William Golding, il romanzo nel quale si racconta di alcuni ragazzi inglesi di buona famiglia i quali, trovandosi a essere naufraghi sopra un’isola, regrediscono fino al punto di impalare su una picca la testa di un maiale selvatico, che diventa per loro il feticcio al quale attribuire venerazione e rispetto.


Controcampo e controcanto


Cari amici di Duc in altum, guardate la foto qui sopra. Me l’ha inviata un lettore. Ritrae il presidente del Consiglio Conte in visita, ieri 28 aprile, a Genova. Guardate che bell’assembramento formano i fotografi e gli operatori tv al seguito del presidente. Altro che distanziamento sociale, altro che due metri di distanza!
Pensate che cosa sarebbe successo se un tale assembramento l’avessero formato dei fedeli in attesa di entrare in chiesa per una Messa. Naturalmente l’ipotesi è del tutto teorica, perché nessun parroco di nessuna chiesa italiana sarebbe tanto irresponsabile da permettere un tale assembramento. Invece i fotografi e gli operatori tv al seguito del presidente del Consiglio possono benissimo assembrarsi, così da ritrarre a uso di giornali, telegiornali e agenzie di stampa le gesta del presidente mascherato.
Una foto così, che in gergo si chiama controcampo, è molto temuta dal potere. Perché il controcampo svela spesso l’inganno della propaganda. Un controcampo è un controcanto, e il potere non vuole che ci siano né controcampi né controcanti.  Ma finché c’è ancora un briciolo di libertà…
La foto l’ha scattata  il fotoreporter Roberto Bobbio, che nella sua pagina Facebook racconta così la giornata:
Se mi permettete, vorrei spezzare una lancia delle più partigiane a favore della categoria fotografi-giornalisti-operatori di tv che oggi, nell’occasione della visita del Premier Conte al cantiere di Levante dell’erigendo Ponte di Renzo Piano, ha conosciuto una delle esperienze più tragiche nel panorama già bistrattato e agonizzante dell’editoria e della stampa, anche quella superstite a Genova.
Premesso che per onorare un personale contratto di consulenza non giornalistica con una delle aziende che stanno operando alla realizzazione del viadotto, mi era stato concesso un visto h 24 per accedere al cantiere da altro gate, diverso da quello dove avevano appuntamento i colleghi abituali; ho subito verificato una certa qual confusione organizzativa in un ambito plateale piuttosto ristretto, carente, guardandomi qua e là, anche dell’abituale area riservata agli operatori (compreso abitualmente anche me).
E quando è giunta la conferma dell’arrivo del Conte con la Ministra, mi sono anch’io appropinquato all’ingresso di Via Fillak notando, con un po’ di brividi, quanto mi stavo risparmiando in termini di convivenza con la folta delegazione di abituali colleghi: un’organizzatore del cerimoniale, probabilmente studioso di storia contemporanea e del campo di cellel ager in particolare, aveva realizzato un corridoio largo massimo neppure due metri tra un muro di cinta preesistente e le transenne, per una lunghezza di dieci metri, entro il quale aveva fatto ammassare oltre cinquanta  colleghi, impegnati con telecamere, aste telescopiche, microfoni direzionali, teleobiettivi, corpi macchina che si scontravano nella isterica, spasmodica ricerca degli scatti più significativi e delle riprese in diretta .
Sembrava più una prova degna di “Giochi senza frontiere ” o una sadica vendetta crudelissima nei confronti del comparto Stampa.
Ero fuori da questo delirio ma friggevo di incazzatura per loro, verificato anche che il Premier, stranamente, non mostrava alcuna disponibilità a fermarsi per farsi riprendere con in testa il bianco caschetto rigorosamente griffato Fincantieri; era straziante ascoltare l’urlo dei colleghi a chiedere, implorare Conte di fermarsi, girarsi come una diva figa, loro quasi appollaiati sulle transenne a trovare il posto migliore per scattare quattro fottutissime foto.
dulcis in fundo, ecco palesarsi come al solito il fotografo “ufficiale”, a mettersi davanti ai colleghi proprio nel momento topico della foto forzatamente di gruppo di Conte con Bucci e Toti. Un sonoro vaffanculo è aleggiato sopra il corteo, forse interpretando anche un certo qual malcontento popolare diffuso nei confronti di Giuseppi.
Avevo la mia brava arancione pettorina che mi identificava come uno “regolare” e non rompiballe, ma evidentemente avere due macchine professionali al seguito era segnale di presunta aggressione e così  più di una volta mi sono sentito sollevare e spostare da quei marcantoni della scorta.
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Questo il racconto del fotografo Roberto Bobbio, il quale, nonostante i marcantoni, è riuscito a scattare. Controcampo e controcanto. Finché c’è ancora un briciolo di libertà…

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