Ecco una riflessione di Mons. Michael Heintz, PhD, preside e professore associato di Teologia storica e sistematica presso il Seminario di Mount St Mary’s, Emmitsburg, Maryland, USA, pubblicata su The Catholic Thing. Ve lo presento nella mia traduzione. 
Master of Saint Augustine, Netherlandish. 1490 circa, presso il MET, New York.
Master of Saint Augustine, Netherlandish. 1490 circa, presso il MET, New York. 
Nonostante le apparenze, ci sono stati molti altri momenti come questi (carestie, guerre, pestilenze), anche se nessuno di essi ha portato così efficacemente l’intero globo a un tale arresto. Ma ci sono paralleli, paralleli istruttivi.
Poco più di 1600 anni fa, per esempio, i cattolici hanno avuto il loro mondo – un mondo che condividevano con molti non credenti – scosso. Nel 410, i Vandali, il cui nome è diventato sinonimo di “predoni criminali”, hanno saccheggiato la città di Roma, che per 1000 anni era rimasta in gran parte intatta e intoccabile. Questa crisi produsse, sia tra i credenti che tra i pagani, una profonda angoscia esistenziale, un interrogativo e un’insicurezza.
Nella Provvidenza di Dio, un uomo ha affrontato questa crisi e le sue conseguenze: il vescovo di una diocesi piuttosto piccola del Nord Africa chiamato Agostino (354 – 430 d.C.).  Attraverso la lente di una fede scritturale e sacramentale (cioè cattolica) senza soluzione di continuità, egli compose, nel corso di tredici anni, una risposta sotto forma di una tortuosa riflessione sia sulla storia (sempre in movimento) sia sulla natura umana (immutabile dalla Caduta).
La lettura della sua [opera] Città di Dio vale ancora il tempo e la fatica; ripaga ampiamente entrambi. Oltre ai pagani che identificavano la causa della morte del mondo con l’abbandono degli dei pagani (e l’ascesa dei cristiani), Agostino dovette anche confrontarsi con molti compagni cattolici inquieti, alcuni dei quali avevano presunto che, ora che l’impero era ufficialmente “cristiano” (fin dai primi anni del 380 per un atto imperiale), Dio li avrebbe naturalmente protetti da tali calamità. Avevano immaginato che questo “fidanzamento” tra Chiesa e Stato segnasse l’inizio di un progresso costante, di prosperità e di protezione divina. La loro debole fede (in un’idea debole) era turbata dagli eventi che si svolgevano quotidianamente, ben al di là del loro controllo.
All’inizio del primo libro della Città di Dio, Agostino osservò (riferendosi all’insegnamento del Signore in Matteo 5) che sia i buoni che i cattivi sperimentano gli imprevisti di questa vita: i suoi alti e bassi, i disagi e i fastidi, le gioie e le sventure, i dolori più amari.
La differenza non è che i virtuosi sono al riparo da tali tragedie mentre i malvagi sono lasciati a subirle. La differenza sta in chi le vive: “l’uomo buono non è né sollevato dalle cose buone del tempo, né spezzato dai suoi mali; ma l’uomo malvagio, poiché corrotto dalla felicità di questo mondo, si sente punito dalla sua infelicità”.
Agostino porta in rilievo il senso più pieno della vita e del destino, che trascende il qui e ora, l’attuale ordine storico o temporale. I cristiani, vivendo nel qui e ora, non vivono semplicemente per il qui e ora. Coloro che si lamentano delle miserie della vita (il mondo è davvero pieno di tristezza e sofferenza) come se questo ordine temporale sia tutto ciò che i cristiani possiedono o possono sperare di possedere, soffrono essi stessi di miopia spirituale. I virtuosi faranno buon uso anche dei disagi e delle disgrazie di questa vita, crescendo nella pazienza, nella speranza e nella carità. I malvagi diventeranno semplicemente più amareggiati, risentiti, sospettosi e irascibili a causa della stessa esperienza.
Ho scoperto all’inizio di questo dramma ormai globale, in gran parte grazie al fatto di vivere in una comunità di circa 170 seminaristi e sacerdoti, piuttosto compatta, che prove come questa rivelano rapidamente le debolezze e i difetti del nostro carattere; il nostro io peggiore tende a manifestarsi in momenti di tensione e di stress.
La rabbia, il risentimento, l’impazienza, la testardaggine, l’intenso assorbimento di sé e la fragilità emotiva sono solo alcuni degli aspetti meno gustosi della natura umana decaduta che ho incontrato nelle ultime settimane (alcuni in me stesso!).
Un modo per fare “buon uso” della calamità attuale è identificare quali aspetti più oscuri della nostra personalità caduta sono emersi durante l’incertezza e lo stress delle ultime settimane. E poi nominarli e pentirsene.
Di fronte a carestie, guerre e pestilenze nel corso della storia, la Chiesa ci ha regolarmente esortato al pentimento, il primo e più basilare elemento della predicazione di Gesù. In questa vita, non potremo mai (a meno che non siamo degli stolti) dire a noi stessi: “Ho padroneggiato la vita cristiana; il mio lavoro è finito”.
Siamo sempre, come insegna Agostino, peregrini, pellegrini o viandanti, o, come amava dire Tommaso d’Aquino, in via, in cammino. Il “là” dove siamo diretti non si trova semplicemente in questa vita.  Ma allo stesso tempo, la vita che verrà non è remota; inizia qui. È cominciata con il nostro battesimo.
Abbiamo cominciato a vivere ora come se fosse allora, per così dire, con la nostra identificazione battesimale a Cristo, il Signore risorto e glorificato, al cui Corpo siamo stati associati per grazia e la cui gloria siamo chiamati a manifestare in questo ordine temporale, qui e ora, attraverso la carità che è la sua stessa opera in noi e attraverso di noi. Ma l’epoca che verrà, pur irrompendo nel nostro ordine decaduto dalla gloria del Signore risorto manifestata nella sua Chiesa, non è ancora pienamente realizzata nel qui ed ora. Dobbiamo ancora lottare contro il peccato, la malattia, la sofferenza e la morte.
Sappiamo che la malattia e la morte, come il peccato che ci infetta tutti, sono nemici del Signore Gesù. Esprimiamo anche, nella nostra fede e nel nostro culto pasquale, che Egli le ha conquistate. Pur condividendo già, qui e ora, questa vittoria, sappiamo anche che la piena esperienza di questa vittoria non sarà raggiunta in questa vita. Siamo fatti, per grazia, per qualcosa di più di questa vita.
Come ricordava Agostino ai suoi contemporanei stressati e confusi: “La felicità reale e duratura è il possesso distinto di coloro che adorano quel Dio da cui solo può essere conferito”.  Mentre ci prepariamo ad entrare nella settimana più santa dell’anno, ognuno di noi riconosca e si penta dei suoi peccati, cresca nella carità e nella speranza, ci si rinforzi a vicenda, e si raggiungano in ogni modo possibile coloro che sono più feriti e colpiti da questo flagello attuale. E così facendo manifestiamo la vittoria e la gloria, anche qui e ora, del Signore Gesù risorto.
Di Sabino Paciolla