Prepariamoci alla battaglia / 1
Benedici la mia anima, ho m Ino, e tutto ciò che è in me benedica il suo santo nome. Benedici il Signore, anima mia, e non dimenticare tutti i suoi benefici (Sal 102: 1-2).
«Benedici il Signore, anima mia, e quanto è in me benedica il suo santo nome. Benedici il Signore, anima mia, e non dimenticare nessuno dei suoi benefici». La mancanza di gratitudine è un peccato tipico dei pagani, come rileva san Paolo: «Pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno glorificato né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro pensieri e il loro cuore insipiente si è oscurato» (Rm 1, 21).
Ogni uomo, con la retta ragione, può riconoscere l’esistenza del Creatore a partire dalle Sue opere, come l’Apostolo afferma immediatamente prima e il Concilio Vaticano I sancisce come dogma (cf. DS 3026). Non si tratta però di un’acquisizione meramente intellettuale, bensì di una cognizione che spinge l’essere umano a rendere all’Altissimo la gloria e la riconoscenza che Gli sono dovute, come è sempre avvenuto in ogni civiltà, a tutte le latitudini. Una società che viva come se Dio non fosse è una realtà contro natura, in quanto contraria a ciò che l’uomo è nella sua stessa costituzione di creatura pensante e libera.
Diversi fattori convergenti hanno condotto l’umanità di oggi – almeno quella parte di essa che è dominata dalla “cultura” occidentale – nel vicolo cieco del materialismo assoluto e dell’ateismo pratico. Sul versante profano, secoli di antropocentrismo hanno ripiegato le persone su sé stesse, togliendo il Cielo dal loro sguardo e sprofondandole nel buio della pura immanenza. Dall’Umanesimo alla psicanalisi e all’esistenzialismo, il filo rosso della gnosi attraversa tutto il pensiero moderno e contemporaneo, per sfociare infine nel nichilismo: il faber fortunae suae, smarritosi nei meandri di un presunto inconscio, ha sperimentato la mutazione dell’orgoglio satanico in angoscia esistenziale. Avendo rigettato il significato e la finalità della sua presenza nel mondo già contenuti nel suo essere creaturale, s’è dapprima inutilmente affannato in una superflua ricerca di senso; poi, stremato dal proprio autoavvitamento, s’è gettato in un ossessivo inseguimento del piacere fisico e del godimento sensuale, quasi a voler esorcizzare la vertigine del nulla.
Sul versante religioso, la cosiddetta riforma liturgica ha inventato di sana pianta un nuovo “culto”, rivolto non più a Dio (come sarebbe logico), ma all’uomo. Anziché combattere il pensiero moderno, intrinsecamente anticristico, la gerarchia cattolica gli ha spalancato le porte del santuario come quelle dei cuori, lanciandosi in una stolida gara di assimilazione al mondo. Anche qui un’assurda mania antropocentrica ha prodotto – cosa ben più grave – un atteggiamento generalizzato di egocentrismo spirituale che ignora completamente la gratitudine verso Colui al quale dobbiamo tutto e considera ogni Suo dono qualcosa di scontato, mentre di obblighi e doveri non si vuole neppure sentir parlare. Ormai il cattolico medio non si distingue più da chi non ha la fede se non per le pretese puerili che avanza nei confronti di una divinità immaginaria, la quale non è altro che una proiezione del suo io immaturo: volubile, capriccioso, sempre pronto a recriminare e a piangersi addosso, insaziabile di coccole e perennemente a caccia di conferme.
La trasformazione della Messa l’ha assimilata ad una preghiera privata, visto che tutto il peso, di fatto, è stato spostato sulla partecipazione attiva dei fedeli, o – come dicono – dell’assemblea celebrante. Il ruolo del sacerdote è stato praticamente eclissato e, con esso, anche quello di Cristo, vero soggetto di ogni azione liturgica che opera mediante il ministro ordinato. Di conseguenza, l’efficacia oggettiva del culto cattolico, pur permanendo ancora sul piano della validità, si è persa nella coscienza di quanti vi prendono parte, i quali son convinti di doverla produrre con il proprio coinvolgimento soggettivo. Il divino Sacrificio è stato sostituito, nella mente dei più, chierici e laici, da una riunione fraterna la cui riuscita dipende dall’iniziativa di quanti la “animano” e dalla collaborazione di chi vi partecipa. Dato che, spesso, le prestazioni richieste (specie quelle canore) non sono alla portata di chiunque, il rito si risolve in uno spettacolino cui si assiste in modo del tutto passivo, con la sola gratificazione di attori e cantanti e la frustrata impazienza di chi ne subisce l’esibizione.
Chi riscopre la Messa tradizionale comincia non solo a rendersi conto di questa misera contraffazione, ma anche a cogliere il valore intrinseco di atti e parole che non vengono improvvisati ogni volta né sono stati escogitati di fresco, ma possiedono una forza e un significato intramontabili perché stabiliti da Dio stesso con la mediazione della Tradizione ecclesiastica. Anziché aver bisogno, per risultare efficaci, del puntello dell’adesione emotiva, sono essi a plasmare l’interiorità del sacerdote e dei fedeli quasi senza che se ne accorgano. I testi biblici, nel maschio vigore della Vulgata, e quelli eucologici, nella matematica essenzialità del latino liturgico, strutturano la mente e il cuore sul fondamento della verità rivelata e della secolare risposta della Chiesa romana. Senza affatto escludere le ricchezze (alle quali si può sempre attingere per la propria formazione spirituale) dei riti orientali né quelle di altri riti occidentali, come quello ambrosiano, intendo semplicemente evidenziare l’abisso tra il patrimonio consegnatoci dalle origini cristiane e il patchwork imbastito per compiacere, oltre ai protestanti, un uomo contemporaneo creato ad arte.
Il culto cattolico, pur essendosi sviluppato organicamente, così come la dottrina, è in sé perfetto in quanto istituito dal Figlio di Dio fatto uomo, il quale ne è pure l’agente principale, cosa che lo rende incomparabilmente superiore alla religione naturale e a qualsiasi altra espressione rituale. I battezzati vi si associano in virtù della vera conoscenza della Divinità, loro conferita dalla fede, e della propria incorporazione a Cristo, unico Mediatore. Il Suo sacrificio ha un valore infinito e un’efficacia senza limiti, poiché è una Persona divina incarnata che si offre al Padre per noi. Esso non a nulla a che fare con i sacrifici umani praticati dai pagani, che la Bibbia condanna severamente in quanto non voluti da Dio, ma offerti a demoni; la morte di Gesù in croce se ne distingue radicalmente per il carattere tutto volontario di un atto sommamente libero di amorevole obbedienza, che prolunga e compie nel tempo il movimento eterno di autodonazione del Figlio al Padre nello Spirito Santo. Ben a ragione i nostri fratelli d’Oriente parlano del cielo disceso sulla terra: la Trinità è venuta ad abitare tra di noi per risucchiarci nel vortice di carità che La costituisce.
Quale arroganza nel pretendere di aggiornare questo tesoro divino, anziché fare del proprio meglio per educarvi i fedeli in vista della santità! Un “cristianesimo” a buon mercato non dice più nulla a nessuno, ma ha abbandonato gli uomini alla deriva del consumismo edonistico, che ne ha trasformato l’esistenza in un inferno sulla terra. L’ossessione del piacere senza limiti ha innescato un processo di degradazione disumanizzante: la persona umana, fatta per le gioie del Cielo, s’è ridotta a saziarsi voracemente di cibo destinato ai porci, trovando gusto in ciò che in realtà è ripugnante e schiavizzante (droga, pornografia, perversioni sessuali, pratiche magiche). Ora i registi occulti di tale sovvertimento socio-psicologico, dopo aver affondato l’uomo postmoderno nella cloaca dei godimenti illeciti, gli han di colpo sottratto il gioco che lo teneva occupato per sostituirlo con una paura irrazionale. Storditi e alienati, privi di nerbo e di cervello, incapaci di ragionamento e senso critico, i nostri contemporanei sono ormai totalmente sottomessi alla dittatura che s’è imposta senza che se ne accorgessero, pronti a obbedire senza discutere a qualsiasi ordine, per quanto assurdo.
Pubblicato da Elia
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