Natale con Fulton Sheen / Diventare bambini, ovvero riconoscere la differenza tra la nostra povera vita e quella eterna
Cari amici di Duc in altum, nell’avvicinarsi del Natale vi propongo una meditazione dell’arcivescovo Fulton John Sheen
(1895-1979).
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Il Natale di Cristo, la nascita del Dio-uomo, la festa dei bambini e degli adulti che tornano a esserlo
Il mondo, sempre incline a riconoscere la forza, non riesce mai ad afferrare in pieno il paradosso per cui solo i bambini sanno scoprire la grandezza dell’universo, e solo gli umili di cuore riescono a scoprire la grandezza di Dio. Il mondo non impara questa lezione perché confonde piccolezza con debolezza, l’infanzia con l’infantilismo, e l’umiltà col complesso di inferiorità. Immagina il potere solo in termini di forza fisica, e la sapienza solo in rapporto alla vana cultura dello spirito del giorno. Dimentica che una grande forza morale si può nascondere nella debolezza fisica, così come l’Onnipotenza venne avvolta strettamente nelle fasce; e che la grande saggezza si può trovare nella fede semplice, così come la Mente eterna si trovò nella persona di un Bambino. Ecco la forza, quella forza davanti alla quale tremano gli angeli, la forza cui s’inchinano le stelle, la forza di fronte alla quale persino il trono di Erode tremò di paura. È la forza di quel tremendo Amore divino che tutto affrontò pur di convincerci riguardo alla misura di Dio rispetto a ciò che è veramente grande e alto.
Ma la Sua legge dev’essere la nostra fatica eterna dove Lui si compiacque di cominciare la Sua, vale a dire dal più basso e umile gradino, che è il punto di partenza verso ciò che è più alto e più potente. Come successe che Dio stesso discese fin giù all’infanzia, facendo di essa il primo passo verso il trionfo eterno, così dobbiamo scendere dal nostro orgoglio ignorante al livello di ciò che siamo ai Suoi occhi. “Se non diventerete come i bambini, – Egli ci dice esplicitamente, – non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 18,3).
Diventare bambini significa semplicemente acquistare umiltà, vale a dire rendere chiaro ogni giudizio su noi stessi, riconoscere l’immensa differenza che passa tra la nostra povera vita e quella eterna che ci attende, ammettere la nostra debolezza, la nostra fragilità, le nostre colpe, la meschinità di tutto ciò che oggi facciamo, e insieme la forza e la sapienza che diventeranno nostre, purché siamo abbastanza umili per inginocchiarci davanti a un Bambino adagiato sulla paglia di una mangiatoia, e per confessare che Lui è il nostro Signore, la nostra Vita, il nostro Tutto.
Così la nascita del Dio-Uomo è la festa dei bambini, il giorno in cui gli anni retrocedono e le rughe del volto sono spianate dal tocco di una mano rigeneratrice, nel quale i superbi diventano bambini, i grandi piccoli, e tutti trovano il loro Dio…Chiniamo tutti il capo ed entriamo nella grotta; spogliamoci della sapienza mondana, dell’orgoglio, di ogni apparente superiorità, e di fronte all’insondabile mistero dell’umiliazione del Figlio di Dio, cerchiamo di farci piccoli. In questa veste, avviciniamoci alle ginocchia della più amabile donna del mondo, della donna che, sola tra tutte, è ornata della rosa rossa della maternità e di quella candida della verginità, della donna che, dando alla luce il Signore, divenne la Madre degli uomini; e chiediamole di insegnarci a servire Dio, ad amarlo e a pregarlo.
E dopo avere chiesto a Maria che ci insegni a pregare, ci rivolgeremo a Gesù, e se non abbiamo perduto quella nostra parte d’infanzia che sola ci può far scoprire i segreti dell’Infinito, Gli rivolgeremo una delle domande più importanti del mondo. Non gli chiederemo di svelarci i misteri dell’atomo, né vorremo sapere se lo spazio è curvo, o se la luce è un’onda, ma Gli chiederemo ciò che prova il re del cielo a vivere come un bambino su questa nostra povera terra. Se saremo ancora piccoli abbastanza per fare tutto questo intorno a un Presepio dove frusciarono e rombarono “inimmaginabili ali intorno a una incredibile stella”, allora sapremo scoprire l’Infinito; se saremo abbastanza umili per andare da Colui che non possiede una casa, troveremo la nostra casa; se saremo abbastanza semplici per diventare bambini, rinascendo nonostante i molti anni d’età, allora scopriremo la Vita che resiste quando il tempo ha finito di esistere.
Per alcuni Egli viene quando il loro cuore non contiene alcun attaccamento terreno; per altri viene quando il corpo avido esprime l’avidità dello spirito: per altri quando la gioia li avvolge nel suo abbraccio esclusivo; per altri quando il mondo, usato come un bastone per sorreggersi, ha ferito le loro mani; per altri viene soltanto quando hanno le guance bagnate di lacrime, perché Lui le asciughi. Ma per tutti e per ciascuno Egli viene con la dolcezza delle sue vie: Lui stesso, il Cristo; nella Messa del Cristo; nel Natale.
Fulton J. Sheen
Edizioni Fede e Cultura
ANCHE NOI DAVANTI ALLA MANGIATOIA CON FEDE E UMILTÀ. Auguri natalizi con Fulton Sheen.
Ho terminato da poco la meditazione del volume “L’uomo di Galilea – Una storia di Gesù, unico salvatore del mondo” (Fede & Cultura VEDI QUI) scritto dal Servo di Dio John Fulton Sheen (1895-1979), arcivescovo statunitense e predicatore di fama internazionale.
Vorrei utilizzare alcuni stralci di questo testo per formulare i miei auguri a tutti gli amici dell’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân, prendendo in prestito una riflessione che riguarda la nascita del nostro Salvatore, Gesù Cristo.
L’evento che ha cambiato la storia dell’uomo e dell’universo si svolge in un angolo remoto della terra, in una grotta fredda e umida. Il Re dei Re viene alla luce a Betlemme nella più misera delle sistemazioni, accudito da Maria Vergine e Madre e da Giuseppe suo sposo.
Chi sono coloro che hanno il privilegio di poter contemplare, primi fra gli uomini, “Il Verbo [che] si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”[1]? I pastori e i Magi.
I primi sono “…anime semplici che nulla sapevano della politica del mondo, nulla di arte o di letteratura”[2]. Molto probabilmente sono degli analfabeti mai andati a scuola perché impegnati nel loro umile lavoro per avere il sudato pane quotidiano. Non sono fini teologi capaci di disquisizioni ardite o ricche di riferimenti alla Sacra scrittura. Nella loro piccolezza hanno però il dono della fede: “… riconoscevano l’esistenza di Dio sopra di loro e delle pecore ai loro piedi. … E prendendo una delle cose che conoscevano, un agnellino, lo portarono con loro e lo deposero ai piedi della sola altra cosa che non ignorassero: il Dio dei cieli…”[3]. Sanno di non sapere ma allo stesso tempo la fede li conduce alla grotta davanti a Colui che è sapienza infinita.
Dopo i pastori arrivano tre strane figure, sembrano degli stranieri: sono i Magi che “… non erano re, ma maestri di re; non dilettanti del sapere, ma scrutatori dei cieli e scopritori di stelle”[4]. Si potrebbe pensare che, dopo i miserabili, sia il turno dei nobili e degli uomini di cultura. In realtà, non la loro cultura e nemmeno i loro soldi li hanno portati a Betlemme. Figuriamoci se nelle vicinanze non vi fossero uomini dediti allo studio o fini aristocratici! I Magi non sono giunti a Betlemme in quanto ricchi di nozioni o di denaro! Anch’essi sono giunti alla grotta grazie alla loro fede: “Costoro videro soltanto una stella e intuirono la presenza di un Dio. Per l’uomo superbo la stella non è che una stella; ma per il sapiente la stella è opera delle mani di Dio, è manifestazione e rivelazione di qualche cosa che la trascende”[5]. Il loro studiare non è orientato alla superbia o alla vanagloria, non cercano riconoscimenti nei grandi consessi. La loro intelligenza è a servizio della Verità per la ricerca della Verità: sanno che il loro sapere ha un senso solamente grazie alla loro fede. Per questo possono davvero essere chiamati sapienti.
Davanti alla grotta di Betlemme arrivano quindi solamente due gruppi di persone, i pastori ed i Magi, entrambi caratterizzati da una profonda fede e dalla forte umiltà.
Anche noi, quando ci inginocchieremo davanti alla mangiatoia nella notte di Natale, chiediamo il dono delle fede che illumini la nostra vita. Porteremo in offerta ciò che siamo, con le nostre fragilità e le nostre miserie, ma anche con la consapevolezza della nostra unicità e della nostra indispensabilità per la realizzazione del Regno dei Cieli che invochiamo ogni volta che recitiamo il Padre Nostro. Chiediamo la grazia di essere umili pastori pronti ad ascoltare ed accogliere la Sua parola senza troppe domande o riflessioni: come i pastori serviamo e dedichiamoci alla nostra vocazione senza paura e senza esitazioni.
Chiediamo la grazia di essere come i sapienti Magi che interrogano la loro intelligenza, illuminata dalla fede, per entrare sempre di più nella Sua parola: come i Magi seguiamo la stella senza esitazioni per cercare quella Verità che ci chiama e ci scuote.
Allora sì che nella grotta di Betlemme ci saremo anche noi, insieme alla Sacra famiglia, al bue l’asinello, agli umili pastori e ai sapienti magi e ci accorgeremo di non essere in una semplice grotta: “I pastori e i Magi erano abbastanza umili per volersi inchinare, e dopo che si furono abbassati, scoprirono di non essere affatto in una grotta, bensì in un mondo nuovo in cui si trovava una meravigliosa donna, alla quale il sole incoronava la fronte e la luna faceva da sgabello ai piedi, che reggeva tra le braccia il Bambino le cui minuscole dita sorreggono la terra intera che ci ospita”.[6]
Luca Pingani
Vicedirettore dell’Osservatorio
[1] Giovanni 1, 14.
[2] J. F. Sheen. L’uomo di Galilea. Una storia di Gesù, unico Salvatore del mondo,. Fede & Cultura, Verona 2020, p. 16.
[3] Ibidem.
[4] Ivi, p. 17.
[5] Ibidem.
[6] Ivi, p. 19.
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