Pastore, pecore, gregge

Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto (Rm 12,2)

Con queste parole l’apostolo Paolo invita i cristiani a distinguersi dal mondo nella mentalità e nello stile di vita.

C’è infatti un gregge al quale i cristiani fanno parte: è il gregge guidato dal Buon Pastore, Gesù Cristo, che conosce bene le sue pecore, le porta su pascoli erbosi per farle riposare, le disseta ai torrenti d’acqua (sal 21) e porta gli agnellini sul suo petto. Il Buon Pastore, se vede una pecora allontanarsi dal gregge, va in cerca di quella pecora smarrita, lasciando il gregge e se la carica sulle spalle per riportarla nel gregge (Gv. 10). Questo è il gregge che porta alla Vita. Ma c’è un gregge di morte guidato da un altro pastore, il Principe di questo mondo. “Egli è un mercenario e non gli importa delle pecore”. È da questo gregge che l’Apostolo chiede di separarsi, di distinguersi e di fuggire, perché non conduce alla vita ma alla morte.

Viviamo tempi di incertezza e di confusione. Nel disorientamento generale sono molti coloro che si lasciano attrarre dal cattivo Pastore del Mondo che raccoglie pecore per il suo gregge. Le conduce con estrema cura, illudendole di portarle alla vita ma le distrae e le inganna mentre le conduce al macello.

Se per molti anni, per decenni, si è ripetuto il mantra della ribellione e della dissidenza contro il sistema (vedansi gli slogan del sessantotto, dei movimenti anarchici che tanto successo hanno avuto tra i giovani delle ultime generazioni e dell’autodeterminazione come vessillo di libertà), oggi invece veniamo spinti al conformismo e alla docilità al sistema, a quella obbedienza che fino a poco tempo aveva il sapore di un giogo antico e superato nel nome della libertà. Oggi ogni tipo di reazione, di libera espressione del proprio pensiero, di protesta pubblica nei confronti di ciò che è stabilito come giusto e vero, viene considerata dissidenza da silenziare, meritevole di castigo o di punizioni esemplari.

La caccia alle cosiddette “fake news” o il cosiddetto “fact checking” volto a verificare la veridicità di alcune affermazioni non allineate al sistema unico di pensiero, mentre si presenta come un sistema volto a garantire la correttezza dell’informazione non è altro che il tentativo di instaurare un regime di pensiero che elevi le opinioni del Pastore del Mondo e dei suoi “cani” gregari a verità non negoziabili, mentre assegna l’infame marchio di falsità alle opinioni contrarie.

Un regime gentile, quello del pensiero unico, che non accetta contraddittorio e che si pone come obbiettivo quello di plasmare le coscienze fin dalla più giovane età. Non è un caso che i grandi organismi sovranazionali e i governi di tutto il mondo si pongano come obbiettivo immediato quello di mettere le mani sulla scuola, uniformando il sistema educativo e impedendo ogni forma alternativa al sistema statale (scuole private, paritarie, confessionali o parentali). Le scuole sono il primo laboratorio per la diffusione e l’inculcamento delle verità considerate tali da chi detiene il potere. Ecco dunque entrare nei programmi obbligatori l’ecologismo, una antropologia liquida che inculchi i principi delle teorie di genere (omo-transessualismo, transizioni e cambi di sesso, genere percepito) con giornate dedicate al tema, un’educazione sessuale asettica che prevede l’uso meccanico e strumentale del sesso (tecniche contracettive, aborto…), assieme a nozioni di politica volte a demonizzare gli avversari del sistema (tema sensibile sul quale ancora non si parla apertamente ma che molto ha a che vedere con le cosiddette giornate per la memoria troppo spesso strumentalizzate per scopi politici anche nelle scuole).

Il tentativo di fare degli uomini liberi, un gregge composto e mansueto sta dando ottimi risultati. Lo si tocca con mano in questi giorni (ma è solo un esempio e ne presenteremo altri) in cui il mondo attende il risultato delle elezioni presidenziali americane in un contesto di estrema polarizzazione, dove si scontrano i due candidati più votati della storia degli Stati Uniti d’America. Ma è chiaro che il presidente uscente Donald Trump non gode dell’appoggio del sistema unico di pensiero (e neanche della Chiesa Cattolica, ma di questo forse parleremo in un altro momento). Dal momento del suo insediamento Trump, eletto democraticamente dai suoi connazionali, ha dovuto remare contro i media – voce del Pastore che, assoldati alla dittatura del pensiero del Mondo – che hanno contribuito in maniera decisiva a diffondere una narrazione negativa del presidente americano. Ogni sua decisione, ogni apparizione pubblica o privata, ogni frase detta o scritta, è stata utilizzata per diffondere l’immagine di un uomo cattivo, arrogante, estremista, fascista, guerrafondaio, litigioso, spocchioso, misogino, donnaiolo, volgare, imprudente, ignorante, demente, vizioso, violento, incostante, incapace, vendicativo, autoritario, megalomane…

Una caricatura grottesca spesso lontana dalla verità che ignora e nasconde volutamente ciò che di buono è stato fatto in questi anni di presidenza repubblicana: dall’incredibile sviluppo economico (visibile anche nell’elevato tasso di occupazione), ai trattati di pace che meriterebbero un Nobel più di quanto no lo abbia meritato il predecessore Obama (capace di destabilizzare l’Oriente senza che nessuno trovasse il coraggio di ammetterlo). Per non parlare del suo impegno per la difesa della vita: l’odiato Trump è stato il primo presidente americano della storia a partecipare alla Marcia per la Vita (con un discorso che meriterebbe le prime pagine dei giornali cosiddetti cattolici) e a tagliare i finanziamenti statali alla fabbrica di morte che è la Planned Parenthood, la multinazionale dell’aborto che grazie al presidente Bill Clinton riceveva circa 50 milioni di dollari l’anno da investire nella pianificazione familiare e nel business dell’aborto.

Tutto questo non si può dire perché da anni i media  di tutto il mondo ripetono senza sosta quanto Trump sia antidemocratico e razzista nel pensiero e nei metodi, senza risparmiare accuse personali che, per qualsiasi altro capo di stato, sarebbero considerate irrispettose e grottesche.

È il belato del gregge che obbedisce mansueto al padrone/pastore del mondo, che chiama tutti a raccolta e indica nel vecchio Biden (“zio buono d’America”, come è stato definito da Avvenire) un segno messianico, per il passaggio dal buio alla luce, per l’avvento di un nuovo mondo democratico, un mondo pieno di libertà, più ecologico e dunque ricco di pascoli per il sollazzo del gregge docile e sottomesso. 

di Miguel Cuartero Samperi

https://www.sabinopaciolla.com/il-belato-del-gregge-e-il-pastore-del-mondo-1/

Ritratto di un paese spaventato e incattivito



Che brutto ritratto di famiglia ci lascia l’Italia del 2020: metà impaurita e metà incattivita. E a volte, come i serpenti di Laocoonte, la paura e la cattiveria s’intrecciano, fino a strozzarci. Alla fine è questa l’eredità che ci lascia l’anno morente: tanta paura e altrettanta cattiveria. La cattività a cui ci ha costretto la pandemia ha esacerbato la cattiveria che già serpeggiava nel Paese, soprattutto nei social; e il timore del virus ha ingigantito la paura del prossimo, del futuro, del male. Tra rancore e terrore finisce l’anno peggiore del terzo millennio e della nostra vita pubblica dal dopoguerra a oggi. Il ritratto complessivo più veritiero l’ha fatto il Rapporto di fine anno del Censis che coglie gli umori sotterranei della nostra società. Il Censis non fotografa i dati ma gli stati d’animo dei singoli e dei gruppi, è una specie di Istat dell’anima del popolo italiano, un istituto di sondaggi metafisici e psicologici che lavora su algoritmi trascendentali; non sono le cifre indicate ma le tendenze che evidenzia a delineare un ritratto credibile degli italiani, seduti, accasciati e sdraiati. A Re Odio e a Regina Paura avevamo riconosciuto nei mesi scorsi la sovranità dell’Italia. Il Censis ora lo conferma.

A conclusione dell’anno orribile della pandemia proviamo a riflettere a freddo su quel ritratto e a trarre qualche insegnamento. Il primo messaggio che si deduce è che la gente, seppur maledicendo e recalcitrando, alla fine preferisce la sicurezza alla libertà, cede cioè i diritti in cambio di protezione. Regressione allo stadio animale, ma animali feriti e braccati. E spaventati. La gente è disposta alla sudditanza interna e internazionale, ai diktat sanitari, pur di salvare la pelle. O meglio l’italiano medio cerca un riparo, insegue una sicurezza che non ha e che non sente garantita da nessuna parte; ma nel nome della protezione è disposta a sacrificare la libertà, la vita, il lavoro, la sovranità, la felicità. La salute è l’imperativo assoluto che prende il posto della salvezza religiosa. Nel linguaggio dei nostri padri si chiamavano “salus” ambedue.

L’italiano non ripone speranza in figure specifiche, ha perso la fiducia in un capo carismatico, provvidenziale o protettivo; si inchina solo alla Paura. Lo spavento non spinge alla risposta comunitaria e al fronte comune ma al ripiegamento individuale o microtribale, incattivito dalla diffidenza verso il prossimo, la sua incoscienza e la sua prossimità.

Anche il nemico non è assoluto, come lo erano fino a poco tempo fa il razzista nostrano o il migrante clandestino per due fette contrapposte della popolazione. Ma il nemico di ieri oggi lo è relativamente al virus: da una parte il nemico è colui che nega il virus e dunque aiuta la sua propagazione, secondo la lettura canonica, di stato; dall’altra il nemico è colui che usa il virus per imporci altro, limitazione della libertà, manipolazione e consenso coatto, farmaci e vaccini, chiusure e miseria. Entrambi i nemici relativi vengono accusati di “intelligenza” col nemico assoluto, il covid. La fiducia nelle istituzioni resta bassa: per il Censis la fiducia verso l’Europa e le sue istituzioni è nutrita da meno d’un terzo della popolazione. E probabilmente non dissimile è la fiducia verso il governo in carica, su cui si preferisce glissare. Ma la paura induce alla fine ad accettare le prescrizioni sulle mascherine, fino a chiedere a larga maggioranza punizioni severe per chi non le indossa o per chi viola le misure restrittive. Ancora una volta paura e cattiveria s’intrecciano. Magari gli stessi che hanno giudicato gli altri severamente e auspicano esemplari punizioni, a loro volta non sono ligi alle prescrizioni: ma si è sempre indulgenti con se stessi, si ha sempre un alibi, si condannano gli altri per rifarsi una coscienza e passare dall’altra parte del banco. Ma un’opinione non è la garanzia di un comportamento…

La paura gioca anche un altro scherzo: risale ma, con meno fiducia di trovarlo, il sogno di un posto fisso e scende invece la voglia di cimentarsi in un’attività imprenditoriale. Nel dubbio aumentano i risparmi, seppure col terrore di patrimoniali e prelievi forzosi, magari al grido di “l’Europa ce lo chiede”.

Il discorso si fa spinoso quando dalle viscere profonde della nostra società risale un’ombra che non vedevamo da tempo: quasi la metà degli italiani è favorevole a reintrodurre la pena di morte. Con una leggera e sorprendente inclinazione dei giovani più degli anziani a favore della pena di morte. Nei decenni passati il tema della pena di morte aveva un andamento emozionale: dopo aver visto un’esecuzione negli Usa o un film sul tema, l’opinione pubblica favorevole calava; viceversa dopo un crimine particolarmente efferato, la percentuale saliva. Ai tempi del terrorismo era alta. Oggi quali sono i fattori che fanno risalire la richiesta di pena di morte? I femminicidi, i crimini contro l’ambiente e la salute pubblica quasi scavalcano le richieste di pena capitale per i “consueti” orrori (stragi di terroristi, crimini di pedofili, ecc.). Temi più da “progressisti” che da conservatori o reazionari. Difficile distinguere tra sete di giustizia e sete di vendetta, tra assunzione di responsabilità fino in fondo o esplosione d’odio e rancore canalizzata verso alcune figure-tipo.

La domanda che resta aperta ma necessaria è una: riusciremo col tempo a governare la paura e l’incattivimento, riusciremo a non farci imprigionare da essi ma a controllarli, frenarli e perfino a trasformarli da pessimi vizi in stimolatori di virtù? Al momento non si intravedono energie vitali e reagenti per compiere l’alchimia prodigiosa di trasformare un veleno in farmaco. Così restiamo seduti, accasciati, sdraiati.

MV, Panorama n.51 (2020)

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