ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 9 gennaio 2021

La misura dei tempi che ci aspettano

Sì, è stata una psy-op. E sì, non serve a niente scoprirlo.

Nell’attimo fatale in cui il poliziotto del Campidoglio sparava il colpo mortale contro la giovane ex soldatessa dell’Air Force Ashli Babbitt freddandola, c’era uno che ha ripreso l’agghiacciante scena, praticamente da dietro la vittime. Ma non era un simpatizzante per Trump, ma dell’opposto estremismo: si tratta di John Earle Sullivan, un fondatore di un movimento di estrema sinistra Insurgence Usa, già noto alla polizia perché nel luglio scorso era stato arrestato per violenza e minacce(con pistola) a gente di destra e a conducenti di bus a Povo, cittadina dello Utah, dove abita.

Cosa ci faceva a Washington e all’interno del Campidoglio mercoledì, un anti-trumpiano pregiudicato di sinistra estrema? Uno per di più residente nel lontanissimo Utah? Il che magari porrebbe la domanda: chi gli ha pagato viaggio, biglietto, e spese, visto che i manifestanti in Usa non hanno sindacati tipo CGIL che pagano il trasporto e pranzo al sacco a tutti quando vogliono riempire piazza del Popolo? No, in Usa, chi si muove per una manifestazione lo fa a sue spese, e accettando di perdere addirittura una o due giornate di paga; infatti i simpatizzanti per Donald erano arrivati lì con le loro auto, stracariche di amici e di provviste sacchi a pelo, per risparmiare l’albergo.

Domande che al cineasta non hanno fatto né la CNN né il Daily Mail quando l’hanno intervistato perché è divenuto famoso. E non solo: non hanno sottolineato la militanza di sinistra rivoluzionaria di Sullivan, né hanno insistito troppo a domandargli perché era lì fra i trumpiani proprio lui. Al Mail , Sullivan ha detto che “non era al Campidoglio come parte della protesta, ma non ha specificato cosa lo ha portato esattamente lìE i giornalisti, pieni di tatto, non hanno insistito.

Sicché questo è uno dei grossi indizi che fanno sospettare a un false flag mediatico-politico, con l’irruzione dei manifestanti nel “tempio della democrazia” accuratamente pianificata e con infiltrati spediti e pagati per creare incidenti da attribuire ai militanti pro-Trump.

Tutto quel che riguarda Sullivan e il suo estremismo violento di destra e la sua fedina penale, è stato scoperto e diffuso sul web dai militanti di Trump, che hanno strillato giustamente “Media Blackhout!” Ma è forse una novità? I media sono stati tutti, con faziosità e un odio sbavante senza precedenti e professionalmente vergognosi, fino alla diffamazione e la calunnia, contro il vecchio dal ciuffo arancione.

Detto questo, per i lettori appassionati aggiungo: la scoperta del probabile false flag o incidente provocato non conta nulla. Ha valore politico zero, se non si verificano due condizioni

  • se ad elevarla formalmente non è direttamente Donald Trump o i suoi avvocati;
  • Se non si dispone di media mainstream, queste informazioni non arrivano al pubblico, e restano confinate alla minoranza di militanti sul web., come pettegolezzo facilmente screditabile. Questi media hanno dimostrato di nascondere informazioni molto più gravi su Biden, il suo figlio ammanicato pagato in mazzette dai cinesi e da miliardari ucraini, sugli scandali e i delitti di cui gronda la famiglia Clinton, sulla parte di Obama nei brogli. Figurarsi se scavano sulla presenza del compagno Sullivan… Anzi, adesso stanno facendo vincere la tesi che tutte queste cose sono calunnie deliranti senza fondamento alcuno, nate dai negazionisti sovranisti malsani di QAnon, da identificare e perseguire.

Io dico che hanno ragione i media. Queste sono voci, se non diventano accuse formali della presidenza uscente. Trump è riuscito a strappare una disfatta epocale dalle fauci della vittoria.

Dall’accaduto possiamo ricavare alcune lezioni, se ci sarà un’altra occasione (di cui dubito: in politica il kairos non ritorna).

Trump che di fatto non ha governato – è stato bloccato dalla minaccia impeachment basata sull’accusa di essere una pedina di Putin – ha parlato (via tweet) in modo tale da radicalizzare il Nemico, che si è reso più forte e più deciso a liquidare per sempre ogni “populismo” onde garantirsi di non perdere mai più il potere – dato che ha non solo enormi interessi, ma ripugnanti scheletri in tutti gli armadi, storie che non devono assolutamente emergere.

E’ lo stesso errore commesso da Salvini in versione sovranista, e dai suoi benintenzionati esponenti alla Borghi che ingenuamente hanno provocato coi loro propositi verbali di uscita dall’euro, il terrore-odio della cosca di Bruxelles: è da quel momento che il potere “europeista” s’è arroccato, è diventato integralmente totalitario.


    

https://www.maurizioblondet.it/si-e-stata-una-psy-op-e-si-non-serve-a-niente-scoprirlo/

Le Vergognose Bugie dei Mass Media sul 6 Gennaio. Un Testimone Racconta.

9 Gennaio 2021 Pubblicato da  1 Commento

 

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, gli attacchi alla libertà di informazione e lo sforzo di propalare menzogne da parte dei mass media collegati al gruppo di potere progressista, negli USA e nel nostro Paese, sono in un crescendo pauroso. Per questo motivo ci sembra importante condividere con voi un’intervista video che Riccardo Cascioli, direttore de La Nuova Bussola Quotidiana ha fatto con un professore della Saint John University, John Rao. Che era presente nella folla del 6 gennaio a Washington. Abbiamo trascritto alcuni brani della sua intervista, che vi raccomandiamo di ascoltare per intero.

“Non ero mai in una folla così grande come quel giorno là, più che altro famiglie intere, gente normale, molti cinesi americani, terrorizzati da quello che è successo in Cina, e non vogliono vedere aumentare l’influenza cinese in USA. Cattolici, Protestanti, Ebrei ortodossi. Rudy Giuliani e Trump hanno parlato, e Trump ha detto nel suo discorso, la maggior parte l’elenco di tutte le frodi. Alla fine ha detto di andare verso Capitol per fare vedere ai Congressmen che ci sono tanti americani che non hanno più fiducia nelle istituzioni. mai un invito a entrare, ma solo a fare presenza.

Dopo un’esplosione di gas lacrimogeno, e ho visto la polizia aprire la barricata, per far entrare la gente. Una folla continua che saliva là. Da quel punto non posso dire esattamente quello che è successo, ma ho sentito i telefoni della gente intorno a me, e visto un video di nostre amiche che cercavano di tirare giù dalle finestre membri di antifa che si erano mischiati alla folla. Persone private hanno messo video sul web.

Antifa: persone hanno scoperto e messo su Internet i messaggi spediti dai loro capi per spiegare che cosa fare per entrare nella folla e sfruttarla ai loro scopi”.

§§§

Ci sono in questa storia due elementi, almeno, da sottolineare. Il primo: come afferma il prof. Rao, è evidente l’infiltrazione di provocatori professionali, come appunto gli antifa, che hanno messo a ferro e fuoco le città americane nei mesi scorsi, collegati e protetti dai progressisti americani e non, nell’assalto. La fotografia pubblicata qui sopra ne è un esempio. D’altronde chi ha esperienza, come chi scrive, delle manifestazioni di piazza degli anni ’60 e ’70 sa benissimo che il rischio di infiltrazioni violente era ben presente. C’era sempre qualche gruppetto particolarmente “duro” che cercava di prendere la testa del corteo per portare allo scontro. E non a caso esisteva, nelle manifestazioni più organizzate, il servizio d’ordine che aveva esattamente il compito di espellere e tenere sotto controllo i provocatori e gli infiltrati. Gli Antifa e i loro burattinai hanno imparato bene la lezione.

Il secondo elemento è il modo vergognoso in cui i media mainstream, Negli USA e da noi, che rispondono evidentemente – ma non è novità – a gruppi di potere e di pensiero progressisti-globalisti-Nuovo Ordine Mondiale hanno ingoiato senza neanche un mezzo bicchiere d’acqua e ripompato immediatamente a pieni polmoni la balla di Trump “golpista”, attribuendogli la responsabilità dell’assalto. E prendendo pretesto da questa menzogna, piuttosto infame, per cercare di metterlo a tacere sui social media.

Da thegatewaypundit abbiamo questa notizia:

“Google ha rimosso Parler dal suo app store poco dopo la notizia che il presidente Donald Trump aveva creato un account sulla piattaforma.

Prima hanno bandito il presidente Trump da Twitter, poi hanno bandito la piattaforma su cui stava cercando di trasferirsi.

Secondo Google Play, oltre cinque milioni di persone avevano già installato l’app Parler su Android.

Sia chiaro, Facebook, Twitter, Tik Tok e Instagram sono stati tutti utilizzati per tracciare e realizzare i massicci attacchi terroristici interni di Black Lives Matter contro le città americane dell’anno scorso. Nessuno di loro è stato penalizzato.

Anche i politici democratici hanno appoggiato, scusato e alimentato i disordini – senza alcuna censura da parte delle piattaforme.

Apple ha anche minacciato di vietare l’applicazione se non rispettano le regole di moderazione entro 24 ore.

Big tech sta ufficialmente muovendo guerra al Presidente degli Stati Uniti e ai suoi sostenitori”.

***

Ma i tentativi di infiltrazione non si limitano alle manifestazioni. Leggete questo messaggio del Presidente di Gab, un’ottima piattaforma libera, soprattutto in inglese, a cui vi consigliamo di iscrivervi in particolare guardando al futuro:

“Nelle ultime settimane ho avvertito apertamente la comunità di Gab di essere alla ricerca di fedposters e di minacce o incoraggiamenti alla violenza su Gab. Questa campagna PSYOP è iniziata all’inizio di dicembre, con i nuovi conti che sono spuntati fuori dal nulla e che fanno minacce di violenza. Abbiamo tolleranza zero per questo comportamento e non si tratta assolutamente di libertà di parola.

Questa è sempre stata la nostra politica. Abbiamo migliaia di volontari, clienti e membri della comunità di lunga data che ci hanno aiutato a calpestare questa campagna PSYOP (Operazioni Psicologiche) nelle ultime settimane e a smascherarla. Dopo questa settimana, è chiaro il motivo per cui è stata avviata questa PSYOP: abbattere le piattaforme alt-tech e inquadrarle per le proteste del 6 gennaio che si sono concluse con l’uccisione di una donna disarmata da parte della polizia.

Quasi subito dopo che la polizia ha permesso ai manifestanti di entrare in Campidoglio, il New York Times ha iniziato a raccontare senza fondamento che questa protesta era stata organizzata su siti alt-tech, e in particolare su Gab, senza offrire alcuna prova, screenshot, nomi utente o prove a sostegno di queste affermazioni senza fondamento. Ho registrato un video che evidenzia come tutto questo si è svolto. Spero che vi prenderete un po’ di tempo per guardarlo e scoprirete come funziona il complesso della CIA Mockingbird Media. Il modo in cui combattiamo è con la verità e dicendo la verità al loro potere, che sta rapidamente svanendo.

Dio vi benedica e Dio benedica l’America

Andrea Torba
CEO, Gab.com”.

Non c’è niente di straordinario che un giornale come il New York Times, da sempre espressione delle élite finanziarie progressiste, massoni e non, partecipi a una campagna di menzogne e diffamazioni; lo stesso accade in Italia per i maggiori quotidiani. Abbiamo letto su uno di essi che il bando di Trump dai social è massima espressione di democrazia! Neanche ai tempi di Stalin e di Pol Pot si poteva leggere senza ridere spazzatura del genere. Ma questo ci dà la misura dei tempi che ci aspettano. Che non saranno né semplici né facili.


Elite contro dimenticati: il dopo Trump è 

già guerra civile

Al di là dell'esito disastroso delle rivendicazioni elettorali di Trump, quello che è successo a Capitol Hill segna la polarizzazione tra una compatta super-élite transnazionale e un “popolo” di ceti medi e operai sempre più emarginato dai processi di globalizzazione. La leadership di Trump si avvia (forse) al tramonto, ma in tutto l'Occidente la contrapposizione tra élite e forgotten people sta montando, e promette di divampare ovunque, come una vera e propria guerra civile globale. 

Una bandiera a terra con la scritta Treason (tradimento)

La prima considerazione da fare sull'assalto al Congresso in cui è sfociata (ad opera di una sparuta minoranza, va detto) la grande manifestazione dei seguaci di Donald Trump a Washington è che si è senza dubbio trattato di un esito disastroso per le rivendicazioni del presidente uscente, e di un clamoroso boomerang che pone molto probabilmente una pietra tombale su qualsiasi sua ambizione di continuare a svolgere un ruolo fondamentale nella politica statunitense e nel Partito repubblicano.

L'esito delle elezioni presidenziali del 3 novembre scorso ha molti lati oscuri, ed è stato contestato veementemente da Trump con non poche ragioni. Ma una volta che la macchina elettorale aveva fatto il suo corso l'unica possibilità per lui di invalidare la vittoria di Biden passava per i ricorsi ai tribunali degli stati e per la Corte suprema. Purtroppo per lui sia gli uni che l'altra hanno scelto di respingere i ricorsi, non entrando nemmeno nel merito. Se si accetta di partecipare ad una competizione elettorale entro una cornice definita di regole ed equilibri istituzionali, in particolar modo negli Stati Uniti dove l'appartenenza nazionale è strettamente legata alla costituzione e alle norme, occorre poi, per continuare ad avere un ruolo nel gioco politico, attenersi agli esiti definiti da quel sistema, pena la perdita della credibilità, anche quando si ritiene, come Trump nel caso in questione, che ci sia la forte probabilità di brogli e irregolarità.

Quello che Trump poteva fare, cioè contestare l'esito elettorale in tutte le sedi debite e tentare di accreditarsi come vincitore reale, o almeno morale, per mantenere intatta e mobilitata la sua base elettorale, lo ha fatto in questi due mesi. Continuare a sostenere di aver vinto e a chiedere l'annullamento quando ogni procedura possibile nelle istituzioni è stata esperita, per giunta mentre una enorme manifestazione a suo sostegno si radunava davanti al Campidoglio, è stato un errore politico gravissimo, che ora offre ai suoi avversari, democratici o anche repubblicani, il facile pretesto per additarlo come un eversore: anche se non ha mai incitato all'insurrezione. E offre al duo Biden/Harris una base di legittimazione finora insperata, anche presso settori di opinione pubblica non simpatetici, per una presidenza che nasceva da una vittoria fragile, risicata e contestata da gran parte del paese.

La presidenza Trump è stata, indubbiamente, il frutto di una stagione di crescente rottura del tessuto politico e sociale statunitense: alla Casa Bianca è arrivato un outsider fuori dalla classe politica di entrambi i due grandi partiti, che ha assunto, al di là dei tradizionali steccati di destra e sinistra, la rappresentanza di una vasta parte del paese che si sentiva esclusa ed estranea rispetto alla classe sociale e politica dominante. E Trump ha saputo interpretare il ruolo di rappresentante dei forgotten people con abilità, mantenendo viva la pressione anti-establishment ma anche inserendo con efficacia la propria politica economica e la propria politica estera nel solco della tradizione repubblicana, sia pur aggiornandola ad un contesto mondiale e interno per molti versi nuovo. Anche nella gestione dell'epidemia di Covid-19, al contrario di quanto affermano molti suoi detrattori, Trump è riuscito a mantenere un equilibrio pragmatico che ha complessivamente contenuto – a confronto di gran parte d'Europa - i danni sanitari, consentendo una rapida ripartenza dell'economia.

Ma proprio i danni economici ed occupazionali della pandemia hanno giocato un ruolo forse determinante nell'impedire la sua rielezione ad un secondo mandato secondo il noto adagio statunitense per cui nessun presidente uscente viene rieletto se il paese è in recessione. E proprio l'emergenza sanitaria ha giustificato l'abnorme estensione del voto anticipato e per posta che ha portato a un vero e proprio snaturamento dell'appuntamento elettorale, a una enorme complicazione degli scrutini e a innumerevoli possibilità di brogli. Un'estensione avversata fortemente dal presidente, timoroso di manipolazioni, ma contro la quale egli non si è battuto con sufficiente determinazione, ponendo le basi per il caos post-elettorale e per le opache circostanze della sua sconfitta.

Per minimizzare i danni e trarre il massimo profitto dalla situazione era ragionevole che Trump, dopo l'esito dei ricorsi, continuasse a sostenere che l'elezione di Biden fosse viziata (come fecero i suoi avversari con lui quattro anni fa, ventilando le famose interferenze russe). Ma egli doveva necessariamente ammettere, nondimeno, che la sconfitta c'era stata, e al massimo poteva proporsi ancora come leader del suo schieramento politico per gli anni a venire. Candidatura più che ragionevole e realistica, dal momento che durante il suo mandato il partito repubblicano ha subìto una trasformazione notevole nel senso da lui impresso: testimoniato nelle elezioni del Congresso dall'evidente maggiore sua presa su ceti medio-bassi e minoranze etniche prima da esso distanti.

Ma il “richiamo della foresta” dell'anti-establishment e dell'anti-deep state è stato più forte, e ha portato Trump a puntare una cifra troppo alta sulla contestazione dei risultati anche a tempo scaduto, chiedendo al Congresso (e al suo vice Pence) la non ratifica dell'elezione di Biden, e di fatto ponendo alle istituzioni del suo paese una sfida potenzialmente rivoluzionaria. In questo modo egli ha sperperato il patrimonio politico che aveva accumulato e fino ad allora conservato. 

Ma questo ci porta al significato non effimero di quello che è accaduto a Washington, e dell'epilogo sostanziale della leadership trumpiana che lì si è consumato. La rabbia esplosa nella manifestazione di protesta di solidarietà al presidente in realtà va letta in prospettiva storica, come peraltro anche le violenze dei BLM. Si tratta di episodi che si inseriscono in una progressiva polarizzazione della dialettica politica americana, in estensione all'intero Occidente, e che è stata ulteriormente infiammata dalle tensioni innescate dalla pandemia e dalle sue ricadute politico-economiche.

E' la polarizzazione sempre più radicale tra una compatta super-élite  transnazionale (borghesia cognitiva, industria hi tech, grande finanza, organizzazioni internazionali, circuito dei media globalizzati) e un “popolo” di ceti medi, operai, marginale e sempre più emarginato dai processi di globalizzazione. Una dicotomia cominciata già con la fine della guerra fredda, e che era stata fotografata esemplarmente nel 1994 da Christopher Lasch nel suo fondamentale volume La ribellione delle élite.

Da allora quella dicotomia si è  andata sempre più approfondendo, man mano che la globalizzazione si rivelava come declino economico occidentale e ascesa della supremazia cinese, e asiatica in generale. Fino ad arrivare allo scontro tra il blocco di potere neo-aristocratico dei Clinton – il cui credo è stato sintetizzato una volta per tutte dall'appellativo di deplorables rivolto da Hillary al tempo della sua candidatura contro chi votava repubblicano – e il dirompente outsider Trump.

Durante il mandato del presidente ora uscente questo scontro si è perpetuato, concretizzandosi in una delegittimazione reciproca tra i rispettivi gruppi dirigenti, e tra le fasce di opinione pubblica corrispondenti. Ora, l'ultimo drammatico atto dell'avventura trumpiana getta nuova benzina sul fuoco. Ma è una benzina che può provocare un incendio perché il combustibile accumulato era già ingente. La leadership di Trump si avvia (forse) al tramonto, ma in tutto l'Occidente la contrapposizione tra nuove super-élite e forgotten people sta montando, e promette di divampare ovunque, come una vera e propria guerra civile globale. Se qualcuno si illude di aver domato, con la ratifica della vittoria di Biden, la rabbia delle centinaia di milioni di deplorables sparsi da una sponda all'altra dell'Atlantico si sbaglia di grosso.

Eugenio Capozzi

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https://lanuovabq.it/it/elite-contro-dimenticati-il-dopo-trump-e-gia-guerra-civile



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