IL CASO DEL GIORNO
Un'arma di distrazione di massa chiamata Fedez
Il Paese è in ginocchio, impoverito dalla pandemia e in prigionia controllata, ma tranquilli: l'emergenza è il Ddl Zan. Così giornali e partiti si inventano il caso Fedez al concerto del Primo Maggio e lo trasformano in un caso di Stato. Un'arma di distrazione di massa per un popolo ormai avvezzo a tutto, un caso di falsa censura, che nasconde il vero bavaglio che si imporrà se verrà approvata la legge sull'omofobia: la libertà la pretende per se stesso, ma non la concederebbe agli altri. Ecco il vero volto dei difensori dei nuovi diritti.
Per tutta la giornata di ieri la notizia del comizio di Fedez al concerto del Primo Maggio è stata in cima a tutti i siti Internet dei grandi giornali. E questo non può non essere un problema almeno per chi pensi di poter usare ancora la ragione. Gli stessi giornali e gli stessi politici che abilmente parlano di pandemia, e regolamentano da 13 mesi la nostra libertà, si sono presi una pausa strategica per distrarci un altro po’ facendo diventare un caso di Stato le esternazioni politiche del cantante, così cantante che il 1° maggio però, per fare notizia, ha usato l’ugola per parlare e non per cantare.
Un comizio becero e infantile contro la Lega a favore del Ddl Zan, infantile e pronunciato con la prepotenza di chi sa di potersi permettere, proprio perché ricco, famoso e dalla parte giusta, di infrangere le regole del dibattito e umiliare i pro life dipingendoli come nemici del popolo. Che cosa c’entra con il concerto che dovrebbe celebrare il lavoro e i lavoratori? Nulla.
C’entra però con il bisogno terribile della Sinistra di portare a casa testimonial gratis per la sua lotta politica che non è più quella dei diritti, ma quella della violenza libertaria e liberticida. E lo fa scegliendo simboli griffati e patinati della ricca, ricchissima Milano da bere, andando a pescare un rapper dismesso ormai campione del politicamente corretto che è così conformista da essere ormai dappertutto, così adatto a tutto e al contrario di tutto al punto da trattare allo stesso modo e con la stessa nonchalance l’eliminazione di Frank Matano da LOL e l’acquisto di scarpe customizzate con simboli satanici.
Il problema non è lui, ma chi gli va dietro e, ahinoi, chi gli va dietro sono i grandi giornali e i partiti politici. Alle 17.14 di ieri il caso Fedez-Rai era ancora in testa su Repubblica, Corriere, La Stampa, Ansa e via andare con tutta la rassegna stampa del giornalismo collettivo. C'è voluta la notizia dello scudetto nerazzuro per aggiornare le home page dei siti e cambiare argomento. Ma nel frattempo Pd e 5 Stelle avevano già fatto tutto quello che dovevano fare, pronti come sono stati a chiedere le dimissioni dei dirigenti Rai mentre Salvini cercava di correre ai ripari condannando le frasi dei leghisti citati da Fedez come fossero mostri neri.
Insomma, la prima domenica di timide riaperture è stata coperta mediaticamente e politicamente da questa arma di distrazione di massa. Del resto, celebrare il lavoro e parlare dei 900mila posti di lavoro persi con la pandemia sarebbe stato sconveniente, titolare sul lavoro che manca ai ristoratori che hanno dovuto chiudere per sempre la saracinesca pareva di cattivo gusto. Parlare della pandemia e di come le politiche di lockdown abbiano impoverito il Paese, giammai! E non si osi proferir parola sul fatto che ancora oggi mandiamo a morire la gente negli ospedali perché non vogliamo curare precocemente il Covid.
Così si prende un tema altamente divisivo come quello del Ddl Zan, ci si inventa una falsa censura e si spara contro il partito odiato. Nel frattempo gli italiani sono invitati a bersi il cocktail di diritti negati e kattivi omofobi. Titoli, commenti, prese di posizione, mea culpa: l’operazione anestesia del popolo italico è servita e stavolta alla Sinistra va bene un guitto tatuato come Fedez, che dice di essere stato censurato quando invece durante il suo monologo dimostra di essere molto libero di dire quello che vuole. A proposito, registrare una telefonata e poi mandarla in onda non è un reato? Invece è lui che grida alla censura e i giornali gli vanno dietro come pecoroni mentre Letta e Conte lo spalleggiano, felici di avere trovato anche ieri un argomento per essere sulle prime pagine dei siti.
Però, la censura che Fedez sostiene di aver subito quando invece gode di tutte le libertà «di poter dire proprio quel cazzo che vuole perché sono un artista» (sono parole sue) non ha niente a che vedere con la censura che si introdurrà quando il Ddl Zan verrà approvato. Quello sarà un bavaglio vero e non ci sarà quel giorno un Fedez pronto a difendere anche i diritti di quei più deboli che dovranno giustificarsi davanti a un giudice perché accusati di aver detto che un bambino ha bisogno di un papà e di una mamma. La libertà che pretende per se stesso non è la stessa che lui, sostenendo una legge liberticida che prevede la rieducazione maoista nei centri Arcigay, concederebbe agli altri. Ecco il vero volto dei difensori dei cosiddetti nuovi diritti.
Andrea Zambrano
https://lanuovabq.it/it/unarma-di-distrazione-di-massa-chiamata-fedez
Sinistra transgender - Il Controcanto - Rassegna stampa del 3 Maggio 2021
Fedez è il nuovo leader della sinistra in difesa del lavoro e degli sfruttati. Il Corriere si batte per la libertà e la democrazia facendo l'elogio del Ministero dell'Interno che manda in giro per poliziotti per multare pericolosi festaioli. In confronto a Fedez Selvaggia Lucarelli- penna di punta del Fatto- sembra Rosa Luxemburg. Su Repubblica si riversano gli umori dell'Europa che chiede "Draghi per sempre". Buon ascolto!
Fedez grida alla censura, ma non è andata così
Nessuna censura è stata fatta, o anche solo tentata, sull'intervento di Fedez al Concertone del Primo maggio: la spiegazione nella legge Mammì
Da sabato pomeriggio una delle parole maggiormente pronunciate sul web ma anche nei discorsi da bar (finalmente riaperti ma solo en plein air) è: censura. La presunta vittima di una presunta scure censoria sarebbe la metà della coppia imperiale dei social network italiana, Fedez dei Ferragnez. Lui e sua moglie gestiscono insieme un impero di oltre 30 milioni di follower sparsi in tutto il mondo grazie alla popolarità di Chiara, acquisita grazie a campagne pubblicitarie massive. Una popolarità tale che ha portato la polemica con la Rai a varcare i confini nazionali, finendo niente meno che sulla BBC, che titola: "Il rapper italiano Fedez accusa la tv di Stato di un tentativo di censura". Eppure non è così, anzi. La Rai sul testo di Fedez ha esercitato un suo diritto ma anche un suo obbligo.
È Massimo Donelli, giornalista esperto di comunicazione, ex direttore di rete a Mediaset e docente universitario, a spiegare perché le accuse mosse contro la Rai non sono fondate. In un suo articolo per il Giorno, Donelli spiega che Ilaria Capitani, durante la telefonata intercorsa con Fedez, "non solo ha esercitato un diritto, ma ha addirittura risposto a un obbligo previsto dalla legge 6 agosto 1990 numero 223". Si tratta della cosiddetta legge Mammì, nata ufficialmente a disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato. In base a questa legge, "il direttore di rete è la persona delegata 'al controllo della trasmissione' e risponde penalmente di ciò che va in onda". Anche se il Concertone del Primo maggio non è stato di fatto organizzato dalla Rai, la tivvù pubblica si presta alla sua trasmissione e, pertanto, il direttore della rete che lo ospita è responsabile della divulgazione televisiva sull'emesso.
Ma l'ex direttore di rete, facendo ricorso alla sua esperienza sul campo in quel settore, puntualizza anche un altro aspetto: "Non sappiamo quando sia stata registrata la telefonata censurata da Fedez. Ma, posto che è del tutto normale definire la linea editoriale di una rete e controllare che venga rispettata, forse, diciamo così, bisognava pensarci prima, ben sapendo che Fedez è abituato a cavalcare le praterie dei social network dove tutti, tranne Donald Trump, sono liberi di dire la qualunque".
Censura, o tentativo di censura, non c'è stato su Fedez. Massimo Donelli sottolinea, invece, che del dialogo tra il cantante e Ilaria Capitani è stato al momento diffuso solo un estratto e "qui sì, c'è stata davvero censura: quella che il cantante ha applicato alla telefonata, proponendone solo una parte".
Francesca Galici
Federico Garau
A proposito del monologo di Fedez sul palco del Concerto del 1° maggio di ieri, rilancio il post che Selvaggia Lucarelli ha scritto sul suo profilo Facebook.
Internet funziona in questo modo, lo so. Ma quando il discorso pubblico si polarizza in maniera così netta come avvenuto ieri dopo l’esibizione di Fedez al concerto del Primo Maggio, c’è sempre qualcosa che non mi torna. E questo qualcosa è la totale assenza di sfumature, il tifo che annienta qualsiasi possibilità di ragionamento e, ironia della sorte, censura di fatto qualsiasi pensiero più complesso di “bravissimo” e “fai schifo».
Andando a ritroso, ieri notte, ad un certo punto, la mia linea del tempo è stata invasa dal concetto di coraggio. La percezione abbastanza unanime scaturita dal discorso pronunciato da Fedez è che quella esibizione abbia rappresentato un atto di coraggio. Ridimensionerei, e non poco, questa impressione visto che si può essere davvero coraggiosi solo se si parte da una condizione di svantaggio, di minorità, o di debolezza. Altrimenti finisce che non ci rimane più un vocabolo adatto a definire la forza d’animo di chi agisce da una posizione di fragilità per affrontare situazioni avvilenti conservando nonostante tutto la propria umanità. Se si è coraggiosi a prescindere da ciò che esserlo comporta, in termini di perdita e di guadagno, allora anche Jeff Bezos (presidente di Amazon, ndr) è stato assai audace nel dare lavoro a così tante persone nel pieno della peggiore crisi di sempre (quella del 2008). Ma su questo torniamo tra poco.
IL DDL ZAN
Fedez è diventato solo molto di recente un’avanguardia della battaglia trentennale contro l’omotransfobia. All’improvviso. O più precisamente quando nel resto del Paese la richiesta di approvazione di una legge che tuteli milioni di persone vittime di discriminazione sulla base del loro orientamento sessuale era già ampiamente condivisa. Senz’altro molto più di quanto lo fosse in Parlamento, dove comunque può contare su una maggioranza più solida di quanto sia mai avvenuto in passato.
Ad averlo fulminato sulla via del DDL Zan sembra in qualche modo essere stato uno smalto: quello che da circa un anno utilizza e che da qualche settimana produce, rivolgendosi – mi pare per la prima volta in Italia – anche ad una clientela di sesso maschile, «contro tutti gli stereotipi». Forse molti non si sono accorti che da almeno dieci anni, sopratutto all’estero, le strategie pubblicitarie sono molto cambiate. Nessuno ormai vende più prodotti ma esclusivamente ideali perchè i Millennial ai quali il capitalismo ha spezzato le gambe consumano solo con la testa. Nello spot di un marchio automobilisco, ad esempio, non è più nemmeno necessario che la macchina compaia. Magari compare solo un campione dello sport, a piedi, che è sopravvissuto a mille infortuni. Il cliente non acquista quell’auto perchè è più potente delle altre ma perchè si riconosce nel messaggio di rinascita di cui è portatrice. Allo stesso modo gli smalti di Fedez non sono migliori di tutti gli altri ma a differenza di tutti gli altri sono pensati per sfondare un muro di antiche convenzioni che si regge su una disparità di genere. E’ il motivo per cui Elon Musk è miliardario nonostante produca quattro vetture in croce: il punto è che non vende una macchina ma un’idea di futuro.
Sarei insomma molto più cauta nel giudicare le attività di Fedez al di fuori di contesti puramente commerciali. Non si può fare a meno di mettere sul piatto della nostra bilancia il fatto che qualsiasi cosa dica, uno che di mestiere fa l’influencer, sta guadagnando denari. Perciò non venitemi a dire in sua difesa che si è esibito gratis il Primo Maggio, perchè se è per questo si esibisce gratis ogni santo giorno su tutti i suoi account social ma questo rimane comunque il suo lavoro principale, nel senso che è la sua principale fonte di reddito. Soprattutto – soprattutto – nell’anno della pandemia e del disastro totale per il settore della musica dal vivo, che non è un caso coincida con l’anno in cui Nostro Signore del Web ha scoperto la Televisione.
LA CENSURA
C’è poi la telefonata registrata con i vertici Rai, che secondo la narrazione di Fedez, accolta da un tripudio di mi piace, avrebbero tentato di imporre una censura preventiva. Trovo assurdo che Fedez, e qualche altro milione di italiani, si sia reso conto solo ieri che la Rai è lottizzata dalla politica. Purtroppo non è una notizia: i partiti di maggioranza e di opposizione se la spartiscono da sempre. Va bene scoprire l’acqua calda, ma la reazione dovrebbe essere tiepida. Invece pare il Watergate. Datevi una calmata.
Il punto decisivo è che la polemica contro la Rai ha iniziato a montare già nel pomeriggio, con Fedez che sbraitava sui social network (di proprietà di multinazionali private che operano in regime di monopolio) contro i censori del servizio pubblico italiano: se ci fosse equilibrio di giudizio non si scambierebbe per un atto rivoluzionario la strategia di lancio di un prodotto. Perché di questo si tratta: l’esibizione più attesa dell’intera giornata è diventata con largo anticipo quella di Fedez, a prescindere da quello che avrebbe detto. La disputa social anticipata con Matteo Salvini, volontariamente o meno, è stata utile ad avvisare un pubblico nativo digitale che di lì a poche ore sarebbe successo qualcosa da un’altra parte, nella scatola dei vecchi. Questa cosa si chiama marketing, è promozione commerciale, non ha spostato un solo voto in Parlamento per l’approvazione della Legge Zan ma qualche punto di share. Potete applaudire comunque, ma sappiate di cosa si tratta: del cortocircuito inventato dal leader della Lega, che quando twitta finge di fare politica.
Quando ho letto i primi articoli che riportavano le lamentele del rapper («la Rai voleva leggere il mio testo»), ho subito pensato che non ci fosse niente di strano ma anzi che fosse utile, necessario, e auspicabile. Perché libertà di informazione e di critica non significa che chi può, può andare in diretta a dire tutto quello che gli salta in testa senza filtri. Perchè se su quel palco fosse dovuto salire Povia a gridare che vige una dittatura sanitaria e che i vaccini sono pericolosi, nessuno avrebbe pensato ci fosse niente di male nel fatto che la Rai gli chiedesse di sapere preventivamente quale sarebbe stato il contenuto del suo intervento.
Ma arriviamo alla telefonata. Per quanto mi riguarda da quella telefonata non emerge nessuna pressione indebita nei confronti dell’artista. Il «sistema» e «il contesto» al quale la vicedirettrice di Rai3 e i suoi collaboratori fanno riferimento non credo, nella maniera più assoluta, riguardassero il sistema delle influenze politiche.
«Il sistema editoriale» (viene sottolineato, ma nessuno vuol farci caso perchè ormai l’onda dell’indignazione si è levata ed è comodo cavalcarla) è quello che permette di non mandare in onda i discorsi farneticanti di chiunque. «Il contesto» invece è quello del Primo Maggio in cui il tema del lavoro dovrebbe essere centrale. Per il resto la Rai non tocca palla, c’è solo un cantante che grida al complotto e che fa i capricci, abituato come è a fare e dire quello che vuole, nel momento esatto in cui lo vuole. Io invece trovo che sia un bene che il servizio pubblico vigili sui contenuti da pubblicare in maniera diversa rispetto alla fogna che sono i social network.
Che censura non ci sia stata, in tutti i casi, è chiaro perché Fedez si è esibito. Ed è chiaro perché nessuno in Rai, nemmeno prima, ha avuto niente da ridire sulla parte del suo monologo che riguardava i lavoratori dello spettacolo, anche se si rivolgeva in maniera critica al presidente del Consiglio chiamandolo per nome (in pratica uno spinoff del pezzo di Sanremo).
SORRY WE MISSED YOU
Detto questo, è coerente portare su uno dei palchi più impegnati del Paese il tema dei diritti civili, ma se sul palco dei Lavoratori ti scordi di parlare di quelli che lavorano in condizioni inumane per lo stesso tizio per il quale lavori anche tu (cioè per Bezos, patron di Amazon, ndr), un signore che di censure se ne intende più di qualsiasi altro, che non solo tappa le bocche dei suoi dipendenti sottoponendoli a continui ricatti ma non gli permette nemmeno di andare in bagno tra una consegna e l’altra, beh ai miei occhi non sei credibile.
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