Conversione di San Paolo
Conversione di San Paolo

 V Domenica di Pasqua

(Anno B)

(At 9,26-31; Sal 21; 1Gv 3,18-24; Gv 15,1-8)

 di Alberto Strumia

 

Oggi la prima lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, fa riferimento alla “conversione di Paolo”, un nemico della Chiesa interno alla comunità religiosa ebraica che viene convertito alla “vera comunità religiosa”, da un intervento diretto di Cristo che lo affronta lungo la via di Damasco. Il resoconto di questa conversione, che Barnaba fa alla prima comunità cristiana («raccontò loro come, durante il viaggio, aveva visto il Signore che gli aveva parlato»), deve farci riflettere sulla situazione che stiamo vivendo ai nostri giorni.

Da diverso tempo possiamo dire che, ormai, i nemici della Verità, i nemici di Cristo, non sono più solamente “esterni” alla comunità religiosa, ma sono in gran parte “interni”. In un numero crescente come non si era mai visto prima. Paolo era uno dei capi della comunità religiosa del suo tempo ed era un convinto avversario di Cristo e dei cristiani, di quegli stessi giudei che si erano già convertiti al cristianesimo ed erano divenuti la “prima Chiesa”: i “giudeo-cristiani”, prima ancora della conversione dei pagani, gli “etnico-cristiani”.

I “giudeo-cristiani” convertiti a Cristo, ebrei di fede come Paolo («Sono Ebrei? Anch’io! Sono Israeliti? Anch’io! Sono stirpe di Abramo? Anch’io!», 2Cor 11,22), non sarebbero mai riusciti a convincerlo, pur con tutta la loro determinazione, la loro buona volontà, le loro ragioni, la loro testimonianza. È stato necessario un “intervento diretto” di Gesù Cristo, di Dio stesso, per farlo arrendere all’evidenza della Verità («Cadendo a terra udì una voce che gli diceva:“Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”. Rispose: “Chi sei, o Signore?”. E la voce: “Io sono Gesù, che tu perseguiti!”», At 9,4-5). Allo stesso modo, si direbbe che anche oggi occorra un intervento diretto di Cristo nella nostra storia presente, perché dentro e fuori la Chiesa ci si arrenda a Lui. Le forze di coloro che sono forse “gli ultimi cristiani”, come allora lo erano “i primi cristiani”, la determinazione, la buona volontà, le ragioni, la testimonianza non bastano. «È tempo che tu agisca, Signore; hanno violato la tua legge» (Sal 119, v. 126). È anche la nostra preghiera, ormai da tempo, ogni giorno.

– Dalla tentazione di “cedere per sfinimento” adattandosi al “pensiero unico” del mondo penetrato nella Chiesa ci difendono – oltre ad un’istintiva ripugnanza che “la ragione” ci fa avvertire e “la fede” ci conferma – le parole della seconda lettura di questa domenica: «Abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da Lui». E la cosa che gli chiediamo è di intervenire direttamente, come Lui sa fare e quando Lui ritiene di fare. E sappiamo di essere esauditi «perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito». Si tratta solo di “resistere” nel tempo, senza cedere alla seconda tentazione, quella di staccarsi dalla Chiesa.

– Dalla seconda tentazione, quella di allontanarsi dalla Chiesa (fino a non andare più a Messa e di privarsi dei Sacramenti), di scegliere la via dello “scisma esterno” (andarsene) in opposizione dello “scisma interno” (alla Chiesa, ad opera di quei capi che rinnegano il deposito della fede manipolandolo), ci salvano le parole di Gesù stesso nel Vangelo di oggi: «Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me». Per rimanere “oggettivamente” un tutt’uno con la Vite, con Cristo, Lui non ci ha dato altro mezzo “oggettivo” che l’appartenenza alla Sua Chiesa, fondata sugli Apostoli e i loro successori con i quali non si può rompere la comunione, neppure nel momento in cui si fosse costretti a rimproverarli per richiamarli al loro dovere di fedeltà a Cristo. Solo Dio ha il compito di tagliare i tralci che non portano frutto (o peggio ne portano uno velenoso!): «Il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia». E siamo anche avvertiti del fatto che la prova che stiamo vivendo oggi altro non è che una profonda potatura, per l’approfondimento della nostra fede: «ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto».

Attenzione, dunque, a non cedere al “meglio scismatici che eretici”. Occorre, piuttosto, non essere né scismatici né eretici, per essere interamente di Cristo. Perché «il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me».

Occorre, dunque, imparare a non rompere la comunione oggettiva lasciandosi prendere da reazioni isteriche violente, con la fermezza di non cedere di fronte all’imposizione di andare contro i Comandamenti di Dio: «Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in Lui» (seconda lettura).

Così hanno fatto, ben prima di noi tutti quei santi che sono stati messi alla prova e perseguitati dall’esterno e dall’interno della Chiesa, dando prova di fedeltà a Cristo e alle Sue disposizioni.

Maria alla quale il mese di maggio, appena iniziato, è particolarmente dedicato, e Giuseppe suo sposo, ci sono vicini e ci proteggono. Alla loro intercessione ci affidiamo con piena serenità: «Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa. Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio» (seconda lettura).

 

Bologna, 2 maggio 2021

 

Alberto Strumia, sacerdote, teologo, già docente ordinario di fisica-matematica presso le università di Bologna e Bari. 

fonte: albertostrumia.it

https://www.sabinopaciolla.com/occorre-non-essere-ne-scismatici-ne-eretici-per-essere-interamente-di-cristo/