ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 22 luglio 2012

Smemores Domini


L'immobile viene rogitato il 28 ottobre 2011 al prezzo di 3 milioni di euro, ma per l'ex assessore regionale Massimo Buscemi valeva “9-10 milioni”. Uno sconto che sarebbe giustificato dalla nomina, fortemente caldeggiata da Pierangelo Daccò, di Alessandra Massei ai vertici della sanità pubblica lombarda

villa Formigoni_interna nuova
Roberto Formigoni ripete: “Non ho ricevuto un euro da Daccò”. Eppure l’informativa della polizia giudiziaria che Il Fatto Quotidiano ha potuto leggere, elenca puntigliosamente “le utilità a favore del presidente di Regione Lombardia”: 3,7 milioni in yacht, 800 mila euro in vacanze ai Caraibi, 70 mila in spese al Meeting di Rimini, 500 mila in ristoranti da grand gourmet, almeno 600 mila in contributi elettorali. E circa 4 milioni come generoso sconto per l’acquisto della villa ad Arzachena, in Sardegna. Non un euro, dunque, ma almeno 9 milioni di euro sono “le utilità” di cui ha beneficiato il presidente.

La villa è il pezzo più pregiato del ventaglio di “benefit” elencati nell’informativa ed è anche quello con la storia “politica” più interessante. Perché, secondo gli investigatori, ha come “contraccambio” immediato la nomina ai vertici della sanità pubblica lombarda di una persona di assoluta fiducia del superfaccendiere Pierangelo Daccò: Alessandra Massei. Una villa da favola: in cima alla collina del Pevero, non lontano da Porto Cervo, sette stanze su tre livelli, patio, verande coperte, terrazzo da cui si contempla Cala di Volpe. Potrebbe essere chiamata “Villa Formigoni”. Formalmente ad acquistarla, nell’ottobre 2011, è Alberto Perego, amico e convivente del presidente della Regione Lombardia. Ma gli investigatori si convincono che sia di fatto di Formigoni, o almeno “anche” di Formigoni: dopo le “vacanze di gruppo”, ecco una “villa di gruppo”. Il Celeste, in effetti, il 13 maggio 2011 ci mette del suo: 1 milione di euro. Ma dice che si tratta di un prestito all’amico Perego, che per motivi di salute aveva bisogno di una “casetta” al mare.
Non la pensa così Massimo Buscemi, genero di Daccò, che parla della villa con Formigoni come se il reale proprietario fosse il presidente. Subito dopo essere stato cacciato dalla giunta (era assessore alla cultura), il 10 febbraio 2012 si precipita minaccioso dal presidente per pretendere in cambio una poltrona altrettanto remunerativa. Quand’è nell’ufficio del capo, fa partire una telefonata dal suo cellulare, perfido, facendo così intercettare tutto il colloquio. Che cosa evoca? Proprio la villa in Sardegna. Dice (mentendo) che i magistrati hanno chiamato la moglie, Erika Daccò: “Le chiederanno della casa… e come mai così poco… Tre milioni? Contro 9/10 milioni di valore commerciale! No guarda, siamo nella merda fino a qua, Roberto”. Commenta la polizia giudiziaria: “È evidente che Formigoni né ha disconosciuto l’operazione, né contestato le cifre espresse da Buscemi”, che “non si rivolge a Perego, parte acquirente negli atti ufficiali, ma ne parla con Formigoni”. Insomma: “Buscemi ha la cosciente consapevolezza di interloquire con il reale beneficiario economico dell’operazione o quantomeno uno dei beneficiari”.
L’operazione va in porto il 28 ottobre 2011: viene firmato il rogito. Per 3 milioni di euro. Ok il prezzo è giusto? Per Buscemi valeva “9/10 milioni”. L’immobiliare Brunati l’aveva messa in vendita – e prima delle sostanziose ristrutturazioni – a 7 milioni. Sulla base delle dichiarazioni di Piero Cipelli, uomo di fiducia di Daccò, la polizia giudiziaria rileva che “il prezzo pagato da Formigoni e Perego altro non è che la mera ‘copertura’ dei costi sostenuti dalla Limes” (società di Daccò) per il terreno, la costruzione e le modifiche successive. E Formigoni che c’entra? “L’interesse di Formigoni”, mette a verbale Cipelli, “era legato al fatto che la villa l’avrebbe occupata insieme con Perego, almeno così mi disse Perego… Intendo dire che ritengo che la villa sia stata acquistata da entrambi, anche se formalmente solo da Perego”.
Nel bel mezzo di questa operazione, entra in scena Alessandra Massei (oggi indagata per riciclaggio). Ciellina, bocconiana, in affari di Daccò (“È socia con me nelle operazioni immobiliari in Argentina con la società Avenida”), è stata direttore generale del Fatebenefratelli e direttore amministrativo della Fondazione Maugeri. Daccò la catapulta ai vertici della sanità pubblica lombarda. È il 29 maggio 2011. Annotano gli investigatori: “Relativamente alla vicenda connessa alla cessione della villa… dopo circa un mese dal preliminare di vendita” la giunta lombarda nomina Massei dirigente regionale con competenze cruciali nella sanità. “Appare quindi evidente che, nel periodo di maggio-giugno 2011, il ‘controllo’ di Daccò sulla sanità lombarda era in fase di espansione. Le indagini fin qui svolte”, si legge nell’informativa, “hanno permesso di delineare la ‘figura chiave’ di Alessandra Massei nel contesto criminale che ruota attorno alla figura del faccendiere. La Massei, infatti, è stato uno degli ‘strumenti’ attraverso cui Daccò avrebbe operato il ‘controllo’ su alcune strutture sanitarie”. E il suo ruolo in Regione “avrebbe consentito a Daccò di esercitare un potere di intervento diretto e immediato sulle strategie politiche e di indirizzo organizzativo-economico della sanità” in Lombardia.
da Il Fatto Quotidiano del 21 luglio 2012
di  | 21 luglio 2012

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/07/21/formigoni-una-villa-in-sardegna-a-prezzo-di-favore-per-la-sanita/301385/

Il ‘sistema Daccò’ in Lombardia: “Aiutare gli amici degli amici”

Renato Botti, direttore generale dell’assessorato alla sanità della Regione Lombardia dal 1997 al 2002, ricorda i 'consigli' ricevuti dal faccendiere vicino a Roberto Formigoni: "Avrei dovuto favorire imprenditori, ovvero enti ospedalieri e istituzioni private che mi fossero state segnalate"

Roberto Formigoni (2) interna nuova
Compito: “Aiutare gli amici degli amici”. È quello che il superfaccendiere della sanità Pierangelo Daccò impone a chi viene messo ai vertici dell’amministrazione regionale. A raccontarlo è uno dei protagonisti della vicenda San Raffaele: Renato Botti. Le sue dichiarazioni, inedite, sono contenute nell’informativa della polizia giudiziaria su Roberto Formigoni consegnata il 27 giugno alla procura di Milano. Disegnano in maniera plastica la figura dell’intermediario Daccò. Botti, tra 1997 e il 2002, è il direttore generale dell’assessorato alla sanità della Regione Lombardia (la stessa poltrona sulla quale siede oggi Carlo Lucchina, indagato per alcuni appalti in diversi ospedali lombardi). Dopo l’esperienza in Regione, approda alla direzione generale del San Raffaele, poi precipitato in una crisi finanziaria da un miliardo e mezzo di euro.
Prima ai vertici dell’amministrazione pubblica, poi al centro di un grosso polo privato, Botti diventa uno dei grandi esperti della sanità “alla milanese”. Il 31 maggio 2012, viene chiamato dai magistrati che indagano sugli 80 milioni di fondi neri che escono dalla Fondazione Maugeri e, manovrati da Daccò, svaporano in decine di conti esteri o in contanti destinati chissà a chi. Al termine dell’interrogatorio, gli investigatori annotano: “La testimonianza di Botti assume rilievo per valutare le competenze specifiche di Daccò”. Che cosa racconta Botti? “Nel 2000, alla scadenza del primo mandato, ricordo che Daccò mi fece un discorso molto chiaro dicendomi che avrei dovuto, nella mia attività, aiutare gli amici degli amici”.
Il messaggio è chiaro. “Io avrei dovuto favorire imprenditori, ovvero enti ospedalieri, istituzioni private che mi fossero state segnalate da loro”. Chi sono “loro”? Daccò “si presentava come referente di Formigoni e Giancarlo Abelli”, parlamentare del Pdl vicino a Silvio Berlusconi. Dalle parole ai fatti: Daccò investe Botti con diverse proposte. Tra queste c’è l’aumento dei rimborsi per i ricoveri in riabilitazione. “Ho associato la sua richiesta all’interesse sia del Fatebenefratelli che della Maugeri”, spiega l’ex alto dirigente della Regione. “Mi disse che il presidente era d’accordo e che voleva questo tipo di provvedimento”. Botti tenta comunque una verifica, chiede ai suoi tecnici una valutazione. Il verdetto è negativo: le cifre dei rimborsi non devono essere ritoccate. Daccò però insiste: “Il presidente è d’accordo”. Botti, allora, chiama il segretario generale della Regione, Nicola Sanese, il quale dice che si sarebbe rivolto a Formigoni. Poi torna dal direttore generale con un’indicazione: “Se il provvedimento non era fattibile tecnicamente allora non si doveva fare”.
Come reagisce Daccò? “Si incazzò moltissimo”. Passò alle minacce. “Venne da me e disse che mi ero mostrato irriconoscente nei suoi confronti in quanto egli mi aveva fatto nominare direttore generale della Sanità e io mi ero permesso di rifiutare di dare corso a una sua richiesta”. Risultato: “Chiaramente questo episodio ha segnato la rottura dei rapporti tra me e Daccò, tant’è che non ci siamo mai più parlati” . Renato Botti disegna per i magistrati un preciso profilo del faccendiere: spiega che “non ha competenze tecniche” e nonostante questo “pretendeva” che le sue richieste “fossero risolte in tempi rapidi”. Alle sue spalle, Roberto Formigoni: “Se non avesse avuto quel rapporto diretto con il presidente, non lo avremmo assolutamente assecondato e sopportato”. Conclusione: “Questo atteggiamento e queste raccomandazioni nel tempo sono diventati più intensi e pressanti. Un cancro che è andato via via ampliandosi”.
Completa il ritratto Pierino Zammarchi, imprenditore coinvolto nell’indagine sul San Raffaele: “Mario Cal (l’ex vicepresidente dell’ospedale San Raffaele morto sucida l’anno scorso, ndr) mi disse: ‘Pierangelo Daccò è l’uomo di Roberto Formigoni e di Cl’”. “Era un uomo taciturno e non ho mai capito bene cosa facesse”. Lobbista? Uomo di pubbliche relazioni? Zammarchi, come Botti, calca la mano sul curriculum inesistente di Daccò: “Non ha la minima competenza professionale nel campo della ricerca scientifica”. Infatti “abborracciava contratti che erano privi di qualsivoglia pregio professionale” ed erano “destinati esclusivamente a coprire (e giustificare) ingenti flussi finanziari illeciti”.
di  | 21 luglio 2012

da Il Fatto Quotidiano del 21 luglio 2012
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/07/21/il-sistema-dacco-in-lombardia-aiutare-gli-amici-degli-amici/301398/


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