Ora è troppo: basilica ostaggio dei Radicali a congresso
Ancora Napoli, ancora una profanazione. Il partito Radicale celebra il suo congresso nell'antica basilica di San Giovanni nel giorno di Ognissanti. Ad aprire il tempio al partito che più di ogni altro ha combattuto la fede, la morale e il sentimento cattolico degli italiani, una fondazione privata che lo affitta in accordo con la diocesi per eventi. Il segretario radicale: «Il ricavato va al restauro». Il parroco "ostaggio" - come il precedente - non ne sapeva nulla: «Ora basta, non posso neanche organizzare un'adorazione eucaristica. Il vescovo Sepe ristabilisca il culto». Il restauro, in realtà, è già stato pagato, ma la fondazione non ne parla. Ecco che cosa abbiamo scoperto
Se un giorno dovessimo assistere alla beatificazione di Marco Pannella, il Partito Radicale avrà già pronta la chiesa. Anzi, la basilica. Si chiama San Giovanni Maggiore ed è la chiesa napoletana dove il Partito Radicale ha deciso di svolgere il suo Congresso nazionale. I radicali a congresso in una chiesa? Sì, il titolo è questo, ma per capire i contorni di questa notizia bisogna scendere a Napoli.
Precisamente nella zona universitaria dove, appena dietro la Federico II sorge l’antica Basilica di San Giovanni Maggiore, scrigno del barocco partenopeo che mescola sapientemente la magnificenza architettonica del sacro e la mitologia locale. E’ qui che, infatti, secondo la tradizione sarebbe sepolta la ninfa Partenope, progenitrice della città.
Ed è dunque qui che il Partito Radicale Transnazionalecelebrerà il suo Congresso. Domenica scorsa, Maurizio Turco, il segretario nazionale del partito di Pannella e della Bonino, ha annunciato che la tradizionale assise si svolgerà dal 31 ottobre al 2 novembre e avrà come ordine del giorno varie tematiche: le proposte di legge su amnistia e indulto, la responsabilità civile dei magistrati, la lottizzazione della Rai, la tenuta in vita di Radio Radicale, la chiusura dei carceri minorili con la partecipazione di don Ettore Cannavera e - persino - la somministrazione controllata di eroina ai tossici refrattari. Tutte tematiche tipiche del “credo” radicale.
Solo che stavolta a destare qualche imbarazzo è la location: una basilica cattolica aperta al culto. Anzi, restaurata e ritornata al culto da pochi anni. Possibile? Il partito che ha fatto più di tutti dell’anticlericalismo e della violazione dei principi cattolici la sua bandiera, in una chiesa? Il partito che ha introdotto l’aborto in Italia, che vuole lo spinello libero, che sta lottando tenacemente per introdurre l’eutanasia nel nostro Paese, accanto al tabernacolo? Ma l’arcivescovo lo sa? E chi ha concesso le chiavi? Deve esserci un errore, sicuramente.
Però, che non si sia trattato di un abbaglio lo dimostra il fatto che la newsletter del partito che annuncia l’assise, reca proprio in bella vista la foto della chiesa scaricata da Google.
Deve esserci sotto qualcosa allora, qualcosa di ancor più misterioso della vicenda di Portosalvo raccontata alcuni giorni fa e la Nuova BQ, in questa concatenazione sorprendente di scoperte, ha cercato di documentarlo mettendo in fila la cose.
Anzitutto chiamando don Eduardo Parlato, responsabile diocesano dei beni culturali: «I Radicali in chiesa? Impossibile», ci risponde. Insistiamo: «Guardi che lo hanno annunciato loro»; «Le ripeto che è impossibile, il vescovo dovrebbe essere sicuramente informato», ribatte.
Cerchiamo dunque il parroco, anche se la chiesa non è più parrocchia, ma è retta canonicamente da un anno da don Salvatore Giuliano che vi dice messa.
AL TELEFONO COI RADICALI
Mentre rincorriamo il sacerdote rintracciamo il segretario nazionale del partito. Ed è proprio da Maurizio Turco che capiamo i contorni della vicenda. «Un congresso di partito in una chiesa?», chiediamo. «In una basilica!», ci risponde. «L’abbiamo noleggiata dalla Fondazione degli Ingegneri di Napoli - prosegue -. Il nostro desiderio era di fare il congresso a Napoli e tra le varie sale che ci sono state proposte abbiamo scelto questa».
Mentre rincorriamo il sacerdote rintracciamo il segretario nazionale del partito. Ed è proprio da Maurizio Turco che capiamo i contorni della vicenda. «Un congresso di partito in una chiesa?», chiediamo. «In una basilica!», ci risponde. «L’abbiamo noleggiata dalla Fondazione degli Ingegneri di Napoli - prosegue -. Il nostro desiderio era di fare il congresso a Napoli e tra le varie sale che ci sono state proposte abbiamo scelto questa».
Ma il prezzo di noleggio? «Lo chieda alla fondazione, però si badi: va tutto per il restauro della chiesa, così ci hanno detto, non c’è alcun scopo di lucro, così ci hanno detto». Ecco un altro caso di carità pelosa: con la scusa del restauro, tutto sembra lecito. Anche la violazione delle più elementari regole del sacro.
Alle nostre - comprensibili - obiezioni Turco non sembra per nulla scandalizzato. «E che male c’è? Durante la settimana la chiesa non è aperta al culto, vi si dice Messa solo alla domenica». Osserviamo che non è possibile sottrarre al culto una chiesa solo temporaneamente, con l’agenda in mano, del tipo: oggi pilates, martedì taglio e cucito e domenica i vespri. E contestiamo che è un po’ insolito che un partito celebri un appuntamento politico in un tempio. «Se è per questo al nostro interno abbiamo anche un sacerdote».
Chi? «E’ don Ettore Cannavera, che è membro del consiglio generale del partito radicale». Addirittura…ribadiamo che un sacerdote non può avere incarichi di partito. Ci replica che per quanto gli riguarda si può.
UN PARROCO "IN OSTAGGIO"
Salutiamo Turco e rintracciamo don Salvatore che per poco non sbianca: «Il partito…?»; «Radicale, reverendo…Radicale». Anche don Salvatore si mostra stupito, poi la sua voce si fa via via più grave: «Mi perdoni, ma stavolta è stato oltrepassato il limite». Il reverendo ci racconta così la dolorosa historia di una chiesa che è stata restaurata perché ritornasse al culto, ma è stata data gestione alla Fibart, la Fondazione Ingegneri Beni Culturali Arte e Tecnologia che ha ricevuto dalla Curia di Napoli in comodato d’uso la Basilica.
Salutiamo Turco e rintracciamo don Salvatore che per poco non sbianca: «Il partito…?»; «Radicale, reverendo…Radicale». Anche don Salvatore si mostra stupito, poi la sua voce si fa via via più grave: «Mi perdoni, ma stavolta è stato oltrepassato il limite». Il reverendo ci racconta così la dolorosa historia di una chiesa che è stata restaurata perché ritornasse al culto, ma è stata data gestione alla Fibart, la Fondazione Ingegneri Beni Culturali Arte e Tecnologia che ha ricevuto dalla Curia di Napoli in comodato d’uso la Basilica.
Veniamo a sapere anzitutto che il congresso radicale non è stato concordato né annunciato al sacerdote, come dovrebbe essere da accordi, ma come non accade per il resto neppure per tutti gli altri eventi. E che «è impossibile che i soldi dell’affitto vadano al restauro per il semplice fatto che questa chiesa è stata già restaurata per 3 milioni di euro con i soldi della Sovrintendenza».
Nel frattempo però gli eventi si sono sprecati.
Su internet si trovano ancora le polemiche per il concerto di Patti Smith nel 2014 e per la mostra su Van Gogh. Il predecessore di don Salvatore infatti, un anno fa diede le dimissioni perché la mostra sul pittore fiammingo venne prolungata di sei mesi all’insaputa del sacerdote che così non sapeva più come dire Messa.
Don Salvatore in questi mesi ha provato a far notare che l’occupazione della chiesa nelle mani di una fondazione crea grossi problemi anche di pastorale: «Ho provato a fare l’adorazione eucaristica notturna - ci ha detto - perché questa è una zona di movida giovanile, ma non posso programmare nulla perché devo chiedere praticamente io il permesso alla Fondazione che gestisce la chiesa tutta la settimana e mi lascia dire messa solo alla domenica. Tra l’altro, io la Messa di Ognissanti il 1 novembre la dirò, il Partito Radicale dovrà andarsene. Ora avverto il vescovo. Questo fatto è la goccia che fa traboccare il vaso: la chiesa deve ritornare al culto permanentemente».
Don Salvatore quindi sembra essere una vittima di questa “occupazione”, portata avanti da anni - come è il caso di tante altre chiese partenopee - col beneplacito di sua eccellenza il Cardinal Crescenzio Sepe.
Ma che cosa dicono gli ingegneri? Rintracciamo il responsabile dell’associazione. «Abbiamo concordato con Radio Radicale per tre giorni - ci spiega l’ingegner Luigi Vinci - e avvertito la curia. E’ tutto regolare. Come? … il restauro? Vabbè … ma cos’è questo interrogatorio? Non ho nient’altro da dire. Saluti».
Andrea Zambrano
#SALVIAMOLECHIESE
Se la Croce Rossa rifiuta la benedizione (e la storia)
Viene inaugurata una nuova ambulanza, ma il comitato della Croce Rossa di Moncalieri rifiuta di farla benedire dal prete “per non offendere” i fedeli di altre religioni. Scoppia la polemica, ma dalla CRI locale precisano che l’emblema richiama la bandiera svizzera (vero) e «non rimanda in alcun modo alla simbologia cristiana»: ah, no? Piccola ricostruzione storica per laicisti.
Quando la pezza è peggio del buco. Riassunto: la Croce Rossa di Moncalieri doveva inaugurare, il primo di agosto, una nuova ambulanza e, per la prima volta, non ha voluto farla benedire dal prete «per non offendere» musulmani, buddisti, eccetera.
Solita solfa, perché due gocce d’acqua benedetta per certe teste sono peggio che acido solforico. Vabbe’, per certuni è una questione di principio e, quando comandano loro, dettano le regole (sennò, che gusto c’è ad arrabattarsi per andare al comando?).
Qualche leghista ha parlato di «buffonata» e, sbagliando, ha creduto di far notare che la Croce Rossa intera si chiama così per riguardo al simbolo cristiano. Non l’avesse mai detto. Il presidente della C.R.I., comitato di Moncalieri, ha sentito l’impellente dovere di rettificare (forse per riflesso antileghista, che di questi tempi tutti a prendere le distanze…). Ecco qua: «Premettiamo, per dovere di informazione, che l’emblema della Croce Rossa non rimanda in alcun modo alla simbologia cristiana. Fu invece scelto in omaggio al suo fondatore e al paese che ne vide la nascita, con la Convenzione di Ginevra del 1864. La croce rossa su fondo bianco richiama infatti, a colori invertiti, la bandiera svizzera». Vero. Ma non è tutto.
Henry Dunant, svizzero, vide la carneficina della battaglia di Solferino (seconda guerra d’indipendenza, piemontesi e francesi contro austriaci) e si scandalizzò per le migliaia di feriti che morivano senza cure. Vero è che adottò, a colori invertiti, la bandiera del suo neutrale Paese. Ma è anche vero che tale bandiera risale alla battaglia di Laupen del 1339 ed è quella del Sacro Romano Impero germanico. Gli svizzeri, formidabili guerrieri temutissimi per tutto il Medioevo e l’Età Moderna, andavano in battaglia seguendo lo stendardo del rispettivo Cantone di provenienza. Ma tutti portavano cucita sulla giubba una croce greca bianca su sfondo rosso. Perché erano cristiani e, dunque, per assicurarsi la protezione divina.
Fu Napoleone a vietare tale simbolo, costringendo gli svizzeri al tricolore rivoluzionario, così come tutte le altre nazioni da lui conquistate. Quando cadde il Corso, gli svizzeri ripristinarono quel simbolo e ne fecero la bandiera nazionale. Non a caso, la prima guerra (e unica civile) in cui fu innalzata la nuova bandiera fu una guerra di religione, quella del Sonderbund (1847), cantoni cattolici contro cantoni protestanti.
La moderna Croce Rossa sanitaria può fare tutte le professioni di laicità che vuole, ma quella Croce che innalza sui suoi mezzi e i suoi uomini (e donne, pardon) è una croce cristiana. La controprova sta nel fatto che i musulmani, proprio loro, hanno capito benissimo che quello è un simbolo religioso, tant’è che nei loro territori opera la Mezzaluna Rossa. Infatti, il presidente del comitato di Moncalieri precisa nel suo comunicato che «nessun membro di nessuna comunità musulmana ha mai avanzato una richiesta del genere al nostro comitato». Poi ribadisce l’assoluta neutralità eccetera eccetera, neutralità che però non esiste nei Paesi islamici e che nessun islamico, appunto, si sognerebbe di chiedere nei Paesi (ex) cristiani.
Per cui, è chiaro che la mini-polemica di cui sopra è scaturita dal sacco laicista cristofobo. Altro che ambulanze, sono queste le ferite (alla testa) che la Chiesa-ospedale-da-campo dovrebbe pensare a curare. Altro che la salute degli oceani!
Rino Cammilleri
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