ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 15 gennaio 2016

Liberi da Chi?

La libertà religiosa sotto la condanna dei Papi


testi delle principali condanne della libertà religiosa nel XIX secolo. Ecco quel che è stato condannato, e perché i Papi lo hanno condannato.

I - LA CONDANNA
Pio VI. Lettera Quod aliquantulum del 10 marzo 1791, ai Vescovi francesi dell’Assemblea Nazionale.
«… l’effetto necessario della costituzione decretata dall’assemblea è di distruggere la Religione cattolica e con essa l’obbedienza ai Re. Da questo punto di vista si è stabilita, quale diritto dell’uomo nella società, questa libertà assoluta che non solo assicura il diritto di non essere molestati sull’opinione religiosa, ma che dà pure questa libertà di pensare, di dire, di scrivere e anche di impunemente stampare in materia di religione tutto ciò che può suggerire una sregolata immaginazione; diritto mostruoso che all’assemblea sembra derivi dall’uguaglianza e dalla libertà naturale degli uomini. Ma che cosa poteva esserci di più insensato che stabilire fra gli uomini questa uguaglianza e questa sfrenata libertà che sembra soffocare la ragione, il dono più prezioso che la natura abbia fatto all’uomo e che, solo, lo distingue dagli animali?» (73)


Pio VII. Lettera apostolica Post tam diuturnitas, al Vescovo di Troyes, in Francia, che condanna la «libertà di culto e di coscienza» accordata dalla costituzione del 1814 (Luigi XVIII).
«Altra causa di dolore ancora maggiore per il Nostro cuore e che, lo confessiamo, Ci ha grandemente afflitti, accasciati e angosciati, è il XXII articolo della Costituzione. In esso non solo si permette la libertà di culto e di coscienza, per usare i termini stessi dell’articolo, ma si promette appoggi e protezione a questa libertà ed anche ai ministri in tutto ciò che riguarda i culti. Non sono necessari lunghi discorsi rivolgendoCi ad un Vescovo come lei, per farle riconoscere quale ferita abbia subito, per questo articolo, la religione cattolica in Francia. Stabilendo la libertà di culto senza distinzione, per ciò stesso si confonde la verità con l’errore, e si pone al pari delle sette eretiche e anche della perfidia giudaica, la Sposa santa e immacolata di Cristo, la Chiesa, fuori dalla quale non vi è salvezza. Inoltre, promettendo favore e appoggi alle sette eretiche e ai loro ministri si tollerano e favoriscono non solo le persone, ma anche i loro errori. È implicitamente la disastrosa e deplorabilissima eresia che sant’Agostino ricorda con queste parole: “Afferma che tutti gli eretici sono nella buona via e dicono il vero, assurdità tanto mostruosa che io non posso credere che qualche setta la professi realmente”» (74).

Gregorio XVI. Enciclica Mirari vos, del 15 agosto 1832, che condanna il liberalismo sostenuto da Félicité de Lamennais.
«Da questa correttissima sorgente dell’indifferentismo scaturisce quell’assurda ed erronea sentenza, o piuttosto delirio, che debbasi ammettere e garantire per ciascuno la libertà di coscienza: errore velenosissimo a cui appiana il sentiero quella assoluta e smodata libertà d’opinare che va sempre aumentando a danno della Chiesa e dello Stato, non mancando chi osa vantare con impudenza sfrontata provenire da siffatta licenza alcun comodo alla Religione. “Ma qual può darsi morte peggiore dell’anima che la libertà dell’errore”? diceva sant’Agostino (75). Tolto infatti ogni freno che contenga nelle vie della verità gli uomini già volgentisi al precipizio per la natura inclinata al male, potremmo dire con verità essersi aperto il pozzo dell’abisso dal quale vide S. Giovanni salire tal fumo, che oscurato ne rimase il sole, uscendone locuste innumerabili a disertare la terra (76). Di là infatti proviene l’instabilità degli spiriti, di là la depravazione della gioventù, di là il disprezzo nel popolo delle cose sacre e delle leggi più sante, di là in una parola la peste della società più di ogni altra funesta, mentre l’esperienza di tutti i secoli fin dalla più remota antichità luminosamente dimostra, che città per opulenza, per dominazione, per gloria le più fiorenti, per questo disordine, cioè per una eccessiva libertà di opinioni, per la licenza dei conciliaboli, per la smania di novità, andavano infelicemente in rovina» (77).

Pio IX: Enciclica Quanta Cura dell’8 dicembre 1864. Il Papa reitera la condanna del suo predecessore.
«Ben sapete, venerabili fratelli, che ai tempi nostri si trovano non pochi che, applicando allo Stato l’empio ed assurdo principio del naturalismo, osano insegnare “che la migliore costituzione dello Stato ed il progresso civile esigono assolutamente che la società umana sia costituita e governata senza verun riguardo della religione, come se non esistesse, od almeno senza fare veruna differenza tra la vera e le false religioni”. E contro la dottrina delle Scritture, della Chiesa e dei santi Padri non dubitano di asserire: “La migliore condizione della società essere quella, in cui non si riconosce nello Stato il dovere di reprimere con pene stabilite i violatori della cattolica religione, se non in quanto ciò richiede la pubblica quiete”.
«Dalla quale idea di governo dello Stato, in tutto falsa, non temono di dedurre quell’altra opinione sommamente dannosa alla Chiesa cattolica e alla salute delle anime, chiamata deliramento(78) dal Nostro Predecessore Gregorio XVI di recente memoria, cioè “la libertà di coscienza e dei culti essere diritto proprio di ciascun uomo, che si deve con legge proclamare in ogni società bene costituita, e essere diritto d’ogni cittadino ad una totale libertà, che non può essere limitata da veruna autorità sia civile, che ecclesiastica, di manifestare e dichiarare i propri pensieri quali che siano tanto a viva voce, come per iscritto, sia in altro modo palesemente ed in pubblico”. E mentre queste cose temerariamente affermano, non pensano e considerano che predicano la “libertà della perdizione”(79), e che “se alle umane persuasioni fosse lecito di disputare, giammai non mancherebbero di coloro che oserebbero impugnare la verità, e confidare nella loquacità della sapienza umana; laddove quanto questa dannosissima vanità debba essere evitata dalla fede e dalla sapienza cristiana, si conosce dalla stessa istituzione del Nostro Signore Gesù Cristo” (80)» (81).

Pio IXSillabo: collezione di errori moderni condannati, estratti da vari atti del magistero di Pio IX, e pubblicati nello stesso periodo di Quanta Cura.[le seguenti proposizioni sono condannate n.d.c.]

77. «Nella nostra epoca, non è più utile che la religione cattolica sia considerata l’unica religione dello Stato, ad esclusione di tutti gli altri culti.
78. Dunque è a ragione che, in alcuni paesi cattolici, la legge ha provveduto a che gli stranieri che vi si recano godano dell’esercizio pubblico dei loro particolari culti.
79. È falso che la libertà civile di tutti i culti e che la piena facoltà lasciata a chiunque di manifestare apertamente e pubblicamente tutti i propri pensieri e tutte le proprie opinioni getti con più facilità i popoli nella corruzioni dei costumi e dello spirito, e propaghi la peste dell’Indifferentismo» (82).

Leone XIII. Enciclica Immortale Dei, del 1° novembre 1885, sulla costituzione cristiana degli Stati.
«…e poiché il popolo è considerato non altrimenti che la sorgente di ogni diritto e di ogni potere, è logico che lo Stato si ritenga sciolto da qualunque dovere verso la divinità; che non professi ufficialmente veruna religione; né si creda obbligato a ricercare qual sia tra le molte la sola vera, né ad anteporne una alle altre, né a favorirne una più delle altre, ma tutte le lasci ugualmente libere, fino a che non ne venga danno all’ordine pubblico. Sarà ancor logico… dar piena balia ad ognuno di seguire quella che più gli talenta, ed anche nessuna se così gli piace…».
Il seguito è già stato citato al capitolo VIII (83), al quale rinvio il lettore.


Ciò che viene condannato
Ciò che è comune a tutte queste condanne pontificie è la libertà religiosa, designata col nome di «libertà di coscienza» o «libertà di coscienza e di culto», e cioè: il diritto riconosciuto ad ogni uomo di esercitare pubblicamente il culto della religione scelta, senza aver noie da parte del potere civile.

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73) PIN 1.
74) PIN 19.
75) Commento al Salmo 124.
76) Ap 9, 3.
77) PIN 24, cfr. Dz 1613-1614.
78) Cfr. sopra, Mirari vos, che Pio IX cita molto liberamente.
79) Sant’Agostino, Lettera 105 (166).
80) San Leone, Lettera 164 (133).
81) PIN 39-40, cfr. Dz. 1689-1690.
82) PIN 53, cf. Dz, 1777-1779.
83) PIN 143-146.

Il Magistero solenne della Chiesa condanna la separazione fra la Chiesa e lo Stato



Preciso subito che i Papi hanno condannato la separazione fra la Chiesa e lo Stato in quanto dottrina e nella sua applicazione alle nazioni amaggioranza cattolica. È evidente che non si condanna l’eventualetolleranza di altri culti in una città peraltro cattolica, né a maggior ragione il fatto della pluralità di culti che esiste in numerosi paesi estranei a quel che si chiamava testé la Cristianità.
Fatta questa puntualizzazione, io affermo con i Papi che è un’empietà e un errore prossimo all’eresia pretendere che lo Stato debba essere separato dalla Chiesa, e la Chiesa dallo Stato. Lo spirito di fede di un san Pio X, la sua profonda teologia, il suo zelo pastorale, si levano con forza contro l’impresa laicizzante della separazione tra la Chiesa e lo Stato in Francia. Ecco quel che dichiara nella sua Enciclica Vehementer nos, dell’11 febbraio 1906, che vi invito a meditare:
«Che bisogni separare lo Stato dalla Chiesa è una tesi assolutamente falsa, un errore perniciosissimo.
«Basata infatti sul principio che lo Stato non debba riconoscere alcun culto religioso, essa è innanzitutto offensiva al massimo grado verso Dio; giacché il Creatore dell’uomo è anche il Fondatore delle società umane, e le conserva nell’esistenza come sostiene noi in essa. Non gli dobbiamo dunque non solo un culto privo, ma un culto pubblico e sociale per onorarlo.
«Inoltre, questa tesi è la negazione chiarissima dell’ordine sovrannaturale. Limita infatti l’azione dello Stato alla sola ricerca della prosperità pubblica in questa vita, che non è che la ragione prossima delle società pubbliche; ed essa non si occupa in alcun modo, come se le fosse estranea, della loro ragione ultima, che è la beatitudine eterna offerta all’uomo quando questa così breve vita avrà fine. E tuttavia, poiché l’ordine presente delle cose, che si svolge nel tempo, è subordinato alla conquista di tale bene supremo e assoluto, il potere civile non solo non deve porre ostacoli a tale conquista, ma deve aiutarci a compierla.
«Questa tesi sconvolge anche l’ordine stabilito con grandissima saggezza da Dio nel mondo, ordine che esige un’armoniosa concordia tra le due società. Queste due società, la società religiosa e la società civile, hanno infatti gli stessi sudditi, anche se ciascuna di esse esercita su costoro la sua autorità nella sua propria sfera. Di necessità ne risulta che si saranno pur delle materie la cui conoscenza e giudizio sarà di competenza dell’una e dell’altra. Ora, quando scompare l’accordo tra lo Stato e la Chiesa, da queste materie comuni pullulano facilmente i germi di controversie, che diverranno molto aspre da entrambe le parti; la nozione del vero ne risulterà sconvolta e le anime colme di una grande ansietà.
«Infine, questa tesi infligge gravi danni alla stessa società civile, perché questa non può né prosperare né durare a lungo quando non si lascia affatto il proprio spazio alla religione, che è per l’uomo una regola suprema e sovrana maestra per proteggere inviolabilmente i suoi diritti e i suoi doveri».
***

Rilevante continuità di questa dottrina
E il Santo Papa si fonda poi sull’insegnamento del suo predecessore Leone XIII, da cui cita il passo che segue, mostrando con la continuità della dottrina l’autorità ch’essa riveste:
«Dunque i Pontefici romani non hanno cessato, a seconda delle circostanze e dei tempi, di rifiutare e condannare la dottrina della separazione fra la Chiesa e lo Stato. Il Nostro illustre predecessore Leone XIII, in particolare, ha parecchie volte e in modo magnifico esposto quali dovrebbero essere, secondo la dottrina cattolica, i rapporti fra le due società».
Segue il passo di Immortale Dei che ho riportato nel capitolo precedente, e ancora questa citazione:
«[…] così gli Stati non possono, senza empietà, condursi come se Dio non fosse, o passarsi della religione come di cosa estranea e di nessuna importanza… Tener poi lontana dalla vita pubblica, dalle leggi, dall’insegnamento, dalla famiglia, la Chiesa da Dio stesso fondata, è grande e funestissimo errore» (111).
Non resta che rileggere ancora questo passo di Immortale Dei per constatare che Leone XIII afferma a sua volta che non fa che riprendere la dottrina dei suoi predecessori:
«Siffatte dottrine, riprovate anche dall’umana ragione e che tanta influenza hanno nell’andamento della società, i romani Pontefici, Nostri predecessori, ben comprendendo i doveri dell’apostolico loro ministero, non poterono lasciarle senza condanna. A tal proposito Gregorio XVI, nell’Enciclica Mirari vos, del 15 agosto 1832 […] della separazione della Chiesa dallo Stato […] portava questo giudizio: “ Ne Ci è permesso di concepire più liete speranze di vantaggi che siano per venire alla religione ed al principato dai desideri di coloro che vorrebbero separare la Chiesa dallo Stato, e rompere la vicendevole concordia dell’impero e del sacerdozio, essendo a tutti noto che i seguaci di una libertà senza pudore paventano la concordia che volse costantemente a prosperità e a salute così la civile come la religiosa società”. Similmente Pio IX, in varie circostanze secondo l’opportunità, proscrisse molti degli errori più diffusi, i quali poi ordinò che venissero raccolti tutti insieme (112) affinché, nel dilagamento di tante false opinioni, non rimanessero i cattolici senza sicura guida» (113).
Io concludo che una tale dottrina, che insegna l’unione che deve esistere fra la Chiesa e lo Stato e condanna l’errore opposto della separazione, riveste, per la sua continuità perfetta nei quattro Papi che si sono succeduti dal 1832 al 1906, e per la dichiarazione solenne che ne fece San Pio X al concistoro del 21 febbraio 1906 (114), un’autorità massima, e senza dubbio anche la garanzia dell’infallibilità.

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