ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 27 giugno 2016

Caso limite ?

VOI SIETE CHIESA ?

    Quello del movimento che si autodefinisce Noi siamo Chiesa Wir sind Kirche fondato nel 1996 da 2 scomunicati è il caso limite di una tendenza, ora strisciante, ora esplicita che si è manifestata a partire dal Concilio Vaticano 
di Francesco Lamendola  



Quello del movimento che si autodefinisce Noi siamo Chiesa, fondato nel 1996 e che vanta migliaia di aderenti in tutti i Paesi cattolici, è il caso limite di una tendenza, ora strisciante, ora esplicita, che si è manifestata a partire dal Concilio Vaticano e dai suoi più strenui sostenitori, a giudizio dei quali il genuino “spirito conciliare” sarebbe stato disatteso, o perfino tradito, dalla gerarchia ecclesiastica negli anni successivi, particolarmente da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI.
Benché i fondatori di Noi siamo Chiesa (Wir sind Kirche), i coniugi tedeschi Marta e Gert Heizer, siano stati scomunicati nel 2014 (sotto il pontificato del “progressista” Francesco, e non quello del “reazionario” Benedetto XVI), a causa della loro abitudine di celebrare la Messa nella loro abitazione privata, senza la partecipazione di sacerdoti e, quindi, profanando il sacramento dell’Eucarestia, ciò non è bastato a scoraggiare i loro numerosi seguaci, convinti, più che mai, come del resto indica la stessa denominazione del loro movimento – mai riconosciuto, si badi, dall’Autorità – di rappresentare la “vera” Chiesa, vale  a dire la Chiesa del “popolo di Dio”, aperta, inclusiva e democratica, contrapposta a quell’altra Chiesa, gerarchica, burocratica e autoritaria, cui va rivolta una critica incessante, affinché sia costretta a ritornare ciò che era alle origini, ossia a ritrovare le sue autentiche radici evangeliche.

Che tale fosse la concezione dei fondatori e dei seguaci di Noi siamo Chiesa, appariva chiaramente, del resto, dal documento di nascita del movimento stesso, con il quale essi si rivolgevano, in forma di lettera aperta, all’allora pontefice, Giovanni Paolo II, per esortarlo a favorire un radicale rinnovamento della Chiesa stessa, dopo aver lamentato amaramente che le speranze aperte nella Chiesa dal Vaticano II sono andate in gran parte deluse a causa del tentativo di imprigionarne lo spirito rinnovatore. Come dire che l’autodemolizione della Chiesa cattolica stava andando, secondo quei signori, troppo a rilento, e bisognava accelerarne il processo. In quella frase, in effetti, c’è tutto lo spirito di quel gruppo, come di numerosi altri analoghi, e, più in generale, di un gran numero di preti, religiosi e laici, i quali, pur senza fondare o aderire a nuovi movimenti ecclesiali, non cessano un minuto dal predicare, con toni “profetici” (ogni volta che si vuol sovvertire un ordine dato, i cattivi cristiani invocano il profetismo: si capisce, alla loro maniera), la necessità di condurre una critica serrata contro la “gerarchia” della Chiesa, retrogradata e avida di potere, in nome della Chiesa “autentica”, ossia del “popolo cristiano”, secondo l’equivalenza democratica fra ciò che vuole la maggioranza e ciò che è la verità. Insomma, è il “popolo” a decidere cosa sia la Chiesa, dove debba andare, cosa debba fare; non il Magistero.
Ora che siffatti cattolici “progressisti” - i quali hanno mutuato lo schema marxista della lotta di classe e lo hanno trasposto all’interno della Chiesa, contrapponendo sistematicamente gli interessi, i bisogni e le aspirazioni della Chiesa povera, spontanea e fedele al Vangelo, ad una Chiesa ricca, gerarchica e legata alle strutture di potere – hanno trovato, a torto o a ragione, nell’azione pastorale di papa Francesco, un sostegno e un modello di riferimento, la loro critica alla gerarchia si è attenuata, per non dire che è cessata, e i loro strali si rivolgono, tutto al contrario, verso quanti non vogliono sottomettersi alle sacrosante indicazioni del Magistero: quello stesso Magistero che, ai tempi di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, respingevano ruvidamente, ogni volta che lo trovavamo “autoritario”, e al quale non risparmiavano stoccate feroci, perfino ingiuriose. Curiosa (ma comprensibile) metamorfosi: coloro i quali, fino a ieri, abbaiavano contro la gerarchia, ora esigono l’obbedienza alle indicazioni che vengono da essa, e si scagliano con parole amare e con acerbi rimbrotti contro quanti osano esprimere qualche sia pur timido dissenso, osano manifestare qualche sia pur debole espressione di perplessità. Da ciò si comprende bene di che stoffa siano fatti costoro, e quali siano i loro veri scopi, al di là dei loro chiassosi slogan.
Il documento di nascita di Noi siamo Chiesa raccolse ben due milioni e mezzo di firme in tutta Europa (36.000 in Italia) e il movimento, pur non essendo stato mai riconosciuto, ha ricevuto una mezza legittimazione allorché, nel 2007, il presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Angelo Bagnasco, ha ricevuto il suo portavoce, Antonio Bellavite, che gli ha esposto i punti fondamentali sostenuti dal movimento. Tra essi: il coinvolgimento del “popolo” delle diocesi nella nomina dei vescovi; il “superamento” della distinzione fra clero e laicato; il sacerdozio femminile; il riconoscimento della condizione omosessuale; attenuazione del “rigorismo” magisteriale nella sfera sessuale, lasciando maggiore discrezionalità ai singoli credenti; abolizione dell’obbligo del celibato ecclesiastico e riammissione nella Chiesa dei preti sposati; maggiori sforzi a favore dell’ecumenismo e per l’instaurazione si una pace fondata sulla giustizia sociale. Tra le richieste particolari, quella della riabilitazione di Ernesto Buonaiuti, capofila del modernismo, scomunicato nel 1926: e qui, se non altro, bisogna apprezzare la franchezza delle intenzioni. È proprio il modernismo che si vuole riabilitare, senza tanti giri di parole: si vuol far riconoscere al Magistero che i modernisti avevano ragione; che essi erano la voce “profetica” – e ottusamente inascoltata - del rinnovamento ecclesiale; e che la Chiesa di allora (nella persona di San Pio X) aveva, puramente e semplicemente, torto. Chiaro, no? Con ciò, si otterrebbe anche un altro risultato importante: quello di chiarire, una volta per tutte, che, nella Chiesa cattolica, basta alzare la voce per riuscire a dettare la linea del Magistero, o prima o dopo.
Come si vede, la pretesa, nemmeno velata, di questo signori (dietro i quali, e neanche tanto “dietro”, si vede la mano di teologi come Hans Küng, progressisti d.o.c. e nemici dichiarati di ogni “immobilismo” e di ogni “conservatorismo”, nonché di ogni “autoritarismo”, e, in compenso, campioni di secolarismo interno e di relativismo), è quella di cambiare la struttura della Chiesa ed il suo orientamento pastorale scavalcando o aggirando il Magistero medesimo, anzi, contrapponendosi ad esso e facendosi Magistero, essa, al posto della “gerarchia” (significativa la richiesta di poter partecipare alla nomina dei vescovi, considerati come gli esponenti della Chiesa “gerarchica”); nonché di cambiare, direttamente o indirettamente, la morale cattolica, come nel caso dell’ambigua “apertura” alla condizione omosessuale, che equivale ad una sconfessione di ciò che la Chiesa ha sempre insegnato su questo argomento, sia pure distinguendo fra il peccato e la “condizione omosessuale” in se stessa: per il catechismo di Pio X, il “vizio impuro contro natura” è uno dei quattro peccati capitali, che gridano vedetta al cospetto di Dio (sarà forse un caso che, nel libretto Le mie preghiere, distribuito in tutte le chiese per l’anno del Giubileo straordinario, si passa sotto silenzio proprio questa esplicita affermazione?).
Se passa la linea sostenuta da siffatti movimenti “ecclesiali”, la Chiesa, in brevissimo volgere d’anni, si trasformerà in una qualsiasi assemblea democratica, ove si decidono le questioni a colpi di maggioranza e dove, paradossalmente, mentre si cerca l’unità di ogni costo con le Chiese separate, non ci si farà scrupolo di espellere al di fuori della Chiesa tutta quella parte del clero e dei fedeli che non si riconosce in tali posizioni e che rimane fedele a quello che è stato, per secoli e secoli, il magistero ecclesiastico, basato sulla Rivelazione divina (nelle due fonti della Tradizione e delle Scritture) e non sul volere della maggioranza. È interessante, ad esempio, che i fondatori di Noi siamo Chiesa, nel rivolgersi a Giovanni Paolo II, parlassero di un o “spirito rinnovatore” del Concilio Vaticano II, che alcuni tenterebbero di imprigionare; di uno “spirito”, cioè, scritto e pensato con la lettera minuscola, senza alcuna preoccupazione per lo Spirito Santo, che è Spirito di Verità e che dovrebbe essere, fino a prova contraria, il solo ed unico “spirito” cui fare riferimento, quando si parla della vita della Chiesa.
E, a proposito di questo “spirito” assembleare, molto umano, molto politicamente corretto, nel senso di molto democratico, che dovrebbe permeare, secondo quei signori, l’anima della Chiesa, non sarà male riportare il giudizio da essi espresso pubblicamente, ma non troppo caritatevolmente, su Benedetto XVI - reo, fra le altre cose, di non avere ascoltato la loro petizione per la soppressione definitiva della Messa tridentina (in latino), di non aver combattuto la piaga della pedofilia nel clero con sufficiente energia, e di non aver riconosciuto il carattere di “discontinuità” del Vaticano II nella Tradizione della Chiesa - con un comunicato pubblicato a caldo, il 28 febbraio 2013 (senza la decenza di aspettare neanche ventiquattro ore dalla sua abdicazione), nel quale, fra l’altro, si affermava, con malcelata esultanza, che la scelta di Benedetto XVI di dimettersi è stata l’atto più innovativo del suo pontificato, qualora però lo si viva, come noi cerchiamo di fare, come la desacralizzazione del ministero di Pietro (e non, diceva il comunicato, dell’uomo Ratzinger). Due piccioni con una fava, quindi: se n’è andato il papa inadeguato, conservatore, chiuso al “rinnovamento”, ed è stato “desacralizzato” il ministero di Pietro: evidentemente, a tutto vantaggio del conciliarismo e dello “spontaneismo” assembleare.
Bisogna dire, però, che non tutti i cattolici sono d’accordo con le posizioni di Noi siamo Chiesa e di altri simili movimenti. Una decina d’anni fa i vescovi spagnoli hanno redatto e pubblicato un documento che è molto più di una analisi, puntuale ed impietosa, della crisi attraversata dalla Chiesa iberica; è una fotografia della crisi generale della Chiesa cattolica, crisi che parte dalla stessa sostanza dottrinale e teologica e investe poi, a cascata, tutti gli aspetti della pastorale, della liturgia, della cultura, della vita parrocchiale e comunitaria, delle scelte e dei comportamenti individuali dei singoli sacerdoti e dei singoli fedeli.
Ne riportiamo alcuni passaggi fondamentali, che ci sembrano di particolare pregnanza e di scottante attualità (da: Conferenza Episcopale Spagnola, Teologia e secolarizzazione in Spagna. A quarant’anni dalla fine del Concilio Vaticano II; titolo originale:Teologia y Secularización en España. A los quarenta años de la clausura del Concilo Vaticano II; traduzione italiana sul numero 13 della rivista dei sacerdoti dehoniani Il Regno, luglio 2006):

Alcuni autori hanno difeso e diffondono concezioni erronee sul ministero ordinato nella Chiesa. Tramite l’applicazione di un metodo esegetico scorretto, hanno separato Cristo dalla Chiesa, come se non fosse nella volontà di Gesù Cristo fondare la sua Chiesa. Una volta rotto il vincolo tra la volontà di Cristo e la Chiesa, si cerca l’origine della costituzione gerarchica della Chiesa in ragioni puramente umane, frutto di mere congiunture storiche. S’interpreta così la testimonianza biblica sulla base di presupposti ideologici, selezionando alcuni testi ed elementi e dimenticandone altri. Si parla di “modelli di Chiesa” che sarebbero presenti nel Nuovo Testamento: di fronte alla Chiesa delle origini, caratterizzata dal discepolato e dal carisma”, libera da vincoli, sarebbe nata poi la Chiesa “istituzionale e gerarchica”. Il modello di Chiesa “gerarchica, legale e piramidale”, sorto successivamente, sarebbe distante dalle affermazioni neotestamentarie, che pongono l’accento sulla comunità e sulla pluralità dei carismi e ministeri, così come sulla fraternità cristiana, intesa nel suo complesso come sacerdotale e consacrata. Questo modo di presentare la Chiesa non ha fondamento reale nella Sacra Scrittura né nella tradizione ecclesiale e deforma gravemente il disegno di Dio sul Corpo di Cristo che è la Chiesa, portando i fedeli su posizioni di scontro dialettico. In modo analogo, alcuni negano la distinzione tra il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale. Chi ragiona in questo modo parte del presupposto che nel Nuovo Testamento i ministri non sono considerati come “persone sacre”, per concludere che questa “sacralizzazione” del ministero, o di un gruppo all’interno della Chiesa, sarebbe una sovrapposizione storica posteriore. La mancanza di chiarezza rispetto al ministero ordinato nella Chiesa non è estranea alla crisi vocazionale degli ultimi anni. In alcuni casi sembra addirittura che si voglia provocare “un deserto vocazionale”, così da produrre dei cambiamenti nella struttura interna della Chiesa. Concepire la vita consacrata come un’“istanza critica” all’intero della Chiesa presuppone un riduzionismo ecclesiologico. Quando si vive dialetticamente la comunione gerarchica, opponendo la “Chiesa ufficiale o gerarchica” alla “Chiesa popolo di Dio”, dal sentire con la Chiesa si passa, nella pratica, all’agire contro la Chiesa. S’invoca allora il “tempo dei profeti”, e gli atteggiamenti di dissenso, che tanto incrinano la comunione ecclesiale, si fanno passare per “denunce profetiche”. Le conseguenze di queste argomentazioni sono disastrose per tutto il popolo cristiano e, in particolare, per i consacrati.
Gli errori ecclesiologico segnalati si esprimono anche attraverso l’esistenza di gruppi che propagano e divulgano sistematicamente insegnamenti contrari al Magistero della Chiesa su questioni di fede e di morale. Approfittano della facilità con cui determinati mezzi di comunicazione sociale prestano loro attenzione e moltiplicano  le apparizioni in pubblico, le manifestazioni, i comunicati collettivi e gli interventi personali che dissentono apertamente dall’insegnamento del papa e dei vescovi.  Allo stesso tempo reclamano per sé la condizione di cristiani e cattolici, mentre  non rappresentano che associazioni prettamente civili. Non si tratta di associazioni molto numerose, ma la loro ripercussione sui mezzi di comunicazione è tale che le loro opinioni si diffondono ampiamente e seminano dubbi e confusione tra le persone semplici. Questo modo di agire rende manifesta la carenza degli elementi essenziali della fede cristiana, così come li trasmette la tradizione apostolica.
Questi gruppi, la cui nota comune è il dissenso, si sono espressi in interventi pubblici a favore delle assoluzioni collettive e del sacerdozio femminile e hanno travisato il senso vero del matrimonio proponendo e praticando la “benedizione” delle unioni tra persone omosessuali. L’esistenza di questi gruppi semina divisioni e disorienta gravemente il popolo di fedeli, è causa di sofferenza per molti cristiani (sacerdoti, religiosi e laici) ed è motivo di scandalo e di ulteriore allontanamento per i non credenti. Attraverso queste manifestazioni si offre una concezione deformata della Chiesa, secondo la quale esisterebbe un confronto continuo e inconciliabile tra la “gerarchia” e il “popolo”. La gerarchia, identificata con i vescovi, è presentata cin tratti alquanto negativi: fonte di “imposizioni”, di “condanne” e di “esclusioni”. D fronte a essa, il “popolo” con cui s’identificano questi gruppi è presentato con tratti opposti: “liberato”, “plurale” e “aperto”. Questo modo di presentare la Chiesa implica l’invito esplicito a rompere con la gerarchia e a costruire, in pratica, una “Chiesa parallela”. Per questi gruppi, l’attività della Chiesa non consiste principalmente nell’annuncio della persona di Gesù Cristo e nella comunione degli uomini con Dio, che si realizza mediante la conversione di vita e la fede nel redentore, bensì nella liberazione da strutture oppressive e nella lotta per l’integrazione di gruppi emarginati, secondo una prospettiva prevalentemente immanentista.
Esiste inoltre un dissenso silenzioso che promuove e difende la disaffezione verso la Chiesa, considerando questo un legittimo atteggiamento critico rispetto alla gerarchia e al suo magistero, giustificando il dissenso all’interno della Chiesa stessa, come se un cristiano non potesse essere adulto senza prendere una certa distanza dagli insegnamenti magisteriali. Dietro a questo atteggiamento si cela frequentemente l’idea che la Chiesa attuale  non obbedisca al vangelo e che occorra  lottare “dal di dentro” per arrivare a una Chiesa futura autenticamente evangelica. In realtà, non si cerca la vera conversione dei suoi membri, la sua purificazione costante, la penitenza e il rinnovamento, bensì la trasformazione della stessa costituzione della Chiesa, per adattarla alle opinioni e alle prospettive del mondo. Questa posizione trova appoggio in membri di centri accademici della Chiesa e in alcune Case editrici e librerie gestite da  istituzioni cattoliche. Grande è il disorientamento che tale modo di procedere causa tra i fedeli.

L’analisi, non c’è che dire, è chiara, limpida, coraggiosa. I vescovi spagnoli hanno ben visto il pericolo e hanno valutato le micidiali conseguenze di un simile andazzo. Il fatto è che le Conferenze Episcopali dei diversi Paesi sono profondamente divise: alcune la pensano come quella spagnola, altre, specie nei Paesi di lingua tedesca, simpatizzano con movimenti come Noi siamo Chiesa (il quale, in Austria, e in Germania, è particolarmente forte e agguerrito). E questa è una delle pessime conseguenze del modo di procedere di codesti “progressisti”: l’aver portato lo scontro dentro la Chiesa e aver creato, di fatto, una situazione di tensione permanente e di reciproca insofferenza fra due anime della Chiesa stessa, le quali, un po’ alla volta, rischiano di diventare due Chiese vere e proprie. Con buona pace dello Spirito Santo e del senso di unità fraterna e caritatevole che dovrebbe legare tutti i membri della Chiesa di Cristo in un solo corpo mistico.
In altre parole, se qualcuno non se ne fosse ancora reso conto, dalla conflittualità permanente si rischia di passare ad uno scisma vero e proprio.
E  non è affatto chiaro, se le tendenze attuali dovessero proseguire e accentuarsi ulteriormente, chi finirebbe per venire espulso, e chi per restare “dentro”. A quel punto (Dio non voglia che si arrivi a tanto), che cosa dovrebbero fare i cattolici di buona volontà e di retto sentire?

Voi siete Chiesa?

di Francesco Lamendola

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