ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 22 novembre 2017

La Chiesa non è proprietà del papa


L'IMPERO DELLE TENEBRE


 "Ci ha liberati dall’impero delle tenebre", il senso del cristianesimo è racchiuso in questa frase, che non è di Gesù, ma di san Paolo. Il cristianesimo nelle mani della neochiesa è diventato una specie di naturalismo camuffato 
di Francesco Lamendola  

 

Il senso del cristianesimo è racchiuso in questa frase, che non è di Gesù, ma di san Paolo, e si riferisce a Gesù: il Padre celeste ha mandato fra di noi il suo Figlio Unigenito per strapparci dal potere delle tenebre e per riscattarci mediante il sangue di Lui, così da partecipare alla vita divina, insieme agli Angeli e ai Santi, nella sua Luce infinita. Questo è il cristianesimo, e non altro. Questo è ciò che crede un cattolico, e non altro. Per un cattolico, Gesù non è venuto semplicemente a predicare l’amore e a promettere la misericordia di Dio; se è per questo, la sua predicazione è fatta anche di ammonimenti, di rimproveri: non c’è solo lo zucchero, tanto meno la promessa della salvezza per tutti. Come dice anche il profeta Isaia, nella celebre profezia dell’Emmanuele: Con la sua dottrina, il Giusto, il mio servo, giustificherà molti, e ne prenderà sopra di sé le iniquità. Per questo gli darò una gran moltitudine: egli dividerà le spoglie dei forti, perché consegnò la sua vita alla morte, fu annoverato tra i malfattori, egli che tolse i peccati di molti e pregò per i peccatori: si prenda buona nota di quel “giustificherà molti”, e non tutti; e di quel “tolse i peccati di molti”, ma non di tutti. Gesù è venuto per tutti, ma non tutti l’hanno accolto; molti lo ha rifiutato, lo hanno detestato; e così come fu messo in croce per volere del Sinedrio di Gerusalemme, così ancora oggi, e lungo il corso dei secoli, il suo nome ha sempre provocato divisioni e, da parte di alcuni, repulsione, insofferenza e odio. Ciò significa che non tutti si salveranno, per la semplice ragione che Dio ci ha dotati del libero arbitrio e non vuole salvare nessuno contro la sua volontà; non vuole farci violenza, e sia pure per salvarci: ci vuole suoi figli adottivi, ma figli che lo cercano spontaneamente, così come Lui ha cercato e cerca ciascuno di noi, e continua a sollecitarlo fino all’ultimo istante di vita. Ma se vi è chi Lo rifiuta, Lo odia e Lo disprezza sino all’ultimo fiato di vita, Dio dovrà forse portarlo in cielo con un atto di forza? 

E tanto va detto per chiarire le idee di chi, ascoltando certi discorsi che si fanno oggi dal clero progressista e modernista, pensa ormai che tutti gli uomini saranno chiamati in paradiso, alla fine della storia, vale a dire che non vi sarà alcun Giudizio, e che non vi sarà alcuna distinzione fra chi, odiando Dio, ha fatto il male, e chi, amando Dio, ha fatto il bene. Un’idea non solo sbagliata ed eretica, ma anche orribile, insopportabile, che ripugna al più elementare senso della giustizia.
Gesù, dunque, non è venuto sulla terra semplicemente a predicare; è venuto per offrirsi in Sacrificio per amor nostro, per la nostra salvezza: e questo perché l’umanità, dopo il peccato di Adamo ed Eva, era caduta sotto l’impero delle tenebre. Queste cose, fino a qualche anno fa, le sapevano anche i bambini, perché venivano loro insegnate al catechismo, e i sacerdoti, nelle loro omelie domenicali, ne parlavano spesso, così come i teologi, giustamente, ne facevano il centro della loro riflessione sul mistero dell’Incarnazione e sulla divina Rivelazione. Poi, a un certo punto, si direbbe che questi discorsi siano passati di moda; il clero ha smesso di parlarne, e così i catechisti e gl’insegnanti di religione; i teologi, poi, in tutt’altre faccende affaccendati, e cioè in svolte antropologiche, teologie negative, teologie della liberazione, hanno incominciato a parlare dei poveri, dell’amore della Chiesa per i poveri, della centralità dei poveri, e hanno smesso di parlare del peccato e della grazia, cioè hanno smesso di parlare del male e del bene. Il cristianesimo, nelle loro mani, sta diventando una specie di naturalismo camuffato: certo, non lo dicono, ma il senso della cosiddetta “svolta antropologica” è proprio questo: mettere al centro l’uomo, e non più Dio; l’uomo non come creatura, ma come essere naturale, i cui istinti, le cui passioni, le cui ambizioni, in quanto naturali, sono comunque pienamente legittimi, e Dio non può che essere lieto se noi le vogliamo attuare, le vogliamo realizzare; Dio ci benedice qualsiasi cosa facciamo perché, in una visione sostanzialmente naturalista, la natura diventa il Bene, e seguire la natura equivale a fare il bene. Un po’ comodo, non è vero? E, soprattutto, un po’ distante dal Vangelo. Eppure, è così che ce l’hanno raccontata, e stanno seguitando a raccontarcela.
E allora, andiamo a rileggerci le precise parole di san Paolo nella Epistola ai Colossesi (1, 12-20):

Fratres: Gratias agimus Deo Patri, qui dignos nos fecit in partem sortis sanctorum in lumine, qui eripuit nos de potestate tenebrarum, et transtulit in regnum Filii dilectionis suae, in quo habemus redemptionem per sanguinem eius, remissionem peccato rum: qui est imago Dei invisibilis, primogenitus omnis creaturae, quotiamo in ipso condita sunt universa in caelis et in terra, visibilia et invisibilia, sive throni, sive dominationes, sive principatus, sive potestates: omnia per ipsum, et in ipso creata sunt: et ipse est ante omnes, et omnia in ipso constant. Et ipse est caput corporis Ecclesiae, qui est principium, primogenitus ex mortui: ut sit in omnibus ipse primatum tenens; quia in ipso complacuit omnem plenitudinem inhabitare; et per eum reconciliare omnia in ipsum, pacificans per sanguinem crucis eius, sive quae in terris, sive quae in caelis sunt, in Christo Jesu Domino nostro.
Ossia:
Fratelli, ringraziamo Dio Padre, il quale ci ha fatti degni di partecipare alla sorte dei santi nella luce, e, liberandoci dall’impero delle tenebre, ci ha trasportati nel regno del suo diletto Figliuolo, nel quale, mediante il sangue di lui, abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati. Egli è l’immagine dell’invisibile Dio, il primogenito di tutte e creature, perché in lui sono state fatte tutte le cose, in cielo e in terra, visibili e invisibili, siano Troni o Dominazioni o Principati o Potestà; tutto è stato creato per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è avanti tutte le cose e tutto sussiste in lui. Egli è il capo nel corpo della Chiesa, lui che è il principio, il primo a rinascere dalla morte, e tale da avere in ogni cosa il primato. Infatti piacque al Padre che in lui abitasse ogni pienezza della divinità e, facendo la pace mediante il sangue della sua croce, per mezzo di lui ha voluto riconciliare con sé tutte le cose, quelle che sono sulla terra come quelle che sono in cielo in Gesù Cristo, nostro Signore.

Gesù, dunque, non è stato un maestro di saggezza, uno dei tanti; non è stato un predicatore di giustizia, meno ancora in senso politico e sociale; e non è stato neppure un distributore di misericordia a buon mercato, o un medico di un ospedale da campo venuto a curare i feriti dopo la battaglia, per usare un’immagine cara al papa Francesco. Non è stato niente di tutto questo. Gesù  non è stato, ma è, il Figlio di Dio, e Dio Egli stesso; ed è venuto sulla terra per aprire agli uomini la via della salvezza, per riscattarli dal peccato, prendendo su di sé le loro colpe e offrendosi in Sacrificio per loro, Lui, l’Innocente, sulla croce, a morire di una morte infame, ignominiosa, quella degli schiavi fuggiaschi: la più umiliante, la più spregevole, la più dolorosa. Gesù, il Figlio di Dio, la seconda Persona della Santissima Trinità, si è fatto uomo per riscattare l‘umanità, da uomo, in quanto uomo, pur essendo Dio; cioè per mostrare a noi, uomini, come si fa a vivere, e, se necessario, a morire in perfetta obbedienza al Padre nostro che sta nei Cieli. Questo è il senso della sua vita; e chi lo prende per un maestro di morale, tradisce completamente il suo Vangelo e si fa seguace di una cosa ben diversa dal cristianesimo, di un’altra religione; anzi, nemmeno di una religione, ma di una dottrina morale buona per tutti i gusti, dato che non chiede all’uomo che il minimo sforzo e poi promette la salvezza a tutti quanti. Secondo codesta dottrina modernista e buonista, Dio (vedi l’esportazione apostolica Amoris laetitia) dice agli uomini, press’a poco, così: Cari miei, figli diletti, cercate di non peccare, se potete; ma se non potete, ebbene pazienza, fate quel che potete, come potete, meglio che potete, e non preoccupatevi troppo: penso io a tutto, rimedio io a tutto, perdono io tutto. Ma questo non è cristianesimo, questo non ha niente a che fare col Vangelo di Gesù: questo è il capovolgimento del Vangelo. Bisogna dirlo, anche se è doloroso: se il papa, o chiunque altro, predica una dottrina di questo tipo, egli è fuori dal cristianesimo, fuori dal cattolicesimo, e fuori, in realtà, dalla Chiesa. Perché la Chiesa non è proprietà del papa, né di nessun altro che non sia Gesù Cristo, la seconda Persona della santissima Trinità, che l’ha fondata e l’ha affidata ai suoi Apostoli; e l’ha affidata loro perché tramandino e conservino integra la sua dottrina, senza nulla togliere e senza nulla aggiungere, appunto perché essa non è cosa loro, ma sua. E guai a quell’uomo il quale ardisse aggiungere o togliere anche solo uno iota! Costui si assumerebbe una responsabilità gravissima, schiacciante.
Vorremmo capire, perciò, se, da qualche tempo a questa parte, la dottrina della Chiesa è cambiata. La Chiesa crede ancora che Gesù Cristo è il Figlio Unigenito di Dio, venuto sulla terra per riscattare l’umanità dal peso del Peccato originale e per prendere su di sé il castigo che era destinato ad essa? La Chiesa crede ancora al valore redentivo della sofferenza vicaria? Crede ancora, cioè, come tutti i Santi hanno sempre saputo, insegnato e, in parecchi casi, praticato, che un innocente può offrire se stesso in sacrificio di riparazione per i peccati dei malvagi? E, se ci crede ancora, perché non lo dice, perché ha smesso di parlarne, perché ha smesso di predicarlo? È strano, molto strano, che siamo noi, i fedeli laici, a dover fare simili domande al clero: perché, da che mondo è mondo, e da che la Chiesa è la Chiesa, è il clero che insegna queste cose ai fedeli, è esso che istruisce i credenti, che spiega loro il valore del sacrificio cristiano e, quindi, il valore insostituibile del sacrificio di Cristo. Se non è il clero a parlare di ciò, di che cosa deve parlare, dunque? Della giustizia sociale? Ma possono farlo, e anche meglio, i politici e i sindacalisti. Dell’ambiente e dei problemi legati all’inquinamento? Ma possono farlo gli ecologisti e gli ambientalisti, e anche meglio. Del dialogo con le altre religioni, dei meriti di Lutero, della riforma protestante come opera dello Spirito Santo, del diritto di cittadinanza per i bambini stranieri che nascono in Italia? Ma sono questioni opinabili, di natura privata, quando non sono delle eresie belle e buone, come nel caso di Lutero. In ogni caso, sono parole umane, terrene, molto, molto labili, perché legate alla storia, alla politica, alla sociologia, alla psicologia, all’ecologia. Non sono queste le parole che i fedeli hanno bisogno di sentire; non sono queste le parole di vita eterna, delle quali Gesù Cristo ha fatto dono perenne e inalienabile all’umanità di ieri, di oggi e di sempre.

Ci ha liberati dall’impero delle tenebre

di Francesco Lamendola

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