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mercoledì 29 maggio 2019

Noi dove eravamo, in tutti questi decenni?

CONCILIO E ETEROGENESI DEI FINI


Di Nola, Pinay, don Cozzi e l’eterogenesi dei fini. Ciò che è stato condannato all’oblio oggi riappare grazie allo zelo dei custodi del "politicamente corretto" e offre spunti di lavoro e riflessione agli spiriti liberi di oggi 
di Francesco Lamendola  

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Una volta presa consapevolezza che il signore argentino che si fa chiamare papa non è papa, ma solo lo strumento della massoneria ecclesiastica per soggiogare e stravolgere definitivamente la vera Chiesa, trasformandola nella sinagoga di Satana; una volta compreso che questo disegno parte da lontano, almeno dal Concilio Vaticano II, anzi, che si rende visibile a partire dal Concilio, ma risale molto più indietro; e una volta compreso che la strategia per controllare e piegare ai suoi fini la Chiesa è la stessa che il grande potere finanziario sta perseguendo da decenni, per non dire da secoli, per impadronirsi della vita degli Stati e delle società, per dominare le loro economie, per imporre la sua cultura e la sua morale, resta aperto lo scottante interrogativo su come ciò sia potuto succedere, e prosegua tuttora, senza che la maggior parte di noi se ne sia resa conto per tempo, o l'abbia capito almeno dopo qualche anno. 

Noi dove eravamo, in tutti questi decenni? La nostra mente, la nostra sensibilità, la nostra capacità di giudizio, erano per caso andate in vacanza? Ci stavano scippando la nostra identità, le nostre radici, i nostri valori e la nostra meta, letteralmente sotto il naso, a volte con indubbia abilità, altre volte, e sempre più spesso, con immensa spudoratezza: come è stato possibile che non ce ne siamo accorti quando ancora era possibile reagire, bloccare la manovra in atto, mobilitare le forze sane della società e della Chiesa? A questo scomodo interrogativo piacerebbe poter rispondere che non ce ne siamo accorti perché, nella nostra buona fede, se vogliamo nella nostra ingenuità, eravamo lontanissimi dal sospettare che un simile complotto fosse in atto, e che si stesse sferrando una tale offensiva per rubarci quel che di più prezioso abbiamo ricevuto dalle passate generazioni: la fedeltà alla Tradizione e il rispetto della nostra identità. Sarebbe bello se potessimo dare questa risposta; purtroppo, non lo possiamo. Esistono dei dati di fatto incontrovertibili che attestano come noi, se pure non eravamo in grado di vedere e di capire, presi nel clima torbido e agitato che regnava dal secondo dopoguerra al dilagare del modello consumista americano, qualcuno era capace di vedere e di capire e ha dato l'allarme, ma noi non abbiamo voluto ascoltare il suo grido, abbiamo preferito fare finta di nulla e, anzi, accusare quei pochi, più lucidi e coraggiosi di tutti gli altri, di essere dei fissati, dei paranoici, dei nostalgici inguaribili di forme passate e superate.

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Lo scottante interrogativo! Mentre ci stavano scippando la nostra identità, le nostre radici, i nostri valori cristiani  sotto il naso, come è potuto succedere, e proseguire tuttora, senza che la maggior parte di noi se ne sia resa conto per tempo, o l'abbia capito almeno dopo qualche anno. Noi dove eravamo, in tutti questi decenni?

Prendiamo il caso del Vaticano II. Oggi, una volta compreso che esso fu l'occasione per rivelarsi ed affermarsi della massoneria ecclesiastica, capeggiata da uomini come Augustin Bea e Annibale Bugnini, ma anche incoraggiata da Giovanni XXIII e Paolo VI, e affiancata, e forse diretta, dal B'nai B'rith, possiamo sempre consolarci della nostra inerzia e della nostra passività sostenendo di non aver compreso cosa ci fosse realmente dietro la sua convocazione, e quali fossero i veri fini del partito progressista, cioè distruggere le difese e aprire le porte al nemico, cioè allo spirito del mondo moderno, la massoneria, l'ebraismo internazionale, il marxismo, il liberalismo, il radicalismo, il secolarismo, il materialismo, l'indifferentismo religioso. Eppure, qualcuno aveva lanciato l'allarme. Per esempio, sappiamo che all'inizio del Concilio fu distribuito ai padri conciliari un libretto, stampato in migliaia di copie, Complotto contro la Chiesa, di Maurice Pinay, nel quale si metteva in guardia contro la linea che il partito progressista voleva imporre nei confronti dell'ebraismo, e che sarebbe culminata nella Nostra aetate e nella Dignitatis humanae, denunciando come, dietro le apparenze di voler combattere i pregiudizi antisemiti, in realtà si voleva sostenere l'assurda tesi che gli ebrei non devono convertirsi, perché già salvi grazie all'Antica Alleanza, e perciò che esistono due verità e due vie per la salvezza: una per gli ebrei e un'altra per i cristiani.

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1965, Nostra aetate: è la svolta decisiva!

Ecco come riporta questo episodio un antropologo e storico delle religioni che la cultura politicamente corretta esalta, ancora oggi, come uno dei più seri studiosi italiani in questi campi, Alfonso Maria di Nola (Napoli, 9 gennaio 1926-Roma, 17 febbraio 1997), mentre a noi pare che sia stato uno dei più faziosi, spiccando perfino nel contesto di super faziosità che dominava la cultura italiana, anche accademica, negli anni ’60 e ’70 del Novecento, a motivo del suo marxismo ultra militante, nonché del suo sostegno incondizionato all'ebraismo e al sionismo, e il suo conseguente livore e la totale mancanza di obiettività nel considerare le ragioni di quelli che per lui erano solo dei biechi antisemiti, dei fascisti e dei nazisti, squalificati in partenza, anche quando si trattava di personaggi e di studiosi di tutt'altro orientamento politico e culturale, ma che lui considerava tali per la propria, assoluta incapacità di tollerare che qualcuno potesse muovere anche la più lieve critica all'ebraismo e al ruolo svolto dagli ebrei, specie quelli di osservanza talmudica, nelle vicende storiche dell'Italia, dell'Europa e del mondo moderno e contemporaneo (da A. M. Di Nola, Antisemitismo in Italia, 1962-1972, Firenze, Vallecchi, 1973, pp. 22-23 e 108-109):
Il 10 gennaio 1963 la rivista cattolica "Vita" (Roma), in un servizio ben documentato, denunziava la distribuzione ai padri conciliari di quattromila copie del "Complotto contro la Chiesa" di M. Pinay, e, calcolandone la spesa in sei milioni dell'epoca, non aveva dubbi sull'identità degli ambienti che potevano essere interessati ad un'operazione del genere. Il redattore dell’articolo segnalava che l’ispirazione del libello “è di evidente tono neo-nazista” e lo valutava come una preoccupata reazione del neonazismo italiano alle iniziative della Chiesa contro l’antisemitismo (nella Conferenza alla stampa estera del 25 aprile 1962, il card. Bea aveva annunciato le proposte relative alla “Dichiarazione sugli Ebrei”). I neo-nazisti si trasformavano, quindi, in paladini improvvisati di una “ortodossia” cattolica antisemita e avrebbero coinvolto il card. Bea, i suoi collaboratori, gli uomini avanzati del Concilio nella risibile accusa di essere al servizio dell’Ebraismo internazionale. I mutati indirizzi teologici ed esegetici della Chiesa divenivano, in fondo, per il neonazismo italiano  un rischio grave: la perdita di un’alleanza antisemita che poteva essere utile e proficua. Presso a poco nello stesso periodo interveniva sul problema Renzo De Felice (“L’ultima maschera”, in “La rassegna mensile di Israel”, XXIX, 1-2 gen.-feb. 1963, particolarmente p. 66), il quale avanzava l’ipotesi che il libro del Pinay fosse il frettoloso rifacimento di un pamphlet tradotto dallo spagnolo e redatto probabilmente in Argentina o in altro paese sudamericano da fuggiaschi nazisti. La tradizione e diffusione era stata curata, secondo il De Felice, da neonazisti italiani; e la matrice era evidente poiché mancava, nel “Complotto”, ogni esplicita condanna delle persecuzioni hitleriane. […]
[Il libro di M. Pinay] fu distribuito ai Padri Conciliari con la fascetta: ”Rispettosamente raccomandiamo agli illustri Padri Conciliari l’immediata lettura della Prefazione e dell’Indice”.
Diretto intenzionalmente contro le decisioni circa gli Ebrei che il Concilio stava per prendere, raccoglie i temi arcaici della libelli ostica teologica antisemita di matrice cristiana, sostenendo, in particolare, che i mutati atteggiamenti della Chiesa nei confronti dell’Ebraismo sono il frutto dell’azione disgregatrice di una quinta colonna ebraica infiltratasi nel clero (“Si sta compiendo la più perversa cospirazione contro la santa Chiesa”, p. 1).

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E' questo il volto del misterioso Maurice Pinay?

Come abbiamo detto, non vi è neppure l’ombra del doveroso sforzo di obiettività che dovrebbe caratterizzare il lavoro dello storico: quel che conta, qui, non è comprendere, ma scomunicare senz’altro gli “antisemiti”, includendo in questa categoria chiunque, per esempio fra i cattolici, trovi che documenti come la Nostra aetate rompono con la sana teologia e con l’autentico Magistero, dunque con la Tradizione, e creano le premesse per una completa sottomissione del cattolicesimo al giudaismo. Il fatto stesso che gli autori della stampa e della diffusione del libro di Pinay, dal Di Nola definito un “libello”, siano qualificati come neo-nazisti, pur non essendovi alcuna prova a sostegno di questa asserzione, ma solo una serie di induzioni di ordine assai generale e decisamente contestabili, la dice lunga sulle intenzioni di costui. Di Nola, abituato a fare storia dall’alto dei suoi pregiudizi e dei suoi preconcetti anticattolici e anticristiani (come si vede nel suo libro su Il diavolo, di nessun valore scientifico, nel quale dà sfogo a tutti i più vieti pregiudizi anticattolici della tradizione massonica e di quella anticlericale) non esista ad accusare di pregiudizio antiebraico tutti quelli che non si allineano preventivamente alla sua linea, sintetizzabile nella formula che gli ebrei, in qualsiasi controversia con i non ebrei, hanno sempre e comunque ragione; che, essendo stati perseguitati, hanno dei conti arretrati da riscuotere; e che sostenere una tesi diversa da quella del persistere, fra i cristiani, di un secolare antisemitismo gratuito, immotivato, o dettato da puro odio religioso contro i “deicidi”, equivale ad allinearsi sulle posizioni del neo-nazismo e del neo-fascismo (due ideologie che egli non esita ad accostare, dichiarando insussistente la distinzioni fra esse).

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Il cardinale Augustin Bea, qui nella foto con il rabbi Abraham Joshua Heschel durante il meeting del 1963 con la rappresentanza dell'American Jewish Committee, fu uno dei protagonisti del Concilio Vaticano II, impegnandosi in prima persona alla stesura della dichiarazione Nostra aetate.

Di Nola, Pinay, don Cozzi e l’eterogenesi dei fini

di Francesco Lamendola

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