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giovedì 29 settembre 2011

PAOLO VI: IL PAPA CHE CAMBIÒ LA CHIESA (CAP. 4)

PAOLO VI: IL PAPA CHE CAMBIÒ
LA CHIESA (CAP. 4)



«... e la prima opinione che ci si forma di un principe, e della sua capacità di comprensione, è l’osservare gli uomini che egli ha intorno; e quando questi sono capaci e fedeli egli può sempre essere considerato saggio, perché ha saputo come riconoscere le persone capaci e mantenerle fedeli. Ma, quando questi uomini sono altrimenti, non ci si può formare una buona opinione del principe, per l’errore fondamentale che egli ha fatto nel sceglierli». (Niccolò Macchiavelli, “Il Principe”, 1513). Una volta a Milano, il 57enne Montini si trovò improvvisamente libero, dopo 30 anni, dal controllo della Curia e dal freno Papale. L’Arcivescovo Montini stabilì un nuovo corso per sè stesso che avrebbe lasciato un marchio indelebile sul suo Vescovado e poi sul suo futuro Pontificato. Egli riunì intorno a sé una cricca di compagni di viaggio di mentalità liberale, anarchici, comunisti, socialisti, mafiosi e membri della comunità artistica e letteraria d’“avanguardia”. ...
... Come la virtù attrae uomini di virtù, così il vizio attrae uomini viziosi. Molto presto, fu chiaro che Montini non era un prete mariano. Egli fu, infatti, un prete Maritainista, una persona completamente diversa.
Sin dal primo giorno del suo arrivo, i milanesi, che avevano una grande devozione per la Madre di Dio, cominciarono a lamentarsi che l’Arcivescovo Montini mancava di “sensibilità Mariana”, un’accusa rinforzata dalla cospicua assenza dell’Arcivescovo alla tradizionale festività di incoronazione di Maria e pellegrinaggio a Loreto, e la non-partecipazione alla recita pubblica del Rosario”. Il biografo di Papa Paolo VI, Hebblethwaite, cercò di addolcire il criticismo affermando che Montini preferiva una “mariologia Cristocentrica”, ma persino questa concessione verbale lascia il tempo che trova. In realtà, la teologia di Battista Montini era antropocentrica e non teocentrica. Aveva come centro l’uomo e non Dio.
Montini era il più grande e influente discepolo di Jacques Maritain e del suo “Umanesimo Integrale”, abilmente descritto da H. Caron in “Le Courrier de Rome” come comprendente «... una fraternità universale di uomini di buona volontà appartenenti a diverse religioni o a nessuna religione affatto. È all’interno di questa fraternità che la Chiesa dovrebbe esercitare una lievitante influenza senza imporre sè stessa e senza chiedere di essere riconosciuta come la sola vera Chiesa».
L’Abate Georges de Nantes coglie lo spirito dell’“Umanesimo Integrale” di Maritain nel suo acronimo MASDU - un Movimento per l’Animazione Spirituale della Democrazia Mondiale (Movement d’Animation Spirituelle de la Democrazie Universelle) nel quale la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo sostituisce il Vangelo di Gesù Cristo; “Democrazia Universale” è diventata un’analogia del “Regno di Dio” sulla terra, e la funzione della religione è di fornire da ispirazione e “Animazione Spirituale” per l’umanità, così rigenerata - essendo il prodotto finale del MASDU il completo annichilimento della Religione e della sua “metamorfosi in un Umanesimo ateo”.
Si diceva che il nuovo Arcivescovo di Milano non udiva le campane delle chiese, ma udiva le sirene delle aziende. Non sorprende, quindi, che una delle sue prime visite alla residenza episcopale, Jacques Maritain, ex grande filosofo tomista, portò con lui, Saul David Alinsky, l’“Apostolo della Rivoluzione Permanente”. Montini fu così impressionato dell’uomo che Maritain chiamò suo “appassionato amico personale” e “uno dei grandi e veri uomini di questo secolo”, che invitò Alinsky ad essere suo ospite per due settimane, per poterlo consultare sulle relazioni della Chiesa con i Sindacati Comunisti locali.
Nato a Chicago nel 1909, Saul Alinsky, un ebreo non credente, era un laureato dell’Università di Chicago. Nel 1940, egli fondò la “Industrial Areas Foundation” come una vetrina per la sua tattica rivoluzionaria per organizzare le masse per il potere.
I più stretti associati di Alinsky si trovavano tra i membri della Gerarchia Cattolica e del Clero, incluso il card. Mundelein, il suo protetto vescovo Bernard Sheil, il prete- attivista John Egan, uno dei primi promotori di “Call Acion”.
Il sostegno e la fonte finanziaria principale di Alinsky era la famiglia Rockefeller, la ricchissima e segreta “Communist Marshall Field”, e la Conferenza Episcopale Americana (USCC) e la Chiesa Cattolica Americana. Alinsky lavorò gomito a gomito con il Partito Comunista USA fino alla sua rottura con questo Partito, dopo la firma del Patto Sovietico-Nazista.
In: “Jacques Maritain e Saul David Alinsky - Padre della Rivoluzione ‘Cristiana’”, Hamish Fraser, editore di “Approches”, scrisse di Alinsky: «Alinsky è un prodotto del Naturalismo Massonico e Rivoluzionario Marxista, i quali, entrambi, apprezzano la necessità delle élites di prendere e mantenere il potere politico... Alinsky era un non credente al quale l’idea di dogma era un anatema... Dato il Naturalismo di Alinsky, non sorprende che non vi sia alcuno spazio nella sua “etica sociale” per nessun Assoluto, e per nulla che fosse intrinsecamente “buono” o “cattivo”... Divorziato e risposatosi tre volte, egli mostrava tutto il suo disprezzo per “la vecchia cultura, quando la verginità era una virtù”... La “chiesa di oggi e di domani” di Alinsky non doveva essere né Cattolica, né Protestante, né Ebrea, né Islamica, né Buddhista, né Animista, ma un unico sincretismo mondiale, amalgama sinaptico di tutte i credi esistenti».
Come osserva Fraser, ciò che distingueva Saul Alinsky non era «la sua ricetta per una Chiesa mondiale sincretista, ma che egli fu il primo che fece ampiamente accettare questa sua idea all’interno della Chiesa Cattolica ».
Comunque, se Jacques Maritain e il suo più grande discepolo Papa Paolo VI non avessero gettato le fondamenta per la Rivoluzione nella Chiesa, l’alleanza di Alinsky e la sua intimità con la Chiesa Cattolica sarebbe stata impossibile - conclude Fraser.
Durante i suoi otto anni di Arcivescovo di Milano, la politica sempre più radicale di Montini lo portò in conflitto con altri membri della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), tra cui l’Arcivescovo Gilla Vincenzo Gremigni della Diocesi di Novara. Una volta che si stabilì nella diocesi, l’Arcivescovo Montini prese la decisione di chiudere e spostare altrove “Il Popolo d’Italia”, un giornale ben consolidato, e pubblicato dalla Diocesi di Novara. Il vescovo Gremigni, Ordinario di Novara, protestò, e giustamente, perché questo atto non era di giurisdizione dell’Arcivescovo Montini.
Ai primi di gennaio 1963, solo sei mesi prima della sua elezione al Soglio Pontificio, Montini inviò all’Arcivescovo di Novara una lettera di tale contenuto che, al leggerla, Gremigni ebbe un fatale attacco di cuore. La lettera fu trovata dall’Ausiliare di Gremigni, Mons. Ugo Poletti, il quale la custodì per sè. Quando Montini partì da Milano per Roma, il fantasma dell’Arcivescovo Gremigni lo seguì nella persona di Mons. Poletti. Nel 1967, la stampa italiana ricevette l’informazione che la morte dell’Arcivescovo Gremigni aveva a che fare col nuovo Papa. Subito dopo, Paolo VI elesse Poletti a capo della Diocesi di Spoleto. Fu la prima di una serie di apparenti miracolose e spontanee promozioni papali dell’ambizioso Prelato, che incluse anche il posto di Vicario di Roma, la Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana e la nomina Cardinalizia, conferitagli da Paolo VI, il 5 marzo 1973.
LA MAFIA DI MILANO DELL’ARCIVESCOVO MONTINI
Due dei più stretti aiutanti dell’Arcivescovo Montini a Milano furono Mons. Giovanni Benelli e Mons. Pasquale Macchi. Montini aveva reclutato Benelli all’età di 26 anni, solo pochi anni dopo la sua ordinazione, per servire come suo segretario alla Segreteria di Stato. Quando Montini andò a Milano, Benelli lo seguì. Dopo l’elezione di Montini al Papato, Benelli lo seguì a Roma. Nel 1966, servì come Nunzio Papale in Senegal, e poi tornò a Roma come Rappresentante di Paolo VI per la Curia Romana. Un anno prima della sua morte, Paolo VI fece Cardinale Benelli, il suo fedele servitore, e lo nominò Arcivescovo di Firenze41. Uno dei più famosi protetti di Benelli fu il prete americano (poi fatto Cardinale) Justin Rigali. II rivale di Benelli, per le attenzioni e l’affetto di Paolo VI, era il suo segretario personale, Mons. Pasquale Macchi, che aveva ricevuto il soprannome di “Madre Pasqualina di Montini”.
Nativo di Varese, Macchi era un insegnante di Seminario e sapeva come cavarsela nella città di Milano e nel suo mondo sotterraneo. Macchi aveva un’affinità per la filosofia francese e per l’arte moderna, ed egli chiamò molti dei suoi amici artisti, perché si incontrassero con Montini. Dopo l’elezione di Montini al papato, Macchi seguì il suo padrone a Roma dove egli diventò il consigliere del Papa in ogni aspetto di estetica e il depositario dei segreti più oscuri. Macchi, che Peter Hebblethwaite afferma essere stato “molto ben collegato col mondo della finanza”, era in rapporti molto stretti con quattro importanti consiglieri finanziari del Papa: Michele Sindona, Mons. Paul Marcinkus, Roberto Calvi e il vescovo Donato De Bonis - tutti ladri.
Sebbene diversi per personalità e temperamento, Macchi e Benelli avevano una cosa in comune: la loro appartenenza alla Massoneria. Nel 1976, i nomi (insieme al numero di codice e la data di iniziazione) di Mons. Pasquale Macchi e Mons. Giovanni Benelli apparvero su una lista di funzionari vaticani appartenenti alla Massoneria. Questa lista fu pubblicata su “Il Borghese”. Comunque, le accuse che i due uomini, intimi del Santo Padre, erano massoni sembra non aver avuto alcun effetto sulla loro futura carriera, sia sotto il pontificato di Paolo VI che sotto quello di Giovanni Paolo II.
L’ARCIVESCOVO MONTINI INCONTRA “GLI SQUALI”
Michele Sindona, detto “lo squalo” aveva messo radici nel mondo sommerso della finanza di Milano, molto prima che Montini divenisse Arcivescovo in quella città.
Nato a Messina nel 1917, Sindona, educato dai Gesuiti, stava studiando Legge, quando le truppe britanniche e americane invasero l’Italia, durante la seconda Guerra Mondiale. L’intraprendente Sindona decise di sfruttare l’occasione che offriva il lucrativo mercato nero, e si mise nel traffico dei limoni e del grano. Poiché la Mafia siciliana controllava il traffico dei prodotti, Sindona fece un accordo col capo mafioso, Vito Genovese, al quale Sindona dava una certa percentuale dei suoi guadagni, in cambio di protezione per il suo business e per la sua persona.
Nel 1948, Sindona lasciò la povera zona del Sud, devastata dalla guerra, per emigrare a Milano, la città più ricca e industrializzata del Nord, dove egli divenne “consigliere finanziario” di parecchi milanesi ricchi e influenti. Le sue credenziali mafiose lo seguirono al Nord.
Nel 1954, quando Sindona seppe che Pio XII aveva nominato Montini Arcivescovo di Milano, egli si assicurò una lettera di raccomandazioni da parte dell’Arcivescovo di Messina, la sua diocesi di origine. Poco dopo, Sindona acquisì un nuovo cliente in Montini e nella Chiesa Milanese. L’Arcivescovo Montini fu così grato a Sindona che lo portò a Roma per introdurlo al Principe Massimo Spada, un funzionario anziano dell’“Istituto per le Opere Religiose” (IOR).
Lo IOR, popolarmente conosciuto come deposito del patrimonio della Chiesa, era caratterizzato per le sue opere caritative45. Sindona divenne un “uomo di fiducia” e gli fu dato pieno controllo sul programma degli investimenti stranieri dello IOR.
Il patrimonio complessivo dello IOR, a quel tempo, era di circa un miliardo di dollari, ma il patrimonio era un aspetto secondario allo stato esentasse dello IOR e alla sua potenzialità di riciclaggio per soldi sporchi, specialmente i soldi della Mafia guadagnati col traffico di eroina, prostituzione e per i contributi politici illegali dalle fonti del mondo sotterraneo inclusa la Massoneria.
Nel 1960, Sindona, che lavorava con il vecchio adagio che “il modo migliore di rubare da una banca è quello di possederla”, acquistò la sua banca, la Banca Privata e, in brevissimo tempo, ricevette depositi provenienti dallo IOR. Egli usò questi fondi per costruire la piramide dei suoi investimenti e iniziò a riciclare fondi illegali attraverso la Banca Vaticana. Dopo l’elezione di Papa Paolo VI, Sindona seguì Montini a Roma e divenne uno dei maggiori intrallazzatori allo IOR. Le sue operazioni e il suo portafoglio finanziario crebbero esponenzialmente.
Nel 1964, Sindona creò una ditta internazionale di brokeraggio di valuta, chiamata “Moneyrex” con 850 banche clienti e un giro finanziario annuale di 200 miliardi di dollari. Molti membri del “Palazzo”, i ricchi e i famosi di Roma, utilizzavano la “Moneyrex” per proteggere le loro fortune dal fisco, attraverso acconti illegali off shore. Sindona teneva un registro segreto delle transazioni dei clienti di “Moneyrex” come assicurazione per eventuali e futuri giorni di resa dei conti.
Il Vaticano e Papa Paolo VI, insieme ai nomi e ai numeri dei conti segreti dei membri di spicco del Partito della Democrazia Cristiana come del Partito Socialista e di quello Social-Democratico, erano tutti elencati nel piccolo libro nero di Sindona. Alla fine degli anni 1960, il “Gruppo Sindona” includeva sei (in seguito nove) banche in Italia e all’estero e più di 500 corporazioni giganti e conglomerati.
Una di queste banche, la Franklin National Bank di New York, la diciottesima banca degli Stati Uniti, con un patrimonio di più di 5 miliardi di dollari, fu acquistata in parte con i soldi che Sindona aveva scremato dalle sue banche italiane. Egli, inoltre, aveva scremato fondi dai suoi padroni segreti, e cioè la Mafia Siciliana e dopo il 1971, dalla Loggia Propaganda 2 (P2), una Loggia massonica di ispirazione mafiosa, capeggiata dal Gran Maestro Licio Gelli.
In aggiunta, Sindona si occupava anche di transazioni finanziarie per la Central Intelligence Agency (CIA) che, durante il periodo post bellico, aveva versato somme ingenti in Italia, parte delle quali entrarono nella Banca Vaticana. Nel frattempo, l’amico di Sindona, Papa Paolo VI doveva fronteggiare il montare della marea delle critiche che provenivano dallo Stato.
Il Governo italiano minacciò di togliere lo stato esentasse sulla Chiesa, sulle sue proprietà e sui suoi investimenti, che la Santa Sede aveva fatto sin dai tempi del regime fascista di Mussolini.
Sotto la modificata legge fiscale, lo Stato Vaticano sarebbe stato tassato come un qualunque ente corporativo.
Sindona, allora, propose uno schema per nascondere il denaro vaticano in investimenti off-shore, e Paolo VI acconsentì.
A cura del sac. dott. Luigi Villa
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