Valutazioni e retroscena vaticani della marcia indietro sul San Raffaele
La spinta decisiva che ha convinto il Vaticano a uscire dal San Raffaele l’hanno data due cardinali lombardi di peso, espressione all’interno della curia romana della cosiddetta “finanza bianca”: il cardinale varesino Attilio Nicora, presidente dell’Aif, la nuova authority incaricata di controllare l’attività finanziaria di tutti gli enti del Vaticano, e il cardinale bresciano Giovanni Battista Re, ex capo dei Vescovi. I due porporati, nei giorni scorsi, hanno fatto sapere all’appartamento papale, tramite l’invio di una nota scritta, che non era il caso che la cordata guidata dal manager Giuseppe Profiti, dal presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi e dal finanziere Vittorio Malacalza confermasse il proprio impegno. E il Papa, forte anche del parere divenuto, alla fine, negativo dello stesso segretario di stato Tarcisio Bertone, ha deciso per l’uscita.
Così ieri la Santa Sede non ha pareggiato l’offerta di 405 milioni di euro che l’imprenditore della sanità Giuseppe Rotelli ha messo sul piatto per acquistare l’ospedale che fu di don Verzé.
Nicora e Re hanno valutato ogni cosa. Il rischio che nell’affare si replicassero gli errori commessi ai tempi del crac del Banco Ambrosiano sono stati ritenuti reali. Il buco finanziario dell’ospedale, infatti, è un’entità difficilmente quantificabile. Lo Ior chiuse la vicenda dell’Ambrosiano versando 406 milioni di dollari a titolo di “contributo volontario”. Ma oggi un nuovo e ingente esborso per un fallimento del quale la Santa Sede non ha responsabilità non sarebbe tollerabile. Non solo: esiste anche un intoppo giuridico. Lo Ior non può, per statuto, impegnarsi in un’operazione del genere. Gotti Tedeschi ha fatto notare più volte la cosa all’interno dei sacri palazzi, tanto che si dice sia lui oggi il più sollevato per il dietrofront.
Nei mesi passati erano stati anche l’arcivescovo di Milano Angelo Scola e il presidente della Cei Angelo Bagnasco a esprimere a Bertone riserve sull’operazione, anche per il fatto non secondario che l’ospedale di Verzé non aveva poi molto, nei suoi statuti e meno nelle sue prassi, che lo legasse alla chiesa: dal ricorso alla fecondazione artificiale alle ricerche svincolate dai criteri etici del magistero. Un accordo non scritto fra i tre porporati sanciva la possibilità di abbandonare la partita entro sei mesi. Così è stato. Il progetto di un grande polo sanitario d’eccellenza, dunque, con il San Raffaele, il Bambin Gesù, la Casa Sollievo di San Giovanni Rotondo e il Policlinico Gemelli sembra accantonato.
© - FOGLIO QUOTIDIANO
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