Terra Santa, il grande freddo tra Patriarcato e Israele
Il moderato e spirituale monsignor Fouad Twal ha polemizzato duramente con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu che aveva criticato il capo dell'Autorità nazionale palestinese dopo gli accordi con Hamas. Sullo sfondo il dibattito sui luoghi santi delle religioni
GIACOMO GALEAZZICITTÀ DEL VATICANONel 1948 i cristiani a Gerusalemme erano 30mila, ora sono meno della metà. Monito del Patriarca a Israele. Con una serie di interventi pubblici, l’arcivescovo Fouad Twal, patriarca latino di Gerusalemme, chiede alla comunità internazionale di mobilitarsi per favorire una «stretta separazione tra religione e politica» in Terra santa.
E la controversia sul Cenacolo rimane irrisolta, simbolo della difficile gestione del patrimonio storico ecclesiastico nello Stato ebraico. Al governo israeliano, il patriarca Twal rimprovera il «divieto di evangelizzazione e gli attacchi alle chiese da parte dei gruppi radicali». A differenza del suo predecessore filo-palestinese Michel Sabbah, il patriarca Twal è un moderato e un fervente promotore del dialogo con Israele. Proprio per questo la sua denuncia suona ancor più incisiva e significativa nello scacchiere mediorientale.
Da tempo la Commissione teologica del Patriarcato latino di Gerusalemme condivide «le speranze e le aspirazioni dei nostri popoli che vivono in mezzo alla violenza e alla disperazione in Terra santa, Israele, Palestina e Giordania». E «il sentimento d’impotenza, la frustrazione e la disperazione mettono in circolo collera e vendetta e conducono a una spirale di violenza senza fine». Ma tra il patriarcato e il governo israeliano è grande freddo. All’indomani dell’accordo tra i movimenti palestinesi Fatah e Hamas a Doha (Qatar) e la decisione di affidare al presidente Abu Mazen la presidenza di un governo di unione, monsignor Fouad Twal ha polemizzato duramente con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu che aveva criticato il capo dell'Autorità nazionale palestinese per aver firmato un accordo di governo di unione nazionale con Hamas. «Se Abu Mazen (applica ciò che è stato firmato a Doha, sceglie di abbandonare la via della pace per unirsi ad Hamas- attacca Netanyahu-.O è la pace con Hamas o è la pace con Israele. Non si possono avere insieme».
Il Patriarca latino di Gerusalemme replicato nettamente di non vedere alcun ostacolo nel fatto che tutti i palestinesi si impegnino ad aiutare Abu Mazen, definendolo «uomo moderato, di apertura e di cooperazione», perciò «questa riconciliazione effettiva risponde alle aspirazioni dei palestinesi all’unità e bisogna esserne contenti». Il patriarca esprime il desiderio di una pace globale, aggiunge: «Vogliamo la pace per tutti, una buona intesa con Israele e l'unione tra i fratelli palestinesi di tutte le correnti di pensiero politico. E il capo della Chiesa cattolica in Terra santa evidenzia una «reciprocità anormale» nei due campi, in cui ci sono «quelli che non vogliono riconoscere lo stato di Israele e altri che non vogliono riconoscere lo stato di Palestina».
E a Radio Vaticana, monsignor Fouad Twal sottolinea che la Terra Santa ha «un bisogno spirituale, quello di una vera e propria integrazione tra le diverse religioni, nel segno del rispetto». Per questo il patriarca lancia un vibrante appello:«Togliamo i muri visibili, togliamo i muri nei cuori degli uomini, i muri della paura, dell’odio, dell’ignoranza. Speriamo che un giorno questa integrazione possa arrivare». Recentemente i vescovi europei e americani dell’«Incontro di Coordinamento della Terra Santa» si sono riuniti ad Haifa per un meeting con la comunità cattolica locale, in particolare con i sacerdoti di tradizione latina, melkita e maronita. Una delegazione dei presuli è stata ricevuta dalle autorità israeliane per affrontare alcune delle questioni riguardanti la presenza della Chiesa nei luoghi santi. Il patriarcato latino gestisce 14 ospedali nel Patriarcato malgrado i cattolici siano appena il 2% della popolazione. Intanto il Cenacolo di Gerusalemme, luogo santo per il cristianesimo resta centro di una complessa trattativa giuridica con Israele. Acquistata dai reali di Napoli, Roberto d’Angiò e Sancia d’Aragona, nel 1333 - a cui fu ceduta dai sultani mamelucchi -, la sala sul Monte Sion, dove si presume sia avvenuta l’Ultima Cena, venne affidata alla Custodia di Terra Santa. Ai francescani fu strappata dai turchi nel 1551 e dichiarata dopo il 1948 «proprietà di assenti» secondo la legislazione israeliana, in seguito all’abbandono da parte della famiglia musulmana che l’aveva avuta in gestione sotto l’Impero ottomano.
Dal 1948 il Cenacolo è in mano al ministero israeliano per gli Affari religiosi. Una decina di anni fa, anche tenendo conto della situazione giuridica molto complessa che caratterizzava questo caso, la Santa Sede perorato l’ipotesi di una restituzione che avrebbe avuto un impatto positivo nei rapporti fra la Chiesa cattolica e Israele. Ma per gli israeliani era discutibile a chi appartenesse il Cenacolo, essendo passato di mano in mano nel corso dei secoli. Da sempre la Chiesa di Gerusalemme occupa un posto di predilezione nella sollecitudine della Santa Sede e nella preoccupazione di tutto il mondo cristiano. Per il vaticano «il protrarsi dello stato di tensione in Medio Oriente, senza che siano ancora compiuti passi decisivi e conclusivi verso una meta di pace, costituisce un grave e costante pericolo, che minaccia non solo la tranquillità e la sicurezza di quelle popolazioni, e la pace del mondo intero, ma anche valori altamente cari a tanta parte dell’umanità».
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