ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 25 dicembre 2018

Puer hodie

Perchè il 25 Dicembre? E perchè a Betlemme?...



[IL MISTERO DEL GIORNO E DEL LUOGO DELLA NASCITA DEL SALVATORE]

Tutto è misterioso nei giorni in cui ci troviamo. Il Verbo di Dio, la cui generazione è prima dell'aurora, nasce nel tempo; nel Bambino è un Dio; una Vergine diviene Madre e rimane Vergine; le cose divine si confondono alle umane, e la sublime e ineffabile antitesi espressa dal discepolo prediletto in queste parole del suo Vangelo: IL VERBO SI È FATTO CARNE, si sente ripetere su tutti i toni e sotto tutte le forme nelle preghiere della Chiesa. Essa riassume meravigliosamente il grande evento che ha unito in una sola persona divina la natura dell'uomo e la natura di Dio.


Mistero abbagliante per l'intelligenza, ma soave al cuore dei fedeli, esso è il compimento dei disegni di Dio nel tempo, l'oggetto dell'ammirazione e dello stupore degli Angeli e dei Santi nella loro eternità, e insieme il principio e il modo della loro beatitudine. Vediamo come la santa Chiesa lo propone ai suoi figli nella Liturgia.

Il giorno della Natività.

Dopo l'attesa di quattro settimane di preparazione, immagine dei millenni dell'antico mondo, eccoci giunti al venticinquesimo giorno del mese di dicembre, come a una stazione desiderata. Dapprima e naturale che proviamo un certo stupore vedendo che questo giorno a sé solo riserva l'immutabile prerogativa di celebrare la Natività del Salvatore; mentre tutto il Ciclo liturgico sembra nei travagli, ogni anno, per dare alla luce l'altro giorno continuamente variabile al quale è legata la memoria del mistero della Risurrezione.

Fin dal quarto secolo, sant'Agostino fu portato a darsi ragione di questa differenza, nella famosa Epistola ad Ianuarium; e la spiegava dicendo che noi celebriamo il giorno della Nascita del Salvatore unicamente per rievocare la memoria di quella Nascita operata per la nostra salvezza, senza che il giorno stesso nel quale ha avuto luogo racchiuda in sé qualche significato misterioso. Al contrario il giorno preciso della settimana nel quale è avvenuta la Risurrezione è stato scelto nei decreti eterni, per esprimere un mistero di cui si deve fare espressa commemorazione sino alla fine dei secoli. Sant'Isidoro di Siviglia e l'antico interprete dei riti sacri che per lungo tempo si è ritenuto fosse lo studioso Alcuino, adottano su questo punto la dottrina del vescovo di Ippona; e le loro parole sono sviluppate da Durando nel suo Razionale.

Detti autori osservano dunque che, secondo le tradizioni ecclesiastiche, avendo la creazione dell'uomo avuto luogo il venerdì, e avendo il Salvatore, sofferto la morte in quello stesso giorno per riparare il peccato dell'uomo; essendosi d'altra parte la risurrezione di Cristo compiuta il terzo giorno, cioè la Domenica, giorno al quale la Genesi assegna la creazione della luce, "le solennità della Passione e della Risurrezione - come dice sant'Agostino – non hanno soltanto lo scopo di riportare alla memoria i fatti che si sono compiuti; ma rappresentano e significano anche qualche altra cosa di misterioso e di santo (Epist. ad Ianuarium)".

Guardiamoci tuttavia dal credere che, per il fatto che non è legata a nessuno dei giorni della settimana in particolare, la celebrazione della festa di Natale il 25 dicembre sia stata completamente privata dell'onore di un significato misterioso. Innanzitutto, potremmo già dire, con gli antichi liturgisti, che la festa di Natale percorre successivamente i diversi giorni della settimana, per purificarli tutti e sottrarli alla maledizione che il peccato di Adamo aveva riversato su ciascuno di essi.

Ma abbiamo un mistero molto più sublime da dichiarare nella scelta del giorno di questa solennità: mistero che, se non ha relazione con la divisione del tempo nei limiti di quel tutto che Dio stesso s'è tracciato, e che si chiama la Settimana, viene a legarsi nel modo più espressivo al corso del grande astro per mezzo del quale la luce e il calore, cioè la vita stessa, rinascono e perdurano sulla terra. Gesù Cristo nostro Salvatore, che è la luce del mondo (Gv 8,12), è nato al momento in cui la notte dell'idolatria e del delitto era più profonda in questo mondo. E il giorno della Natività, il 25 dicembre, è precisamente quello in cui il sole materiale, nella sua lotta con le ombre, vicino a spegnersi, si rianima d'un tratto e prepara il suo trionfo.

Nell'Avvento abbiamo notato, con i santi Padri, la diminuzione della luce fisica come il triste emblema di quei giorni di attesa universale; ci siamo rivolti con la Chiesa verso il divino Oriente, verso il Sole di Giustizia, il solo che possa sottrarci agli orrori della morte del corpo e dell'anima. Dio ci ha ascoltati; e nel giorno stesso del solstizio d'inverno, famoso per i terrori e i gaudi del mondo antico, ci da insieme la luce materiale e la fiaccola delle intelligenze.

San Gregorio Nisseno, sant'Ambrogio, san Massimo di Torino, san Leone, san Bernardo e i più illustri liturgisti, si compiacciono di questo profondo mistero che il Creatore dell'universo ha impresso in una sola volta nella sua opera naturale e soprannaturale insieme; e vedremo che le preghiere della Chiesa continueranno a farvi allusione nel Tempo di Natale, come già nel Tempo dell'Avvento.

"In questo giorno che il Signore ha fatto - dice san Gregorio Nisseno, nella sua omelia sulla Natività - le tenebre cominciano a diminuire e, aumentando la luce, la notte è ricacciata al di là delle sue frontiere. Certo, o Fratelli, ciò non accade né per caso né per volere estraneo, il giorno stesso in cui risplende Colui che è la vita divina nell'umanità. È la natura che, sotto questo simbolo, rivela un arcano a quelli il cui occhio è penetrante, e i quali sono capaci di comprendere la circostanza della venuta del Signore. Mi sembra di sentirlo dire: O uomo, sappi che sotto le cose che tu vedi ti vengono rivelati misteri nascosti. La notte, come hai visto, era giunta alla sua più lunga durata, e d'improvviso s'arresta. Pensa alla notte funesta del peccato che era giunta al colmo per l'unione di tutti gli artifici colpevoli: oggi stesso il suo corso è stroncato. A partire da questo giorno, essa è ridotta, e presto sarà annullata. Guarda ora i raggi del sole più vivi, l'astro stesso più alto nel cielo, e contempla insieme la vera luce del Vangelo che si leva sull'universo intero".

"Esultiamo, o Fratelli - esclama a sua volta sant'Agostino - perché questo giorno è sacro non già per il sole visibile, ma per la nascita dell'invisibile creatore del sole. Il Figlio di Dio ha scelto questo giorno per nascere, come si è scelta una Madre, lui che è il creatore del giorno e della Madre insieme. Questo giorno, infatti, nel quale la luce ricomincia ad aumentare, era adatto a significare l'opera di Cristo che, con la sua grazia, rinnova continuamente il nostro uomo interiore. Avendo l'eterno Creatore risolto di nascere nel tempo, bisognava che il giorno della sua nascita fosse in armonia con la creazione temporale" (Discorso in Natale Domini, iii).

In un altro Sermone sulla medesima festa, il vescovo d'Ippona ci dà la chiave d'una frase misteriosa di san Giovanni Battista, che conferma meravigliosamente il pensiero tradizionale della Chiesa. L'ammirabile Precursore aveva detto, parlando del Cristo: Bisogna che egli cresca e che io diminuisca (Gv 3,30). Sentenza profetica la quale, nel senso letterale, significa che la missione di san Giovanni Battista volgeva al termine dal momento che il Salvatore stesso entrava nell'esercizio della sua. Ma possiamo vedervi anche, con sant'Agostino, un secondo mistero: "Giovanni è venuto in questo mondo nel tempo in cui i giorni cominciano ad accorciarsi; Cristo è nato nel momento in cui i giorni cominciano ad allungarsi" (Discorso in Natale Domini, xi). Cosicché tutto è mistico: sia il levarsi dell'astro del Precursore al solstizio d'estate, sia l'apparizione del Sole divino nella stagione delle ombre.

La scienza tapina e ormai sorpassata dei Dupuis e dei Volney, pensava di aver scosso una volta per sempre le basi della superstizione religiosa, per aver costatato, presso i popoli antichi, l'esistenza di una festa del sole al solstizio d'inverno; sembrava loro che una religione non potesse passare per divina, dal momento che le usanze del suo culto avevano delle analogie con i fenomeni d'un mondo che, secondo la Rivelazione, Dio ha tuttavia creato solo per il Cristo e per la sua Chiesa. Noi cattolici troviamo la conferma della nostra fede proprio là dove questi uomini credettero per qualche istante di scorgere la sua rovina.

In questo modo abbiamo dunque spiegato il mistero fondamentale di questi lieti quaranta giorni, svelando il grande segreto nascosto nella predestinazione eterna del venticinquesimo giorno del mese di dicembre a diventare il giorno della Nascita d'un Dio sulla terra. Scrutiamo ora rispettosamente un secondo mistero, quello del luogo in cui avvenne la Nascita.

Il luogo della Natività.

Questo luogo è Betlemme. È da Betlemme che deve uscire il capo d'Israele. Il profeta l'ha predetto (Mic 5,2); i Pontefici ebrei lo sanno e sapranno anche dichiararlo, fra pochi giorni, ad Erode (Mt 2,5). Per quale ragione questa oscura città è stata scelta fra tutte le altre per diventare il teatro di così sublime avvenimento? Osservate, o cristiani! Il nome di questa città di David significa casa del Pane: ecco perché il Pane vivo disceso dal cielo (Gv 6,41) l'ha scelta per manifestarvisi. I nostri padri hanno mangiato la manna del deserto e sono morti(ivi 6, 49); ma ecco il Salvatore del mondo che viene a sostenere la vita del genere umano per mezzo della sua carne che è veramente cibo (ivi 56). Fino ad ora Dio era lontano dall'uomo; ma d'ora in poi essi non faranno più che una sola e medesima cosa. L'Arca dell'alleanza che custodiva solo la manna dei corpi è sostituita dall'Arca d'una alleanza nuova; Arca più pura, più incorruttibile dell'antica: l'incomparabile Vergine Maria, che ci presenta il Pane degli Angeli, l'alimento che trasforma l'uomo in Dio; poiché Dio l'ha detto: Chi mangia la mia carne rimane in me, ed io in lui (ivi 57).

Gesù nostro Pane!

È questa la divina trasformazione che il mondo attendeva da lungo tempo, e verso la quale la Chiesa ha sospirato durante le quattro settimane del Tempo di Avvento. È giunta infine l'ora e Cristo sta per entrare in noi, se vogliamo riceverlo (ivi 1,12). Egli chiede di unirsi a ciascuno di noi, come si è unito alla natura umana in generale, e per questo vuoi farsi nostro Pane, nostro cibo spirituale. La sua venuta nelle anime in questa mistica stagione, non ha altro scopo. Egli non viene per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato in lui (ivi 3,17), perché tutti abbiano la vita, ed una vita sempre più abbondante (ivi 10,10). Il divino amico delle anime nostre, non troverà dunque riposo fino a quando non si sia sostituito egli stesso a noi, di modo che non siamo più noi a vivere, ma egli che vive in noi; e perché questo mistero si compia con maggiore dolcezza, il dolce frutto di Betlemme si dispone dapprima a penetrare in noi sotto le sembianze d'un bambino, per crescervi quindi in età e in sapienza, davanti a Dio e davanti agli uomini (Lc 2,40).

Quando poi, dopo averci così visitati con la sua grazia e con l'alimento d'amore, ci avrà cambiati in se stesso, allora si capirà un nuovo mistero. Diventati una stessa carne, uno stesso cuore con Gesù, Figlio del Padre celeste, diventeremo perciò stesso i figli del medesimo Padre; tanto che il Discepolo prediletto esclama: Figliuoli, osservate quale carità ha usato con noi il Padre, sì che siamo i figli di Dio, non soltanto di nome, ma di fatto (Gv 3,1). Ma parleremo altrove, e con più agio, di questa suprema felicità dell'anima cristiana, e dei mezzi che le sono offerti per mantenerla ed accrescerla.

Tratto da:

Dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba 1959, pp. 96-102
https://gloria.tv/article/eGa7Scbj1QwW3TTzNMqSTLcdx
Sermone di Natale
di Sant'Agostino






Il Signore Gesù volle essere uomo per noi. Non si pensi che sia stata poca la misericordia: la Sapienza stessa giace in terra! In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio (Gv 1,1). 
O cibo e pane degli angeli! Di Te si nutrono gli angeli, di Te si saziano senza stancarsi, di Te vivono, di Te sono come impregnati, di Te sono beati. 

Dove ti trovi invece per causa mia? In un piccolo alloggio, avvolto in panni, adagiato in una mangiatoia. E per chi tutto questo? 

Colui che regola il corso delle stelle succhia da un seno di donna: nutre gli angeli, parla nel seno del Padre, tace nel grembo della madre. Ma parlerà quando sarà arrivato in età conveniente, ci annunzierà con pienezza la buona novella. Per noi soffrirà, per noi morirà, risorgerà mostrandoci un saggio del premio che ci aspetta, salirà in cielo alla presenza dei discepoli, ritornerà dal cielo per il giudizio. Colui che era adagiato nella mangiatoia è divenuto debole ma non ha perduto la sua potenza: assunse ciò che non era ma rimase ciò che era. Ecco, abbiamo davanti il Cristo bambino: cresciamo insieme con lui.


(Sermo 196, 3)

Quali lodi potremo dunque cantare all’amore di Dio, quali grazie potremo rendere? 
Ci ha amato tanto che per noi è nato nel tempo lui, per mezzo del quale è stato creato il tempo; nel mondo fu più piccolo di età di molti suoi servi, lui che è eternamente anteriore al mondo stesso; è diventato uomo, lui che ha fatto l’uomo; è stato formato da una madre che lui ha creato; è stato sorretto da mani che lui ha formato; ha succhiato da un seno che lui ha riempito; il Verbo senza il quale è muta l’umana eloquenza ha vagito nella mangiatoia, come bambino che non sa ancora parlare.
Osserva, uomo, che cosa è diventato per te Dio: sappi accogliere l’insegnamento di tanta umiltà, anche in un maestro che ancora non parla. Tu una volta, nel paradiso terrestre, fosti così loquace da imporre il nome ad ogni essere vivente (Cf. Gn 2, 19-20); il tuo Creatore invece per te giaceva bambino in una mangiatoia e non chiamava per nome neanche sua madre. Tu in un vastissimo giardino ricco di alberi da frutta ti sei perduto perché non hai voluto obbedire; lui per obbedienza è venuto come creatura mortale in un angustissimo riparo, perché morendo ritrovasse te che eri morto. Tu che eri uomo hai voluto diventare Dio e così sei morto (Cf. Gn 3); Lui che era Dio volle diventare uomo per ritrovare colui che era morto. La superbia umana ti ha tanto schiacciato che poteva sollevarti soltanto l’umiltà divina.


(Sermo 188, 2,2-3,3)




http://www.unavox.it/Documenti/Doc1208_Sant-Agostino_Sermone_di_Natale.html

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