ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 30 aprile 2012

Se questo è un vescovo!..

L'allucinante ricetta al servizio del N.O.M.-N.W.O.- Chissà cosa ne pensano i suicidi...di queste parole di conforto!*

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“Potare è sempre una fatica, ma finalizzata alla fioritura"

Monsignor Bregantini
MONSIGNOR BREGANTINI

Intervista con il vescovo Giancarlo Bregantini sulla crisi

MARIA TERESA PONTARA PEDERIVAROMA
Un colloquio con il presidente della Commissione episcopale per i problemi del lavoro, per capire come affrontare e uscire dalla crisi.

“Sono solito paragonare questa crisi ad una sorta di potatura: quando si pota solo un esperto conosce quali rami vanno tagliati, ed è un po’ la fatica di questi giorni. Quando si pota non si vede il frutto, si intravede soltanto”. E’ questa la chiave di volta per leggere la storia di oggi, secondo monsignor Giancarlo Bregantini, vescovo di Campobasso-Bojano e presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace e membro del comitato scientifico e organizzatore delle Settimane Sociali dei cattolici.  Classe 1948, appartenente alla congregazione degli Stimmatini, ordinato prete a Crotone, è stato vescovo di Locri-Gerace dal 1994 al 2007, come dire in prima linea per difendere la libertà delle persone dal laccio opprimente della mafia.
  
“E’ sempre possibile trasformare, rinnovare, rifiorire. Mai lasciarsi annientare dalla crisi, ma affrontarla con speranza e saper guardare lontano. Le foglie ingiallite possono cadere, ma le radici restano e, se sono solide, permetteranno sempre una rifioritura in primavera. Tutto è possibile, perché Dio è più grande di noi”.


Parole pronunciate sulla collina di Trento, presso la facoltà di scienze, nel corso di uno dei suoi rientri nella terra natale. E dalle sue origini contadine, legate alla terra della sua valle di Non – ma è stato anche prete-operaio in Veneto – mons. Bregantini (o padre Giancarlo, come preferisce essere chiamato) trae spesso le immagini per comunicare in maniera più immediata il suo pensiero. Ma esiste un’altra costante nei suoi interventi: l’ambiente contadino s’intreccia con il racconto biblico e raggiunge il cuore della gente, quasi una “teologia narrativa” per l’uomo di oggi, soprattutto giovani, come quei tanti giovani calabresi che lui ha letteralmente strappato dalle sgrinfie della malavita per avviarli ad un futuro di dignità, la dignità che hanno raggiunto con i tanti progetti avviati in collaborazione con il “suo” Trentino, terra della cooperazione avviata un secolo e mezzo fa da un altro prete, Lorenzo Guetti, per mitigare la povertà delle terre di montagna.
E per spiegare il problema del lavoro ai giovani, cui si prospetta un futuro oltremodo incerto, sceglie di frequente la storia di Rut, narrata nell’omonimo libro: Noemi, la suocera, rimasta vedova (e sono morti anche i due figli) è sfiduciata a tal punto che vorrebbe cambiare il suo nome da “gioia mia” (il significato di Noemi) a Mara (amara). Orpa, la prima nuora le volta le spalle, ma l’altra - Rut (“amica fedele”) - resta invece con lei mostrando una solidarietà effettiva, un aiuto concreto, una mano che accompagna e allevia la fatica. Insieme tornano a Betlemme nel “tempo dell’orzo”, segno delle risorse della terra da non sottovalutare, come pure dei talenti di ciascuno, giovani compresi e lì, per guadagnarsi da vivere per lei e la suocera, comincia a spigolare, a raccattare quanto è rimasto in terra dopo la mietitura, che è ben di più della precarietà. Ma Rut, nonostante la povertà, ha la dignità di una regina e il vescovo conclude “la dignità di una persona non dipende dal lavoro come insegna la Laborem Exercens (n. 6).


E ancora “la crisi non ci deve riempire di paura, ma di solidarietà e dignità. Abituiamo i nostri giovani ad usare le mani, a vangare l’orto … oggi il nemico non è la disoccupazione, ma il vuoto che ha creato e che va riempito con dei valori, con l’orzo e la dignità dello spigolare”. A loro dico “tu solo puoi farcela, ma non puoi farcela da solo”.


Lei si era espresso sulla modifica dell’articolo 18, ma altri avevano pareri differenti, come lo spiega?
 Ai vescovi occorre la capacità di distinguere le cose “grandi” da quelle contingenti per evitare contrapposizioni di idee chiamate invece a completarsi. Mi piace sempre ricordare quella frase di sant’Agostino: “In necessariis unitas. In dubiis libertas. In omnibus caritas”. In tutto carità. L’art. 18 non è stato deciso dal Concilio di Nicea: nel merito possono benissimo convivere pareri differenti e completarsi. La storia della Chiesa ha registrato tante opinioni sul tema della povertà lungo i secoli, pensiamo solo ad un ordine come quello dei francescani che ne hanno discusso allo spasimo.


I vescovi europei hanno pubblicato il documento per un’Europa di responsabilità e solidarietà, come lo declinerebbe per il nostro Paese?
La situazione che stiamo vivendo richiede innanzitutto un esserne consapevoli, ma senza paura. Occorre coltivare sempre nel cuore la speranza e fornire esperienze di sostegno alla speranza accompagnando le persone. Se poi pensiamo in termini di potatura, questo significa meno cose e più valori, meno meriti e più dono. E questa potrebbe essere anche l’ottica con cui si potrebbe vivere il prossimo Convegno delle famiglie a Milano.

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