ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 20 maggio 2012


DUE “CREDO” NELLA NUOVA LITURGIA CATTOLICA? COLORO CHE ASPIRANO AD UN “CATTOLICESIMO PROTESTANTE”

Pontifex.Roma
(In foto il dott. Bruno Tarquini, Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione) [...] Avevo fin da giovanissima età imparato il “Credo”, una delle principali preghiere della cattolicità, in una certa e semplice versione. All’improvviso, durante una Messa celebrata qualche anno dopo il Concilio Vaticano Il una strana novità mi colpì, sotto forma di una certa apposizione che non avevo mai sentito prima e che immediatamente mi sembrò che urtasse contro quello che era stato fin ad allora il “Credo” da me conosciuto. Questo problema mi rimuginò nella testa e creò dentro di me la percezione che qualcosa di estraneo e di incompatibile fosse penetrato in quella preghiera e probabilmente nella dottrina cattolica, quale mi era stata insegnata. Il mio articolo apparso sul n. 436 di “Chiesa viva”, avendo in verità una portata ben più ampia, quale l’aspirazione di certi ben noti ambienti internazionali a conseguire il potere mondiale, ...

... poneva in rilievo che una delle vie per raggiungere la meta è quella di natura religiosa, diretta al compimento del cosiddetto ecumenismo; ma a questo problema particolare avevo dedicato solo poche righe con un semplice accenno al problema del “Credo”, e giustamente un cortese lettore ha lamentato una scarsa chiarezza di quanto avevo scritto su quel problema particolare. Cerco ora di dare una più completa trattazione sul problema del “Credo”, sperando di rendermi più comprensibile.
Sui Simboli più antichi (apostolico, niceno e niceno-costantinopolitano), il “Credo”, una delle principali preghiere cristiane sempre recitata nel corso della Messa, fu codificato nella Professio fidei Tridentina con una Bolla di Pio IV, nel 1564, il cui testo in italiano fu, fino al Concilio Vaticano Il, esclusivamente il seguente:
«lo credo in Dio Padre, onnipotente, creatore del Cielo e della Terra, e in Gesù Cristo, suo unico Figliolo nostro Signore, il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto, discese all’inferno, il terzo giorno risuscitò da morte, salì al Cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente; di là ha da venire a giudicare i vivi e i morti, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei Santi, la remissione dei peccati, la resurrezione della carne, la vita eterna. Così sia».
Questa e solamente questa fu la preghiera che mi era stata insegnata fin dal tempo della mia prima comunione durante le lezioni di catechismo, e che ho sempre ascoltato da mia madre.
Secondo questa preghiera chiari e ben definiti sono i Simboli della professione di fede secondo il rito cattolico-romano: un unico Dio Padre Creatore del Cielo e della Terra, Gesù Cristo Figlio di Dio e della sua stessa sostanza perché concepito di Spirito Santo, la incarnazione del Figlio e la Sua nascita dalla Vergine Maria, la Sua crocifissione, la Sua morte, la Sua discesa agli inferi, la Sua resurrezione, la Sua ascensione al Cielo, la Sua futura venuta, un’unica santa cattolica apostolica (e Romana) Chiesa, la remissione dai peccati, la resurrezione dei morti, la vita eterna.
Dopo 401 anni il Concilio Vaticano II, ad opera della Commissione per l’esecuzione conciliare sulla liturgia sacra (Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia), presieduta dal cardinale Giacomo Lercaro e composto anche da monsignore Annibale Bugnini (più tardi scoperto come sicuro appartenente alla massoneria e pertanto “punito” con la nomina a nunzio apostolico a Teheran e che anni prima era stato addirittura esonerato dall’insegnamento della liturgia a causa delle sue idee non ortodosse) ritenne di inserire nella liturgia cattolica un secondo “Credo”, dandogli la seguente nuova versione:
«Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio dà Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa natura del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno è risuscitato, “secondo le Scritture”, è salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi, e i morti, e il suo regno non avrà fine. Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre e dal Figlio. Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti. Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati. Aspetto la risurrezione dei morti e la vita che verrà. Amen».
Non sono un teologo, né un professore di storia delle religioni, e neanche un semplice insegnante di religione alle scuole medie; mi presento solo come persona intellettualmente curiosa di conoscere e di interpretare gli avvenimenti della storia e quindi della economia, della politica e della religione, partendo dal presupposto che questi tre settori sono collegati tra loro da una lunga linea rossa, molto spesso sotto traccia, che li tiene strettamente e nascostamente intrecciati l’uno all’altro, rimanendone vicendevolmente influenzati e condizionati.
Quindi, per prima cosa, mi si vorrà perdonare se sottopongo la seconda versione del “Credo” ad una brevissima analisi sull’uso delle parole e della punteggiatura e sui motivi che quell’uso hanno consigliato.
La cosa non è naturalmente fine a sé stessa, perché l’uso di talune parole e di una certa punteggiatura può sconvolgere il significato di una frase e, come nel caso di specie, assumere un negativo riflesso sulla interpretazione del significato religioso della preghiera in esame, almeno per quanto riguarda la parte che si riferisce al simbolo più importante della religione cristiana, quello che la contraddistingue in modo decisivo dalle altre religioni, rendendo irrimediabilmente impossibile di ritenere che tutte le religioni siano tra loro uguali, pur in una visione alquanto dolcificata che è propria dell’attuale, più volte enunciato, ecumenismo.
Mi riferisco al Simbolo della Resurrezione di Gesù. Se Gesù è risorto dalla morte non può che essere il Figlio di Dio e quindi Dio stesso; se non è risorto o si dubita di questo Simbolo, Gesù potrebbe essere incluso nel numero dei tanti profeti, come sostengono giudei (definendolo il "falso profeta", "il mentitore", "l'appeso") e mussulmani.
Non c’è alcuna via di mezzo: solo la resurrezione di Gesù dalla morte prova che la Sua sostanza è quella di Dio e che, quindi, è Dio Egli stesso.
Prima di prendere in esame questo preminente punto del nuovo “Credo”, è necessario rilevare preliminarmente come la seconda versione di questa preghiera si contraddistingua per una eccessiva prolissità (è lunga il doppio della prima versione, peraltro come è usuale nel linguaggio e nella scrittura dei nostri giorni, che sembrano programmati proprio per nascondere il pensiero), così poco confacente per una preghiera, che (al pari di tutte le altre) dovrebbe segnalarsi per concisione, come, d’altronde, ha insegnato lo stesso Gesù con il “Padre nostro”, l’unica preghiera che Egli ci ha direttamente tramandato.
Tanto per fare soltanto alcuni esempi, perché nella nuova versione del “Credo”, all’affermazione di un Padre onnipotente creatore del cielo e della terra si è ritenuto di aggiungere le parole, che mi appaiono sovrabbondanti e quindi inutili, “di tutte le cose visibili e invisibili”?
Queste parole che cosa aggiungono al simbolo della creazione del cielo e della terra da parte di un Padre onnipotente, e quale diverso significato può loro darsi una volta che si è dato atto della creazione, oltre che della terra, anche del cielo, concetto, questo, necessariamente comprensivo di tutto “l’universo” e quindi anche delle “cose invisibili”?
E quale valore dare alle parole “Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero”? Non era sufficiente il periodo che precede queste parole, come nella prima versione?
Naturalmente questi sono solo alcuni esempi della denunciata prolissità del secondo “Credo”, e mi piace concludere questo specifico punto preliminare, mettendo in rilievo come ogni preghiera, specialmente importante come il “Credo”, acquisiti una maggiore solennità e ispiri una maggiore meditazione se vi siano in essa conciliate completezza e concisione.
La cosa straordinaria è che il “Credo” nella sua prima versione è ancora riconosciuto valido anche ai nostri giorni: esso infatti viene recitato durante la Messa nel tempo della Quaresima, durante il quale, come suggerisce il Messale Romano (II ed., pag. 306) «si può rinnovare la professione di fede come Simbolo detto “degli Apostoli”» ed «il celebrante è tenuto ad avvisare per tempo l’assemblea liturgica di questa scelta».
Perché questa preghiera, nelle sue due versioni (tanto contrastanti ed incompatibili tra loro, come vedremo, in un ben determinato punto con gravi conseguenze sullo stesso fondamento del Cristianesimo) viene, ciò nonostante, recitata in entrambe le versioni, sia pure in tempi diversi, dalla liturgia della Messa? A quale delle due versioni, tra loro così diverse per l’inquietante contrasto, si deve dare credito (o maggior credito)?
Ciò, dunque, non può non significare innanzitutto che questa preghiera, nella sua prima versione, conserva tutto il suo valore originario, il suo significato e la sua essenza, per cui non mi sembra giustificata la sua incomprensibile alternanza con una seconda versione, che, come si è detto, si contraddistingue, non solo per una prolissità del tutto inutile ai fini del ricordo di tutti i Simboli significativi del Cristianesimo, ma soprattutto perché su un determinato punto è irrimediabilmente contrastante con la prima versione.
Vale porre in rilievo, ancora una volta, come il Cristianesimo sia una religione completamente diversa da tutte le altre e che gli abusati concetti di (“sincretismo” e di “ecumenismo” debbano essere intesi, a tutto concedere, soltanto come esigenza di tolleranza tra di loro di tutte le religioni, e non come affermazione della loro uguaglianza: infatti questa blasfema affermazione, come si è già accennato e come ritengo di ripetere, sottintenderebbe necessariamente che Gesù non è Figlio di Dio, ma un semplice profeta come ritengono giudei e mussulmani, negando esplicitamente, la Sua Resurrezione, cioè il Simbolo-cardine del Cristianesimo. A meno che non siano proprio i giudei ed i musulmani a riconoscere la divinità di Gesù.
Un punto di mezzo non può esistere ed è esplicitamente proibito dal Primo Comandamento.
Ma torniamo al punto di partenza, quello che riguarda l’uso di parole e di punteggiatura nella seconda versione del “Credo”, che dà adito a forti perplessità in ordine al dovuto rispetto del più importante Simbolo della preghiera.
Per quanto concerne la prima versione è da mettere in rilievo come la preghiera sia composta di un solo periodo: non esiste infatti alcun punto fermo (“segno grafico che posto al termine di un periodo ne individua il suo senso compiuto”) se non alla fine della preghiera stessa, per cui l’orante crede in tutti i Simboli enunciati allo stesso modo e senza alcuna distinzione.
Invece, la seconda versione della preghiera è cosparsa di quei segni di punteggiatura: nella prima frase si presenta il Simbolo della creazione del cielo e della terra per opera di un solo Dio, Padre onnipotente. Punto. Nella seconda frase si presenta il Simbolo di Gesù Cristo, Figlio di Dio, della stessa sostanza del Padre. Punto. Nella terza frase si presenta il Simbolo della discesa di Gesù dal cielo per la salvezza degli uomini e della Sua incarnazione nel seno della Vergine Maria. Punto. Nella quarta frase si presenta il Simbolo della Sua crocifissione, della Sua morte e della Sua sepoltura. Punto. Nella quinta frase si presenta il Simbolo della resurrezione di Gesù il terzo giorno, “secondo le Scritture”, e la sua ascensione al cielo. Punto.
Ora è lecita la domanda: perché soltanto per il Simbolo della Resurrezione si è aggiunto, tra virgole, l’inciso su riportato in corsivo?
Secondo la successione delle suddette frasi, tutte chiuse da un punto fermo, che rende ciascuna di esse lessicalmente (e quindi significativamente) indipendente l’una dall’altra, non può sorgere alcun dubbio che il richiamo alle Scritture riguarda soltanto il Simbolo della Resurrezione di Gesù e non anche gli altri Simboli. Quindi soltanto per la Resurrezione bisogna rifarsi alle Scritture, non anche per gli altri Simboli. Il riferimento della suddetta apposizione solo al mistero della Resurrezione (a ben riflettere e secondo un corretto uso della lingua italiana) non può avere altro significato ed altra interpretazione.
Se noi dovessimo risalire alle Scritture solo per la Resurrezione e non anche per gli altri Simboli, dovremmo domandarci la ragione di questa differenza così pericolosa: per tutti gli altri Simboli dovremmo credere senza rifarci alle Scritture, mentre per quello della Resurrezione la nostra fede dovrebbe dipendere soltanto (o anche) dalle Scritture.
Non può negarsi che all’inciso che richiama così chiaramente le Scritture soltanto per quel Simbolo, e non anche per altri, deve pur darsi una interpretazione, deve pur darsi una convincente spiegazione. Infatti, non potendosi contestare che tutti i Simboli sono riportati dalle Scritture e non solo quello della Resurrezione, non può non sorgere la preoccupazione che questa differenza possa avere un significato limitativo di quel Simbolo: mentre a tutti i Simboli noi crediamo in base alla nostra fede, solo per quello relativo alla Resurrezione noi abbiamo bisogno di un sostegno oggettivo, quello appunto delle Scritture.
Sorge il sospetto che il mantenimento di entrambe le versioni del “Credo” appartenga a quel disegno subdolo, proprio del modernismo, diretto da una parte a non incorrere nell’anatema pronunciata da Pio V (sess. XXII, can. 9 del Concilio Tridentino, il quale fu di natura dogmatica - si ricordi bene - a differenza del Concilio Vaticano II, che fu soltanto di natura pastorale), contro chi non avesse rispettato le decisioni del Concilio Tridentino, dall’altro di introdurre di fatto e subdolamente nella liturgia la seconda versione del “Credo”, pur conservando la prima.
Un, po’ quello che si è fatto, altrettanto subdolamente, con l’uso della lingua volgare nella liturgia cattolica: pur mantenendo, ma solo ufficialmente, in vita la lingua latina, però nella pratica comune della liturgia non è più volutamente usata e viene man mano dimenticata. Come non si è avuto il coraggio di abolire ufficialmente la lingua latina nella liturgia cattolica, ma la si è di fatto trascurata per facilitarne la sua dimenticanza, così non si è avuto il coraggio di abolire la prima versione del “Credo”, ma solo di accompagnarla con una seconda che, come si è detto, contiene la gravissima anomalia che attenta al Simbolo della Resurrezione di Cristo.
D’altra parte, che questa sia la strategia del nuovo Cattolicesimo modernista (al fine di conciliarlo con il protestantesimo in modo indolore ed occulto), lo si deduce, per esempio (tanto per fare un esempio), anche dalla circostanza che ha messo da parte (solo di fatto e non ufficialmente) un sacramento basilare come quello della confessione, non essendo più coltivato, tanto è vero che la quasi totalità di coloro che si accostano alla Comunione la trascura, e che dalle chiese sono scomparsi i confessionali (segno questo molto significativo), mentre non va neanche trascurato che durante la distribuzione dell’Ostia consacrata (simbolo della Presenza Reale di Cristo) i comunicandi restano in piedi (ho saputo che in qualche caso la Comunione sia stata negata al fedele che si fosse inginocchiato), e che gli altri fedeli restano bellamente seduti ai loro banchi, qualcuno anche con le gambe accavallate.
Peraltro la scelta del mantenimento, pur solo apparente del dogma, evita altre conseguenze che sarebbero davvero catastrofiche per il Cattolicesimo col trascorrere del tempo. Infatti, occorre in verità porre in evidenza un altro grave pericolo: e cioè che la soppressione ufficiale, o la variazione di quanto disposto dal Concilio Tridentino, dovrebbe inevitabilmente significare la irrimediabile ed implicita negazione del dogma della infallibilità del papa; il che consentirebbe di affermare, come logica conseguenza, che il rinnegamento del dogma dell’infallibilità papale colpirebbe necessariamente tutti i papi, compresi quelli implicati nel Concilio Vaticano II.
Infatti, se i papi del Concilio Tridentino possono non essere stati infallibili, potrebbero non esserlo stati neanche i papi del Concilio Vaticano Il (tanto più che essi non hanno parlato ex cathedra come Pio V). E naturalmente nemmeno Pio IX, il papa che nel 1870, nel Concilio Vaticano I, aveva sancito il dogma in questione.
Per dimostrare quanto è stato finora accennato ritengo di chiudere questo mio scritto, ripetendo ancora una volta una significativa opinione di alta importanza, a cui ho già fatto riferimento: infatti già nel 1943 (più di vent’anni prima del Concilio Vaticano II), Ernesto Bonaiuti (v. n. 436 di “Chiesa viva”) famoso prete modernista e scomunicato, aveva scritto: «Il Modernismo si propone (...) di trasformare il cattolicesimo dall’interno, lasciando intatto, nei limiti del possibile, l’involucro esteriore della Chiesa (...). Il culto esteriore durerà sempre come la Gerarchia, ma la Chiesa, in quanto maestra dei sacramenti e dei suoi ordini, modificherà la gerarchia e il culto, secondo i tempi: essa la renderà più semplice, più liberale, e quindi più spirituale; e per quella via essa diventerà un protestantesimo ortodosso, graduale, non violento, aggressivo, rivoluzionario, insubordinato».
Conservare, quindi, il Cattolicesimo soltanto nel suo involucro esteriore, ma apportarvi all’interno quelle modificazioni, inconsapevolmente acquisite dagli ignari fedeli, che lo equiparasse di fatto ad un “protestantesimo ortodosso”, costituisce il programma occulto del Modernismo, che procede avanti nella più completa e voluta ignoranza dei popoli, e nella colpevole acquiescenza degli ambienti cattolici.
Citazioni tratte da un articolo del dott. Bruno Tarquini, Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione
Chiesa Viva, ANNO XLI - N° 439, GIUGNO 2011
per gentile concessione dell'Ing. Franco Adessa
Pubblicazione a cura di Carlo Di Pietro

1 commento:

  1. e per quanto attiene l'espressione del primo credo "scese negli inferi"?

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