Il segno di Costantino
di Franco Gàbici
Non è dato sapere se sia realmente
accaduto o se si tratti di una leggenda, ma sta di fatto che gli
studiosi hanno preso in considerazione la questione e alcuni sono andati
alla ricerca di riferimenti astronomici che potrebbero giustificare la
famosa visione che apparve all’imperatore Costantino 1700 anni fa, il 27
ottobre del 312, alla vigilia della battaglia di Ponte Milvio
combattuta in località Saxa Rubra e nel corso della quale venne
sconfitto Massenzio. Secondo Lattanzio (250-327) la visione sarebbe
avvenuta in sogno, mentre Eusebio di Cesarea (265-340) scrive che la
croce luminosa sarebbe apparsa in pieno pomeriggio e fu osservata anche
da tutti i soldati.
Sulla croce campeggiava la scritta «Toutô nika», che più tardi Rufino tradusse «Hoc signo victor eris» e che la tradizione trasformò nel più noto «In hoc signo vinces».
Tutti invece concordano sul fatto che Costantino, dopo la visione, fece
incidere sui labari dei soldati la lettera greca «chi», il simbolo del
Dio cristiano.
Già Filostorgio (368-439) aveva proposto
una interpretazione astronomica del «segno celeste» e in tempi più
recenti Fritz Heiland del Planetario di Jena ha avanzato l’ipotesi che
la visione potesse essere interpretata come una congiunzione planetaria.
A differenza delle stelle, che vengono chiamate «fisse» perché su
intervalli temporali abbastanza lunghi mantengono inalterate le loro
reciproche posizioni, i pianeti non hanno posizioni immobili e in
effetti il termine «pianeta» deriva da un termine greco che significa
«astro errante».
Heiland, dunque, dopo aver ricostruito il
cielo del 312 notò che nell’autunno di quell’anno Giove, Saturno e
Marte, tre pianeti molto luminosi, si trovavano vicini e allineati fra
le costellazioni del Capricorno e del Sagittario. La configurazione
planetaria insolita poteva essere interpretata dai soldati come un
cattivo presagio e Costantino avrebbe addirittura inventato la storia
della visione per trasformare il presagio in un segno di buon auspicio.
Subito dopo il tramonto, inoltre, in mezzo alla volta celeste
campeggiava il Cigno, una costellazione a forma di croce, tant’è che
viene chiamata dagli astronomi la «Croce del Nord».
Una stella laterale, poi, le conferiva
l’aspetto di uno «staurogramma», dove con questo termine si definisce il
monogramma che si ottiene sovrapponendo le due lettere greche maiuscole
tau (T) e rho (P). Sotto il Cigno, inoltre, si trova la costellazione
dell’Aquila, simbolo di Roma e dei suoi eserciti, e anche questa
circostanza contribuì a rafforzare i significati simbolici della
visione. Interessante a questo proposito è l’affresco di Piero della
Francesca nella basilica di San Francesco di Arezzo intitolato «Il sogno di Costantino» nel quale l’artista, come ricordano Bruno Carboniero e Fabrizio Falconi nel volume In hoc signo vinces (Edizioni
Mediterranee), riproduce il cielo stellato relativo all’evento e un
angelo dall’aspetto di cigno che porge una croce all’imperatore.
Va anche sottolineato che la posizione
dell’angelo nell’affresco non è casuale, ma rispecchierebbe la posizione
realmente occupata nel cielo dalla costellazione del Cigno. Un altro
segno della visione di Costantino si può ammirare all’interno del
battistero paleocristiano di San Giovanni in Fonte di Napoli, fatto
erigere dallo stesso imperatore. Sulla cupola, infatti, spicca un
bellissimo mosaico che raffigura un grande staurogramma a ricordo della
visione di Costantino. Legato a Costantino è anche il casale di
Malborghetto, ricavato da un arco quadrifronte sulla via Flaminia a
Roma. Il casale fu oggetto di studio dell’archeologo tedesco Fritz
Toebelmann, il primo ad avanzare l’ipotesi che il monumento fosse stato
eretto proprio nel luogo dove si accamparono le truppe di Costantino
prima della battaglia di Ponte Milvio. Il monumento dista parecchi
chilometri dal luogo della battaglia e dunque, secondo l’archeologo
tedesco, non fu innalzato per celebrare la vittoria su Massenzio ma per
ricordare la famosa visione che ebbe l’imperatore alla vigilia della
battaglia.
L’ipotesi dell’archeologo fu poi
sostenuta anche da recenti studi condotti da Gaetano Messineo. Per
giustificare la visione di Costantino è stata chiamata in causa anche la
caduta di un meteorite il cui impatto sarebbe oggi testimoniato dalla
presenza di un laghetto dalla forma leggermente ellittica (115×140
metri) nel massiccio del Sirente, a una decina di chilometri da Secinaro
(L’Aquila). Il cratere è stato individuato nel 2000 dal geologo svedese
Jens Ormö e, dato l’interesse della scoperta, fu immediatamente
costituito il gruppo di lavoro «Sirente Crater Group» con la
collaborazione di Angelo Pio Rossi e Goro Komatsu dell’International
Research School of Planetary Sciences dell’Università D’Annunzio di
Pescara. Il meteorite, del diametro di 10 metri, attraversò il cielo
alla velocità di 20 Km/sec lasciando una lunga traccia luminosa e cadde a
terra provocando un’enorme esplosione il cui boato fu avvertito con
gran spavento in tutte le valli vicine.
(Fonte: “Avvenire”, 16 luglio 2
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