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sabato 1 settembre 2012

Il gesuita


Con Martini non muore un cuore grande così, e nemmeno un pastore. Scompare un riformatore mancato, un teologo dell’indifferenza e del relativismo che aveva mezzi intellettuali acconci alla bisogna

Ecco Ignazio nei suoi Esercizi. “E’ perciò necessario renderci indifferenti rispetto a tutte le cose create, in tutto quello che è lasciato al nostro libero arbitrio e non gli è proibito; in modo che, da parte nostra, non vogliamo più salute che malattia, ricchezza che povertà, onore che disonore, vita lunga che breve, e così via in tutto il resto; solamente desiderando e scegliendo quello che più ci conduce al fine per cui siamo creati”. L’indifferenza gesuitica è concetto teologico vertiginoso, e spunto mistico di strabiliante bellezza e modernità. Il cardinal Martini, Carlo Maria, era un leale oppositore del magistero ratzingeriano, e del complesso tragitto compiuto dalla chiesa di Giovanni Paolo e del suo successore, proprio in virtù di questa “indifferenza”.
Lo si capì in modo lucente e tremendo quando l’arcivescovo emerito di Milano, ed ex rettore di Gregoriana e Pontificio istituto biblico, tirò fuori l’argomento decisivo, in polemica con tre decenni di insegnamento di ben due Papi: “Esiste anche un relativismo cristiano”. Indifferenza, relativismo: due modi gemelli di concepire la vita, e la vita cristiana. Quel “solamente desiderando e scegliendo quello che più ci conduce al fine per cui siamo creati” è la radice a suo modo sublime del “todo modo para buscar la voluntad de Dios” e la ragione del sospetto di criptomachiavellismo che ha sempre inseguito la Compagnia di Gesù. In tutto ciò che riguarda la nostra libertà, a eccezione delle prescrizioni e proibizioni concernenti il male assoluto, si può e si deve conquistare questo campo dell’indifferenza relativista, una mentalità analitica e discreta, aperta alla variazione del tempo e alla speranza che ogni variazione e novità contiene. Questa indifferenza è relativismo cristiano, non prevede quel nesso di ragione e fede, quel complesso razionale di testimonianza etica e politica della realtà mondana (le cose create), cioè il nucleo dell’insegnamento papale nella tempestosa storia ecclesiastica seguita al Vaticano II.
In modo ingannevole, sciatto e sentimentale, del compianto cardinal Martini, morto ieri a Milano, si è sempre messo avanti il cuore, con le sue fibrillazioni umanitarie, la sua devozione verso l’altro da sé, e mille altri equivoci parafilosofici. Tutte balle pseudopascaliane, salva l’intenzione di rendere omaggio a un uomo di chiesa e di Dio che ha esercitato per lunghi anni il mestiere di pastore d’anime, ma non era affatto un pastore d’anime. La cartolina del gran prete comprensivo, che intende la vicinanza agli umili come prova di amore verso Dio incarnato, ciò che è anche vero ma non spiega alcunché della personalità del presule, è appunto una cartolina, un saluti e baci dal mondo dello spiritualismo contemporaneo, dalla sua pretesa di togliere alla chiesa non dico il monopolio ma anche la sola lettura della fede cristiana, per la quale ha qualche titolo in più dei saccenti opinionisti privi di pudore.
Martini fu un riformatore mancato. Introdusse un elemento di contraddizione radicale nell’establishment ecclesiale. Voleva rilanciare il Vaticano II, raddoppiandolo, nei suoi presupposti novisti che tormentarono Paolo VI e indussero i suoi successori a una composta e razionale reazione teologica, liturgica e pastorale. In piena coerenza con uno spirito anti-Sillabo, sicuro che la crociata della chiesa dell’Ottocento contro l’indifferentismo e il relativismo avesse portato danni incommensurabili al popolo di Dio e alla vera dottrina, Martini non concepiva possibile un rapporto critico e di distonia con il tempo in cui il cristiano contemporaneo era chiamato a vivere e a testimoniare. Aveva mezzi intellettuali acconci alla bisogna, sapeva come fare quando si trattava di orchestrare le sue idee e farle vivere nel tessuto profondo della chiesa, e per questo fu sospettato di essere un Anti o un Ante Papa. Ma era leale. Disse quel che aveva da dire, sempre o quasi sempre con deferenza. Nella lettera pastorale Il lembo del mantello magnificò apologeticamente a un giovane giornalista televisivo le gesta dei talk show. Penso che si sbagliasse.
Leggi Non barate, l'accanimento terapeutico non è mai piaciuto alla chiesa

Giuliano Ferrara

1 commento:

  1. Non dimentichiamo però che nella sua Diocesi,non ha mai voluto il Cammino Neocatecumenale,sapendo quindi discernere le abberrazioni post Conciliari;
    tanto per essere precisi, Lui ha rifiutato l'alimentazione forzata(sondino naso-gastrico),che la Chiesa non considera accanimento terapeutico, anche se di fatto lo è.



    Ruben

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