Il processo si rivela per quello che è: momento della verità in uno scontro fra una Chiesa in crisi, uno Stato forse fittizio e una Modernità spietata che in realtà accusa il Pontefice
Processo al maggiordomo. Un bel titolo per un thriller d’una volta, di quelli alla Agatha Christie. Il maggiordomo, si sa, è sempre il colpevole. Nel caso poi del processo che sta svolgendosi in Vaticano, la colpevolezza pare provata e il colpevole reo confesso. Il punto è che le cose non si chiuderanno con la sua confessione, che anzi spalanca dinanzi a noi la prospettiva di scenari impensabili e complessi.Se la colpevolezza è certa, il responso della corte e la pena non lo sono altrettanto. Gli osservatori sono colpiti non solo dalla segretezza, ma anche dalla semplicità e quasi dalla povertà dell’apparato.
A due passi da una delle residenze «regali» più sontuose e prestigiose del mondo, l’unica in Europa ad essere rimasta sede di un potere assoluto, si svolge sotto tono e sotto voce un processo imbarazzante. Mai la parola latina «penetralia» fu più appropriata; in una spoglia stanzetta si giudicherà l’uomo che entrava nell’intimità del Pontefice romano e che ne violava, se non quelli che anni fa Roger Peyrefitte avrebbe definito i «segreti», per lo meno il silenzio e la riservatezza.
Fin dall’anno della sua fondazione, il 1929, c’è sempre stato qualcuno che ha definito quello della Città del Vaticano uno «Stato da operetta». Non era, non è, non è mai stato così.
Al contrario: come si è visto nel ’43-’44 quando Pio XII viveva assediato dagli uomini di Hitler fino alle vicende di Calvi, di Marcinkus e di Gotti Tedeschi, il Vaticano si è presentato spesso come il centro di drammi se non addirittura di tragedie, come quella dell’assassinio – anch’esso restato oscuro – del comandante della guardia svizzera.
Ma, se non è uno Stato da operetta, il Vaticano non è nemmeno identificabile con la Chiesa romana. Il maggiordomo del Papa non sarà interrogato da nessuna commissione inquisitoriale, né giudicato secondo alcuna norma del diritto ecclesiastico o canonico. Egli è imputato di un crimine commesso all’interno di un regno «laico», per quanto governato da un Papa-Re. Un regno istituito nel 1929 in piena regola, che tuttavia non si è mai davvero attrezzato per affrontare problemi giuridico-penali, così come per far fronte a vere minacce militari.
Sotto la cruda luce dei riflettori massmediali, il processo al maggiordomo si rivela quindi per quello che davvero è: il momento della verità in uno scontro fra una Chiesa in crisi, uno Stato forse fittizio eppure potentissimo e una Modernità curiosa e spietata. Chi è il vero imputato di quel processo: il maggiordomo o il Pontefice?
franco cardini
http://vaticaninsider.lastampa.it/homepage/documenti/dettaglio-articolo/articolo/vatileaks-18518/
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