ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 19 novembre 2012

Che fede..!

Israele, in combattimento con la cabala

Dietro la tattica di Tel Aviv i riferimenti ai testi religiosi. A Gaza servono 49 giorni di guerra per vincere. Così dice la Bibbia.


Il 50esimo giorno nella Bibbia è quello del giubileo, della festa, della vittoria. Arriva dopo «sette settimane» di sacrifici e patimenti: esattamente il tempo che il comandante delle truppe israeliane sul confine di Gaza, il general Eyal Eisenberg, ha annunciato come possibile durata dell’offensiva di terra contro Hamas.
Certo, la previsione di 49 giorni di conflitto è basata anche su fattori militari e geografici, sulla stima della possibile resistenza delle truppe nemiche e sull’efficienza delle proprie. Ma la coincidenza con i testi religiosi è troppo netta e precisa per essere casuale: i riferimenti alle sacre scritture ebraiche e alla cabala non sono rari nella strategia delle Forza armate israeliane (Idf, Israel defence forces).

LEVITICO: FESTA AL 50ESIMO ANNO. Nel Levitico, uno dei libri della Bibbia trascurati dai cristiani, ma preziosi per gli ebrei, si legge che la preparazione all’anno giubilare dura «sette settimane di anni», ovvero 49 anni, mentre il 50esimo sarà l’anno della festa.
Il testo parla di «settimane di anni»; lo stato maggiore israeliano, invece, intende le settimane come noi le conosciamo, eppure il riferimento è evidente e voluto.
I versetti 8-10 del capitolo 25 recitano: «Dichiarate santo il 50esimo anno e proclamate la liberazione nel Paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia».
Per i credenti, per gli antichi ebrei privati della terra promessa, è questo il volere di Dio: la conquista o riconquista della patria, la «liberazione del Paese».
Non stupirebbe sentir parlare i generali israeliani di un’offensiva militare messa in campo al fine di permettere ai propri cittadini di «tornare nella loro proprietà», la terra che a giudizio di Israele i palestinesi occupano illegalmente.
Si tratta dei concetti del Levitico, il momento centrale della festa religiosa, e coincidono con i piani di battaglia del moderno esercito di Gerusalemme.
SETTE SETTIMANE DI FATICA. Anche nel Deuteronomio, un altro dei testi biblici ignorati dai cristiani, si legge (capitolo 16) la seguente prescrizione: «Conterai sette settimane; da quando si metterà la falce nella messe comincerai a contare sette settimane: poi celebrerai la festa delle settimane per il Signore tuo Dio, offrendo nella misura della tua generosità e in ragione di ciò in cui il Signore tuo Dio ti avrà benedetto».
Ritornano, quindi, le sette settimane di fatica, di sofferenza, per celebrare al 50esimo giorno il raccolto, la vittoria, la lode a Dio che «non dimentica il suo popolo».
GUERRA DEI SEI GIORNI NEL 1967. Il numero sette, d’altronde, è ricorrente e importante nella Bibbia: dai sette giorni della creazione fino al dettato evangelico di «perdonare 70 volte sette», le scritture sacre sono piene di eventi e precetti importanti sottolineati con questo numero.
Così come le campagne militari delle forze armate israeliane: nel 1967 le truppe di Tel Aviv combatterono e vinsero la Guerra dei sei giorni, programmata a tavolino per questa durata precisa, così da sorprendere i comandanti di Siria ed Egitto, ma anche per ricalcare lo schema della Creazione biblica, dove per sei giorni Dio costruisce un mondo, per poi potere riposare e gioire nel settimo giorno.

Dal generale Eisenberg un linguaggio simbolico

Potenza della fede o delle armi? Oppure, ancora, si tratta di richiami magici di una religione che convive con l’esoterismo, separata da una frontiera assai incerta e penetrabile?
Al di là di quella che possa essere la durata reale della guerra con Hamas, quando comunica agli israeliani di prepararsi a «sette settimane di combattimento», il generale usa un linguaggio simbolico ben compreso nel proprio senso profondo dalla popolazione civile.
Credenti o non credenti, i cittadini del moderno Stato di Israele sono cresciuti dentro la cultura ebraica e ne colgono e utilizzano simboli e riferimenti: così sanno che, almeno negli intenti, si tratta di una guerra che potrebbe essere in qualche modo decisiva.
SETTE, NUMERO CONSIDERATO PERFETTO. Sette è un numero considerato perfetto, sacro ma anche magico, potente ed esoterico, nato dalla somma o fusione dell’elemento umano (numero quattro) dell’esistenza e di quello divino (il tre). È un numero che ha tra i propri molteplici significatici cabalistici quello della «forza»: la forza umana delle armi insieme con l’aiuto di Dio possono condurre le forze armate israeliane a una vittoria altrimenti impossibile, almeno nell’auspicio dei generali che scelgono le strategie militari.
ESERCITO LEGATO ALLA SCARAMANZIA. Del resto, i militari di ogni epoca e ogni parte del mondo sono stati spesso legati alla scaramanzia.
Lo stato maggiore israeliano aggiunge alla tradizione l’appello al divino, anche nelle parole. Così i poderosi carri armati prodotti in Israele sono chiamati «Merkavà», un termine che nella Bibbiaindica il carro di fuoco che il profeta Ezechiele vede correre nel cielo lanciando saette e fiamme.
Ezechiele, poi, viveva, insieme con il suo popolo, negli anni dell’esilio di Babilonia, in attesa di tornare alla terra promessa, la Palestina dove oggi israeliani e Hamas si scambiano missili e bombe.
Insomma, gli alti comandi israeliani vedono l’attuale campagna militare come una prosecuzione della «guerra santa» che l’antico popolo ebraico dovette combattere contro i «malvagi» Filistei (in arabo moderno in palestinesi sono chiamati «filistin») e contro Amalek, dal nome delle genti che abitavano la Palestina biblica, diventato pian piano sinonimo di male assoluto, di demonio.
SUI TANK COMANDANTI COME MOSÈ. Curiosamente, infine, anche la postura dei comandanti dei carri armati israeliani, ritti con il busto fuori dalla torretta blindata, richiama la posizione di Mosè il quale, durante la guerra contro Amalek, su una collina, dritto in piedi, tiene alte le braccia al cielo per chiedere l’aiuto divino: e, racconta la Bibbia, quando Mosè teneva le braccia alte, gli ebrei avevano la meglio in combattimento, per poi rischiare di essere sopraffatti se il loro capo, stanco, lasciava cadere le braccia lungo i fianchi per riposare.
La storia è ricca di simili esempi: le sette settimane dell’esercito israeliano a Gaza sono una sorta di amuleto, come la scritta in hoc signo vinces che l’imperatore romano Costantino fece apporre, insieme con la croce, nelle bandiere del suo esercito che a ponte Milvio avrebbe poi sconfitto Massenzio. E come il gioco del solitario con le carte cui Napoleone, uno dei più grandi strateghi della storia, pare si affidasse prima di ogni battaglia per cercare il contatto con quelle forze occulte, divine o naturali, che potevano guidarlo alla vittoria sul campo militare.
di Marco Mostallino
Lunedì, 19 Novembre 2012

- GAZA, ISRAELE BOMBARDA IL GRATTACIELO DEI GIORNALISTI: UN MORTO - COLPITO IL MEDIA CENTER “SHORUQ”: UN MORTO E TRE FERITI - UCCISO UN ALTRO BAMBINO DI 5 ANNI: IL TOTALE DEI MORTI PALESTINESI SALE A 84 - TRATTATIVE COMPLICATE PER UNA TREGUA: SI MUOVE L’EGITTO – IL BLA-BLA DI CATHERINE ASHTON (UE) “MOLTO PREOCCUPATA PER LA PERDITA DI VITE INNOCENTI DA ENTRAMBE LE PARTI” (MA VA’) - DOMANI A GAZA UNA DELEGAZIONE DELLE LEGA ARABA… -

Il grattacielo Shoruq, l'edificio nel centro di Gaza che ospita diverse redazioni giornalistiche, è stato colpito e severamente danneggiato dall'aviazione israeliana. Si tratta del secondo attacco su quell'edificio in 24 ore. Nell'attacco almeno una persona è rimasta uccisa e tre ferite.
hamas-gazaHAMAS-GAZA
Proseguono intanto i bombardamenti su Gaza e ormai sono 84 le vittime palestinesi nella Striscia da quando mercoledì é iniziata l'operazione «Pilastro di Difesa». Secondo fonti sanitarie palestinesi, almeno 11 palestinesi sono morti nelle ultime ore; e in un raid compiuto stamane dall'aviazione israeliana, sono rimasti uccisi altre quattro persone, tra cui un bimbo di 5 anni. Intanto al Cairo proseguono i colloqui per arrivare a una tregua, che però ancora non si vede all'orizzonte. La crisi sarà oggi al centro dell'incontro tra i ministri di Esteri e Difesa dell'Unione Europea riuniti a Bruxelles (dove all'ordine del giorno ci sarà anche lo status che l'Ue concederà alla nuova piattaforma dell'opposizione in Siria).
MISSILI SU GAZAMISSILI SU GAZA
Mentre il presidente palestinese Abu Mazen ha invitato ieri i palestinesi a manifestare pacificamente contro «l'aggressione israeliana a Gaza», il presidente egiziano Mohamed Morsi, che ricopre il ruolo di principale mediatore nella crisi in corso, ha discusso con i dirigenti dei due principali gruppi di Gaza, il leader in esilio di Hamas Khaled Meshaal e il leader della Jihad islamica Abdallah Shallah, «degli sforzi egiziani per mettere fine all'aggressione israeliana a Gaza», secondo un comunicato della presidenza del Cairo. Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, proporrà invece domani al segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, di riunire il Quartetto (Onu, Ue, Stati Uniti, Russia) sulla situazione a Gaza, secondo l'agenzia di stampa Ria Novosti.
Per Gaza «serve una soluzione di lungo periodo», che porti «pace e sicurezza alla gente di quella regione», nell'ambito di una soluzione basata su due Stati. E' quanto ha ribadito l'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune europea, Catherine Ashton, dicendosi «molto preoccupata per la perdita di vite innocenti da entrambe le parti». «Sono in contatto con il premier israeliano, la Lega Araba ed i Paesi arabi - ha detto la Ashton al suo arrivo alla riunione dei ministri della Difesa dell'Ue, che sara' seguita da quella dei ministri degli Esteri - Dobbiamo trovare una soluzione di lungo termine per Gaza, dove sono stata tre volte, e dobbiamo trovare un modo per prevenire il tipo di attacchi violenti con razzi a cui stiamo assistendo e portare pace e sicurezza alla gente di quella regione». E tutto questo, ha ricordato, attraverso "la soluzione dei due Stati" che l'Europa sostiene.
MISSILI SU GAZAMISSILI SU GAZABOMBE TRA ISRAELE E GAZABOMBE TRA ISRAELE E GAZA
Intanto si apprende che è in corso al Cairo una riunione fra i responsabili dell'intelligence egiziana e il capo di Hamas Khaled Meshaal per esaminare le condizioni poste da Israele ieri per una tregua a Gaza. Lo riferiscono fonti qualificate egiziane
Il ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu si rechera' domani a Gaza all'interno di una delegazione della Lega Araba guidata dal segretario generale Nabil al-Arabi per mostrare solidarieta' al popolo palestinese colpito dall'offensiva israeliana in corso da mercoledi'. In una riunione di ieri al Cairo la Lega Araba ha deciso di inviare una sua delegazione a Gaza, di cui faccia parte anche Davutoglu, per mostrare solidarieta' e sostegno ai palestinesi.
HAMASHAMAS
La decisione della Lega Araba e' giunta alcune ore dopo che il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan ha criticato apertamente l'organizzazione pan-araba per non aver intrapreso azioni concrete contro l'aggressione israeliana contro i palestinesi.
«Credo che ci siano le premesse affinché si arrivi rapidamente nelle prossime ore ad una tregua» nella Striscia di Gaza. E' la convinzione espressa dal ministro degli Esteri Giulio Terzi, al suo arrivo a Bruxelles dove e' prevista una riunione dei capi delle diplomazie dei 27 che avra' al centro dell'agenda la situazione a Gaza. Da parte di Israele «non credo ci sia alcuna volonta', alcuna ansia di entrare a Gaza, ma lo Stato ebraico deve avere garanzie dall'esterno su una tregua impegnativa e sostenibile» ha detto il ministro degli Esteri.
Abu MazenABU MAZENhamas-gazaHAMAS-GAZA

L'unica democrazia del Medio Oriente?
di Marino Badiale - 17/11/2012

Fonte: il-main-stream 



Una notizia ANSA di qualche giornfa ci ricorda, casmai ce ne fossimodimenticati, che cosa sia lStatdi Israele, quellche i suoi sostenitori fina poctempfa definivan“l'unica democrazia del MediOriente”.  A quantopare, se Abu Mazen dovesse insistere nel chiedere il riconoscimentdella Palestina come Statall'ONU (in qualità di osservatore, non membro), Israele potrebbe decidere di rovesciarlo. Ricordiaminoltre che un paidi anni fa Israele proibì a Noam Chomsky di tenere una lezione all'Università palestinese di Ramallah, una città che non rientra certall'interndei confini dellStatdi Israele. Ora, sarebbe facile dilungarci in battute pensanda cosa succederebbe se unStateuropeproibisse ad un famosintellettuale ebredi parlare in una Università, ma non vogliamsoffermarci su questo

Ciò che è importante chiederci è: cos'è una democrazia? Difficile darne una definizione, tuttavia non c'è dubbiche essa non sia presente laddove il popolsia privdi ogni forma di controllsul potere cui è sottoposto.
Ma chi detiene il potere in Palestina? Se “l'unica democrazia del MedioOriente” può pensare di rovesciare Abu Mazen, se può impedire a Chomsky di parlare a Ramallah, se le è consentituccidere un qualsiasi palestinese (l'ultimdi tali omicidi mirati è di questi giorni) senza mai rendere contin nessun modal popolpalestinese o ai suoi rappresentanti, è evidente che il potere reale è nelle mani di Israele.
E il popolpalestinese può esercitare una qualche forma di controllsu tale potere? Ovviamente no. Possiamallora parlare di democrazia? Ovviamente no.
La situazione nella Palestina occupata è quella di una dittatura militare che si protrae da più di quarant'anni con la complicità dell'interOccidente. E tuttociò non è dovutal casné alla malvagità di qualcuno. E' la logica conseguenza di una precisa scelta politica, quella di costruire unStatoebraicin Palestina. E il problema non è certl'aggettiv“ebraico”. Il problema sarebbe lstessse si volesse costruire unStatcoreanin Slovenia, o unStatfinlandese in Paraguay. Si tratterebbe in ogni casdi una follia, foriera di violenze e sangue.
Infatti, come si potrebbe riuscire a costruire unStatcoreanin Slovenia, vistche, ahimé, la Slovenia è abitata dagli sloveni? Bè, per prima cosa bisognerebbe portarci i coreani, ovviamente, ma non basterebbe. Perché se non si volesse unStatbinazionale, cioè se si volesse specificatamente unoStatcoreano, bisognerebbe anche risolvere il probleminrappresentatdalla presenza degli sloveni. E non ci sonmolte alternative: o li si tiene sottun regime repressivo, o li si caccia, o li si stermina. Il progettsionista di creazione di unStatebraicin Palestina, nelle condizioni storiche date, poteva realizzarsi solattraversla dittatura, o la  pulizia etnica, o il genocidio. Finora Israele, nei confronti dei palestinesi, ha usatle prime dueopzioni: pulizia etnica al momentdella fondazione dellStato, dittatura militare nei territori occupati nel '67. Non siamancora giunti al genocidio, e ne siamfelici, naturalmente. Resta il fattche l'oppressione del popolopalestinese è un'infamia intollerabile, e che di fronte all'oppressione non si può essere equidistanti: bisogna scegliere se si sta con gli oppressi o con glioppressori, e qualunque tentativdi evitare questa scelta è infame anch'esso.
 
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Colonna di nube biblica di Gilad Atzmon - 17/11/2012

Fonte: Come Don Chisciotte [scheda fonte] 

  
Ancora una volta oggi abbiamo imparato che nello Stato ebraico, il sangue dei goyim si traduce in potere politico. Per vincere le elezioni israeliane, Benjamin Netanyahu sente il bisogno di presentarsi all'elettore israeliano con una corposa pila di cadaveri palestinesi.

Come nei precedenti casi di operazioni di genocidio da parte dell’IDF, l’attuale operazione militare denominata Pillar of Cloud (“Colonna di Fumo” ) ha anche una connotazione biblica. Nel Libro dell'Esodo 13:21-22 , si trovano le seguenti parole: "E l'Eterno andava davanti a loro, di giorno in una colonna di nuvola per guidarli nella via, e di notte in una colonna di Fuoco per Far loro luce".

Apparentemente, l'attuale assalto omicida israeliano contro i civili è coerente con l'interpretazione laica sionista del Vecchio Testamento. "... È necessario distruggerli completamente. Non fare alleanza con loro e mostrare loro senza pietà." (Deuteronomio 7:1-2). Questa volta però non è Dio a guidare il suo popolo eletto. In realtà è un criminale di guerra democraticamente eletto, che è stato scelto dalla gente preferita da Dio..

Alcune menti 'progressiste' tra di noi insistono sul fatto che non dovremmo mai fare riferimento alla ebraicità dello 'Stato ebraico'. Ma temo che, considerando il livello emergente della barbarie israeliana e alcune connotazioni chiaramente bibliche, tale tendenza critica è inevitabile.


Fonte: www.gilad.co.uk
Link: http://www.gilad.co.uk/writings/pillar-of-biblical-cloud.html

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