«Don Corsi? Strumentalizzato dalle lobby culturali»
Per il teologo Livi l'iniziativa del parroco di Lerici è stata «equivocata». E cavalcata da femministe e sinistra. E ammonisce: «Serve comunicazione e dialogo». Il prete contro una cronista: l'audio choc.
Verso don Piero Corsi, il parroco di Lerici su cui si è scatenata la bufera dopo il volantino contro le donne scostumate che, di fatto, giustifica il femminicidio, esprime «comprensione» pur non approvandone il metodo. E definisce «non specificamente cristiano» l'attacco che il vescovo di La Spezia, Luigi Ernesto Palletti, ha riservato al sacerdote.
IL POTERE DELLE LOBBY. Monsignor Antonio Livi, 74 anni, toscano di Prato, filosofo, teologo e padre della cosiddetta scuola anti-cartesiana “del senso comune”, non si unisce al coro che condanna «senza se e senza ma» il parroco sotto accusa, ma attribuisce alle «difficoltà di comunicazione» e alla «voglia di strumentalizzazione delle lobby culturali dominanti» la colpa di aver alimentato le polemiche.
IL POTERE DELLE LOBBY. Monsignor Antonio Livi, 74 anni, toscano di Prato, filosofo, teologo e padre della cosiddetta scuola anti-cartesiana “del senso comune”, non si unisce al coro che condanna «senza se e senza ma» il parroco sotto accusa, ma attribuisce alle «difficoltà di comunicazione» e alla «voglia di strumentalizzazione delle lobby culturali dominanti» la colpa di aver alimentato le polemiche.
IL RISCHIO DI GENERARE EQUIVOCI. «I presupposti dai quali si parte quando si fa un discorso di morale o di religione», spiega monsignor Livi a Lettera43.it, «non sono quelli dai quali parte un discorso politico, di un magistrato o di un esponente del governo o di un parlamentare: se non è possibile spiegare per bene questi presupposti morali e religiosi, disponendo dei tempi e del linguaggio adeguato, si corre il rischio di generare equivoci. E di regalare spazio alle strumentalizzazioni».
DOMANDA. Perché difende don Piero e la sua sortita?
RISPOSTA. Quel parroco non ha inventato nulla. Si è limitato a riprendere le tesi già pubblicate da Pontifex Roma.
D. Che cosa è Pontifex Roma?
R. Si tratta di uno spazio online gestito da cattolici tradizionalisti: spesso esagerati, ma ortodossi. È gente che non scrive sciocchezze.
D. Che cosa aveva scritto il sito?
R. Che la donna perde spesso la sua dignità, quella che le viene da una femminilità rettamente intesa, secondo l'intenzione del Creatore.
D. E poi?
R. Che la violenza contro le donne è una delle conseguenze della decadenza dei costumi, del libertinaggio, dei comportamenti contro la legge naturale. Le donne che subiscono violenza talvolta condividono gli stili di vita dei gruppi sociali nei quali avvengono questi misfatti.
D. Sono concetti ultra-noti.
R. Appunto. Nel 1947 papa Pio XII beatificò la giovanissima Maria Goretti anche per destare l’attenzione sulla decadenza dei costumi delle ragazze dell’epoca.
D. Sono trascorsi 70 anni.
R. Anche Giovanni Paolo II, che diffuse l’enciclica Mulieris dignitatem citata dal parroco di Lerici, ha ricordato con forza che la dignità della donna non è il fare merce del proprio corpo.
D. Ma don Piero ha scritto che le donne sono responsabili delle violenze che subiscono.
R. Non intendeva dire questo. Hanno inventato uno slogan assurdo per prendersela con un prete che richiama la sua gente al rispetto della morale e alla salvaguardia della famiglia. Quando l’opinione pubblica ideologizzata entra in scena, tutto si gonfia e distorce a dismisura.
D. Vuol negare che il parroco di Lerici sia andato fuori misura con le parole?
R. Don Piero non ha detto quello di cui lo accusano, cioè che le donne meritano le violenze, e nemmeno il testo affisso alla bacheca della sua chiesa contiene queste assurdità. Si sa che la gran parte delle violenze sulle donne si consumano in famiglia, cioè fra le mura domestiche e non in strada.
D. E allora?
R. Vuol dire che il parroco se l’è presa con i comportamenti sbagliati per strada, nelle discoteche, nei rave party, cioè con un ristretto numero di situazioni a rischio.
D. Le violenze contro le donne hanno assunto dimensioni preoccupanti.
R. Quello fra le mura domestiche è un dramma che esiste da sempre. Nei Paesi islamici va ancora peggio. È significativo che solo nel 2012 l’infibulazione sia stata dichiarata illegittima dall'Organizzazione delle Nazioni unite.
D. Lei diffonderebbe un volantino come quello affisso a Lerici?
R. Un parroco non è un sociologo né un politico: pensa e parla secondo i canoni della morale cristiana, che è cosa ben diversa dai linguaggi dell’opinione pubblica ideologizzata.
D. Ma lei un testo così anti-donne lo avrebbe affisso alla bacheca della sua chiesa?
R. Scegliere questa forma striminzita e 'povera' di comunicazione, senza un dialogo tranquillo con la gente, senza poter esplicitare bene concetti complessi come quelli della morale del quinto e del sesto comandamento del Decalogo vuol dire esporsi alle cattive interpretazioni o, peggio, alle strumentalizzazioni.
D. Sì, ma lo avrebbe affisso o no?
R. No, perché so bene quali reazioni produce nella gente il dire qualcosa senza offrire gli strumenti affinché venga ben recepita.
D. Secondo lei, il vescovo di La Spezia Luigi Ernesto Palletti che ha definito «intollerabile» l’iniziativa di Lerici ha equivocato?
R. È evidentemente un vescovo molto sensibile al clima ideologico nel quale viviamo, e forse ha assunto un atteggiamento da cattolico progressista nei confronti di un discorso che sa di cattolicesimo tradizionalista.
D. E quindi?
R. Sinceramente, da un vescovo mi sarei aspettato un maggior amore verso un suo parroco e una valutazione più equilibrata. Si sa che nella prassi pastorale anche le migliori intenzioni possono essere equivocate o possono essere inopportune.
D. Dunque, a Lerici si è trattato di uno scontro fra un vescovo progressista e un parroco conservatore?
R. Non ho le sufficienti conoscenze per dare un giudizio, che poi non spetta a me. Io parlo di come la cosa è stata presentata da tutta la stampa italiana, che ha ripetuto gli slogan di sempre.
D. Don Piero è una vittima?
R. Quella di don Piero è una disavventura che capita spesso a chi nel campo cattolico si esprime sulla morale sessuale, sulla famiglia naturale fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, sull'aborto e sull'eutanasia. E difende concetti non conformi a quello che si legge su gran parte della stampa o che contraddicono i progetti politico-sociali portati avanti dai movimenti femministi, dai radicali o da Nichi Vendola.
D. È davvero convinto che esista una sorta di “dittatura culturale” da parte di questi soggetti?
R. In religione, i canoni non sono quelli del “politicamente corretto”: ogni concetto andrebbe spiegato, capito e adeguatamente digerito. In realtà, spiegarsi bene è diventato quasi impossibile.
D. Perché?
R. I temi morali sono complessi, ma i tempi imposti sono stretti e il linguaggio vigente pretende poche frasi e troppo brevi.
D. C’è un cortocircuito di comunicazione, allora?
R. Sì. Ma i condizionamenti più gravi sono creati dalla tendenza dell’opinione pubblica ad appiattirsi passivamente sull’ideologia oggi culturalmente dominante.
D. Il risultato?
R. Viviamo in un’epoca di equivoci inevitabili. Pensi a quante volte sono state interpretate male le parole dei papi.
D. Resta famosa la frase «Dio è mamma» pronunciata da Giovanni Paolo I.
R. Appunto. Fu definita, sbagliando, «una straordinaria novità». In realtà, le Sacre scritture sono piene di citazioni di Dio inteso come amore mediante la metafora della maternità.
D. Equivoci e ignoranza a parte, è possibile o no coniugare i diversi linguaggi?
R. È difficile. Per la Chiesa, la violenza è il male che si annida nell’uomo e nella donna e la morale si occupa di curare questo male con la prevenzione.
D. Cioè?
R. Agisce sulle coscienze perché avvertano la responsabilità delle azioni che riguardano i diritti degli altri e il bene comune. Il magistrato, invece, agisce in un’altra dimensione: individua il reato, applica il codice di procedura penale, giudica, commina la pena prevista.
D. Che vuol dire?
R. Che il mondo secolarizzato e ideologizzato fa un’enorme fatica a comprendere i canoni della morale, che per vie misteriose raggiungono le radici più profonde.
D. A che punto è la parità fra uomo e donna?
R. I princìpi della morale cristiana hanno contribuito a imporre progressi enormi nel mondo del lavoro: maternità e paternità vengono meglio tutelati, sono scomparse le attenuanti per il cosiddetto delitto d’onore, l’adulterio non è più un reato penale.
D. E nelle professioni?
R. La società educa poco. Prenda noi filosofi, per esempio: solo da meno di un secolo, per la prima volta nella storia da Aristotele in poi, tra i filosofi mondialmente importanti compare qualche donna.
D. Buon segno. O no?
R. Sì, ma se ancora le donne sono di fatto escluse da molte funzioni socialmente rilevanti vuol dire che la strada per un riconoscimento fattivo delle pari opportunità è ancora molto lunga. di Enzo Ciaccio
RISPOSTA. Quel parroco non ha inventato nulla. Si è limitato a riprendere le tesi già pubblicate da Pontifex Roma.
D. Che cosa è Pontifex Roma?
R. Si tratta di uno spazio online gestito da cattolici tradizionalisti: spesso esagerati, ma ortodossi. È gente che non scrive sciocchezze.
D. Che cosa aveva scritto il sito?
R. Che la donna perde spesso la sua dignità, quella che le viene da una femminilità rettamente intesa, secondo l'intenzione del Creatore.
D. E poi?
R. Che la violenza contro le donne è una delle conseguenze della decadenza dei costumi, del libertinaggio, dei comportamenti contro la legge naturale. Le donne che subiscono violenza talvolta condividono gli stili di vita dei gruppi sociali nei quali avvengono questi misfatti.
D. Sono concetti ultra-noti.
R. Appunto. Nel 1947 papa Pio XII beatificò la giovanissima Maria Goretti anche per destare l’attenzione sulla decadenza dei costumi delle ragazze dell’epoca.
D. Sono trascorsi 70 anni.
R. Anche Giovanni Paolo II, che diffuse l’enciclica Mulieris dignitatem citata dal parroco di Lerici, ha ricordato con forza che la dignità della donna non è il fare merce del proprio corpo.
D. Ma don Piero ha scritto che le donne sono responsabili delle violenze che subiscono.
R. Non intendeva dire questo. Hanno inventato uno slogan assurdo per prendersela con un prete che richiama la sua gente al rispetto della morale e alla salvaguardia della famiglia. Quando l’opinione pubblica ideologizzata entra in scena, tutto si gonfia e distorce a dismisura.
D. Vuol negare che il parroco di Lerici sia andato fuori misura con le parole?
R. Don Piero non ha detto quello di cui lo accusano, cioè che le donne meritano le violenze, e nemmeno il testo affisso alla bacheca della sua chiesa contiene queste assurdità. Si sa che la gran parte delle violenze sulle donne si consumano in famiglia, cioè fra le mura domestiche e non in strada.
D. E allora?
R. Vuol dire che il parroco se l’è presa con i comportamenti sbagliati per strada, nelle discoteche, nei rave party, cioè con un ristretto numero di situazioni a rischio.
D. Le violenze contro le donne hanno assunto dimensioni preoccupanti.
R. Quello fra le mura domestiche è un dramma che esiste da sempre. Nei Paesi islamici va ancora peggio. È significativo che solo nel 2012 l’infibulazione sia stata dichiarata illegittima dall'Organizzazione delle Nazioni unite.
D. Lei diffonderebbe un volantino come quello affisso a Lerici?
R. Un parroco non è un sociologo né un politico: pensa e parla secondo i canoni della morale cristiana, che è cosa ben diversa dai linguaggi dell’opinione pubblica ideologizzata.
D. Ma lei un testo così anti-donne lo avrebbe affisso alla bacheca della sua chiesa?
R. Scegliere questa forma striminzita e 'povera' di comunicazione, senza un dialogo tranquillo con la gente, senza poter esplicitare bene concetti complessi come quelli della morale del quinto e del sesto comandamento del Decalogo vuol dire esporsi alle cattive interpretazioni o, peggio, alle strumentalizzazioni.
D. Sì, ma lo avrebbe affisso o no?
R. No, perché so bene quali reazioni produce nella gente il dire qualcosa senza offrire gli strumenti affinché venga ben recepita.
D. Secondo lei, il vescovo di La Spezia Luigi Ernesto Palletti che ha definito «intollerabile» l’iniziativa di Lerici ha equivocato?
R. È evidentemente un vescovo molto sensibile al clima ideologico nel quale viviamo, e forse ha assunto un atteggiamento da cattolico progressista nei confronti di un discorso che sa di cattolicesimo tradizionalista.
D. E quindi?
R. Sinceramente, da un vescovo mi sarei aspettato un maggior amore verso un suo parroco e una valutazione più equilibrata. Si sa che nella prassi pastorale anche le migliori intenzioni possono essere equivocate o possono essere inopportune.
D. Dunque, a Lerici si è trattato di uno scontro fra un vescovo progressista e un parroco conservatore?
R. Non ho le sufficienti conoscenze per dare un giudizio, che poi non spetta a me. Io parlo di come la cosa è stata presentata da tutta la stampa italiana, che ha ripetuto gli slogan di sempre.
D. Don Piero è una vittima?
R. Quella di don Piero è una disavventura che capita spesso a chi nel campo cattolico si esprime sulla morale sessuale, sulla famiglia naturale fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, sull'aborto e sull'eutanasia. E difende concetti non conformi a quello che si legge su gran parte della stampa o che contraddicono i progetti politico-sociali portati avanti dai movimenti femministi, dai radicali o da Nichi Vendola.
D. È davvero convinto che esista una sorta di “dittatura culturale” da parte di questi soggetti?
R. In religione, i canoni non sono quelli del “politicamente corretto”: ogni concetto andrebbe spiegato, capito e adeguatamente digerito. In realtà, spiegarsi bene è diventato quasi impossibile.
D. Perché?
R. I temi morali sono complessi, ma i tempi imposti sono stretti e il linguaggio vigente pretende poche frasi e troppo brevi.
D. C’è un cortocircuito di comunicazione, allora?
R. Sì. Ma i condizionamenti più gravi sono creati dalla tendenza dell’opinione pubblica ad appiattirsi passivamente sull’ideologia oggi culturalmente dominante.
D. Il risultato?
R. Viviamo in un’epoca di equivoci inevitabili. Pensi a quante volte sono state interpretate male le parole dei papi.
D. Resta famosa la frase «Dio è mamma» pronunciata da Giovanni Paolo I.
R. Appunto. Fu definita, sbagliando, «una straordinaria novità». In realtà, le Sacre scritture sono piene di citazioni di Dio inteso come amore mediante la metafora della maternità.
D. Equivoci e ignoranza a parte, è possibile o no coniugare i diversi linguaggi?
R. È difficile. Per la Chiesa, la violenza è il male che si annida nell’uomo e nella donna e la morale si occupa di curare questo male con la prevenzione.
D. Cioè?
R. Agisce sulle coscienze perché avvertano la responsabilità delle azioni che riguardano i diritti degli altri e il bene comune. Il magistrato, invece, agisce in un’altra dimensione: individua il reato, applica il codice di procedura penale, giudica, commina la pena prevista.
D. Che vuol dire?
R. Che il mondo secolarizzato e ideologizzato fa un’enorme fatica a comprendere i canoni della morale, che per vie misteriose raggiungono le radici più profonde.
D. A che punto è la parità fra uomo e donna?
R. I princìpi della morale cristiana hanno contribuito a imporre progressi enormi nel mondo del lavoro: maternità e paternità vengono meglio tutelati, sono scomparse le attenuanti per il cosiddetto delitto d’onore, l’adulterio non è più un reato penale.
D. E nelle professioni?
R. La società educa poco. Prenda noi filosofi, per esempio: solo da meno di un secolo, per la prima volta nella storia da Aristotele in poi, tra i filosofi mondialmente importanti compare qualche donna.
D. Buon segno. O no?
R. Sì, ma se ancora le donne sono di fatto escluse da molte funzioni socialmente rilevanti vuol dire che la strada per un riconoscimento fattivo delle pari opportunità è ancora molto lunga. di Enzo Ciaccio
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