ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 18 gennaio 2013

Aer frictus


AGLI AMICI TRADIZIONALISTI - di P. Giovanni Cavalcoli, OP

Dopo la pubblicazione dell'articolo di Cristina Siccardi "Le minacce non possono nulla contro la verità", P. Giovanni Cavalcoli ci ha inviato questo articolo, con una breve lettera aperta a Cristina Siccardi.

"Cara Cristina,
sono in gran parte d'accordo su quello che dici. L'accusa di eresia fatta da Mons.Mueller non è contro un sano tradizionalismo quale può essere quello di un Padre Tomas Tyn, che tu conosci, ma è contro chi trova delle eresie nelle dottrine del Concilio Vaticano II. Mueller li chiama "tradizionalisti", ma è chiaro che sono tradizionalisti di questo tipo. Perché tu non cada sotto questa censura di Mons.Mueller, basta che eviti di formulare quell'accusa alle dottrine del Concilio.
Dovreste rallegrarvi che egli accusa di eresia anche i modernisti (che egli chiama impropriamente "progressisti"); del resto non c'è da meravigliarsi, essendo essi gli eredi dei modernisti dei tempi di S. Pio X 


Ricordati inoltre che quando il Papa ha condannato l'esegesi di rottura, in fondo ha condannato le tesi di chi sostiene che le dottrine del Concilio hanno falsificato la Tradizione. Ad ogni modo ho inviato al carissimo dott. Deotto un articolo che tocca proprio questi temi. Spero che essi possano servire a chiarirci le cose.
Infine sai bene che ho molta stima di tutti quegli amici tradizionalisti che tu mi citi. Il mio solo timore è che essi non sappiano apprezzare a sufficienza il valore dogmatico del Concilio. Ma per quanto riguarda certe tesi pastorali del Concilio sono d'accordo anch'io nel criticarle e nel considerarle causa almeno parziale dell'attuale crisi di fede. Con viva cordialità  P. Giovanni Cavalcoli, OP"


AGLI AMICI TRADIZIONALISTI
di P. Giovanni Cavalcoli, OP

ctE’ sempre più chiaro e forte nella Chiesa un movimento di cattolici che si considerano apertamente “tradizionalisti” o sono considerati tali ora con ammirazione ora con disprezzo, e che comunque intendono prendere la Sacra Tradizione cattolica, fonte della divina Rivelazione insieme con la Sacra Scrittura, come regola assoluta, suprema ed immutabile della verità cristiana.
Essi avvertono, in questo momento attuale di smarrimento che tocca la stessa dottrina della fede, e per conseguenza la rettitudine dei costumi morali, il dovere e l’urgenza di ricordare ai fratelli di fede e a volte alla stessa Gerarchia l’importanza imprescindibile, ai fini della salvezza e della vera interpretazione del Vangelo, di alcuni valori di fede e di morale tradizionali, sempre sostenuti e vissuti nella storia della Chiesa, da sempre insegnati dal Magistero e dai Concili del passato, valori altresì a volte connessi, benchè di fede, con gli stessi princìpi universali oggettivi ed immutabili della ragione naturale e della coscienza morale, valori senza i quali sono compromessi alla radice la dignità sacra della persona umana e la verità del culto divino.
Questi amici, però, in vario modo e in varia misura, come è noto, si sentono in un disagio più o meno forte che va dalla perplessità e dal dissenso pacato al forte turbamento, allo scandalo sdegnato, al rifiuto netto ed all’aperta ribellione nei confronti di taluni decreti del Concilio Vaticano II e soprattutto nei confronti della situazione ecclesiale, dal punto di vista dottrinale, morale, liturgico e disciplinare di questi ultimi decenni, in seguito all’evento del Concilio, situazione da loro giudicata molto severamente come di rottura con la Tradizione, nel senso di un suo tradimento o di una sua falsificazione.
La mappa del tradizionalismo cattolico è così molto complessa e variegata: si va dai più moderati, i quali, al fine di dar legittimità alle loro critiche, si limitano a dire che le dottrine del Concilio non sono di carattere dogmatico, né tanto meno contengono dogmi definiti, ma sono o si presentano semplicemente come dottrine di carattere pastorale, per cui, non avendo la nota esplicita dell’infallibilità, possono essere oggetto al massimo di rispettoso ossequio, ma non mettono in campo la fede né direttamente né indirettamente.
Da qui la facoltà del buon cattolico, proprio in quanto cattolico, fedele alla Tradizione, il quale si accorge del contrasto di alcune di quelle dottrine con la Tradizione, di respingerle per mantenersi fedele alla Tradizione, tanto più che esse, soprattutto per ambiguità del linguaggio, di fatto hanno favorito la grave deriva modernista e lassista, della quale oggi la Chiesa sta soffrendo.
I più severi, invece, seguaci dichiarati di Mons. Lefebvre nella Famosa Fraternità Sacerdotale S. Pio X, fanno ad alcune dottrine conciliari, soprattutto quelle concernenti la cristologia, l’ecclesiologia, l’ecumenismo, il rapporto con la modernità, la libertà religiosa e il dialogo interreligioso, critiche molto dure e puntuali di naturalismo, illuminismo, razionalismo, liberalismo, indifferentismo, antropocentrismo, filoprotestantesimo, modernismo, che, se fossero giuste, verrebbero a configurarsi come vere e proprie accuse di eresia o di errore prossimo all’eresia (sapiens haeresim), stante il fatto che quelle tendenze furono precisamente oggetto di condanne papali  nel sec. XIX a partire da Gregorio XVI sino a Pio XII, nonché furono condannate dal Concilio Vaticano I, senza parlare della condanna di Lutero al Concilio di Trento.
Ora, dovrebbe essere chiaro che si può dare un tradizionalismo sano e pienamente cattolico e un tradizionalismo sbagliato e scismatico. Quale la differenza tra i due? Che quello sano, contrariamente al secondo tipo di tradizionalismo, sa  fare, del Concilio, per usare l’ormai notissima formula del Papa, un’“esegesi di continuità”  nella riforma dei costumi e nel progresso dottrinale, sì da accogliere senza problemi ma con assoluta certezza le dottrine dogmatiche del Concilio, ossia quelle che direttamente o indirettamente, anche se non dichiaratamente, fanno riferimento al deposito rivelato.
Il che non esclude per nulla, come ha detto di recente il Papa, che il Concilio abbia operato una lecita e doverosa “rottura” con certe istituzioni o usi ecclesiali, come per esempio il principio della “religione di Stato”, oggi giustamente superati dalla storia. Ed inoltre, poiché la Chiesa non è infallibile nelle disposizioni pastorali-disciplinari-canoniche, nulla e nessuno impedisce che qualcuna di queste dottrine presenti nel Concilio - lo ha affermato il Papa stesso - possano essere oggetto di discussione, fino a giungere addirittura ad essere  rifiutate.
Ma occorre distinguere bene pastorale e dottrina, perché, riguardo a quest’ultima, lo stesso Pontefice ha di recente raccomandato ai lefevriani di non dire che nella dottrina ci sono errori. E notiamo altresì che, quando si dice dottrina, evidentemente infallibile perché legata alla fede, non dobbiamo pensare solo alle verità speculative, come sarebbero per esempio il mistero Trinitario o la Persona di Cristo o l’essenza della Chiesa, ma anche quelle morali fondamentali, come per esempio il rispetto della vita umana, il valore del bene comune o la legge morale naturale.
Quanto poi al recente articolo ormai notissimo di Mons. Müller ne L’Osservatore Romano del 29 novembre scorso circa quella che egli chiama “interpretazione eretica del Concilio”, certo non si tratta di un pronunciamento ufficiale della CDF. Tuttavia, come non  immaginare per non dire come non esser certi – tanto importante è la questione! – che dietro Mons. Müller ci sia il Papa stesso! Volete che Müller abbia agito di sua iniziativa, sotto la sola sua responsabilità, in una materia così grave, senza almeno il consenso, per non dire forse l’iniziativa del Papa, desideroso che ormai si faccia definitivamente chiarezza su di un dibattito che si trascina ormai da tropo tempo con gravissimo danno alla Chiesa e alla vera attuazione del Concilio?
Infatti, quando il Papa ha parlato di “rottura”, che cosa in fondo ha inteso, se non il rifiuto di una verità di fede precedentemente definita? Se uno compie un simile atto, che cosa fa se non cadere nell’eresia? E allora è mai pensabile che un Concilio “rompa” con una verità di fede precedentemente definita? E’ mai pensabile che se un Concilio esplicita o sviluppa o fa meglio conoscere quella verità si sbagli? E’ mai pensabile un Concilio eretico? Se dunque qualcuno osa accusare un Concilio di “rompere” su questa materia che riguarda la salvezza, ossia di essere eretico, come costui a sua volta non cadrà nell’eresia? Dunque il ragionamento di Mons. Müller non fa una grinza. Non ci sono scappatoie.
Infatti nella posizione dell’alto Prelato non è impossibile notare un trend, una tappa estremamente significativa e diciamo pure coraggiosa (penso soprattutto alla reazione rabbiosa dei potenti modernisti, che egli chiama con eufemismo “progressisti”), nell’ormai lungo cammino percorso dal Magistero della Chiesa in questi cinquant’anni nel suo sforzo paziente, costante e multiforme, riguardo al Concilio, di ribadire princìpi, chiarire equivoci, correggere erranti e condannare errori, eliminare fraintendimenti, confermare verità, promuovere giuste interpretazioni ed applicazioni dei testi conciliari.
Se finora nessuna accusa di eresia era venuta ai lefevriani da parte di un così alto esponente della S. Sede, pensate anche – e ciò è ancora più importante – che neppure i modernisti di oggi erano mai stati oggetto da parte della stessa autorità, di una tale grave censura, benchè poi in fin dei conti non era difficile formularla, data la loro stretta parentela col vecchio modernismo dei tempi di S.Pio X, che il Santo Pontefice definì, come è noto, benchè in forma retorica, come la “somma di tutte le eresie”. Se dunque finora si poteva accusare Roma di debolezza verso il modernismo, il pronunciamento di Mons. Müller segna una svolta importantissima, un punto di non ritorno nell’atteggiamento di Roma verso i modernisti, i quali, considerando la loro attuale potenza, probabilmente mostreranno indifferenza, ma non possono non aver accusato il colpo tremendo.
D’ora innanzi le cose con loro da parte di Roma non possono più restare come prima e mentre essi, in forza del potere acquistato negli stessi ambienti romani, stavano forse assaporando, benchè illusoriamente, l’ebbrezza di una vittoria, ecco arrivare la terribile doccia fredda che segnala che Cristo non ha abbandonato la sua Chiesa, ma fa loro intravvedere l’approssimarsi della loro sconfitta.
Certo i modernisti non si rassegneranno così facilmente ad abbandonare le posizioni raggiunte e probabilmente, accesi d’ira e tremanti di paura, che cercano di nascondere dietro la loro solita saccente spavalderia, fingendo un’apparente sicurezza, accentueranno la loro arroganza e la loro prepotenza verso i fedeli figli della Chiesa, ma è chiaro che ormai essi sono smascherati e stanno irreversibilmente affondando e perdendo quel potere di seduzione che finora sono riusciti ad esercitare soprattutto col farsi passare come le “icone del Concilio”, per usare un’espressione che ho sentito nella loro bocca a proposito di uno dei principali loro portabandiera, Karl Rahner.
Sono convinto pertanto che il passo compiuto da Müller non è affatto un cedimento o una connivenza con l’eresia, come pensano assurdamente certi ultratradizionalisti estremisti, ma un passo luminoso ed incoraggiante verso la chiarificazione della verità. Müller, con questo intervento forte e  drastico, intende scuotere le coscienze dei più induriti affinchè non si ostinino ulteriormente a sostenere posizioni insostenibili ed indegne del vero cattolico, più simili invece a quelle dei protestanti e degli eretici.
La cosa paradossale dei lefevriani è che con tutta la loro pur giusta polemica contro Lutero, non si accorgono poi alla fine di essersi lasciati essi stessi intrappolare dal suo stesso metodo e dal suo disprezzo per il Magistero e per i Concili (il Vaticano II è un normale Concilio come tutti gli altri, benchè indubbiamente dotato di caratteristiche proprie: Paolo VI giunse a dire che ha la stessa autorità di quello di Nicea), con la differenza che mentre i luterani (oggi i modernisti) pretendono di giudicare il Magistero mediante un contatto soggettivo diretto con la Scrittura (il mito dello “esegeta” o il sola Scriptura di Lutero), i lefevriani fanno la stessa cosa con la pretesa di un contatto diretto con la Tradizione, dimenticando gli uni e gli altri che il vero cattolico riceve umilmente e fiduciosamente Bibbia e Tradizione dal Magistero (e quindi dai Concili) e non in modo diretto da Dio, al di sopra del Magistero, sì da arrogarsi poi il diritto di verificare, come fa il maestro con lo scolaro, se il Magistero è o non è conforme alla Scrittura o alla Tradizione.
Cari amici tradizionalisti! Chi vi parla non si considera un tradizionalista, ma ha pieno rispetto di quel sano tradizionalismo del quale ho parlato all’inizio: esso è uno dei due polmoni, essendo l’altro il progressismo, ed io mi colloco qui (sono un maritainiano), della dinamica sociale ecclesiale, sia a livello culturale che comportamentale, come avviene normalmente, ci dicono i sociologi, in tutte le società sane e funzionanti, anche a livello politico, giacchè è noto che la Chiesa ha anche un aspetto umano.
A questo punto, per concludere, mi permetto di rivolgervi un caldo invito o, se volete, appello, per quanto possa valere un semplice richiamo fraterno a fratelli ben ricchi di qualità e stimati: con tutto il rispetto per Mons. Lefebvre, del quale ammiro le qualità intellettuali e morali, di uomo e di Successore degli Apostoli, Fondatore di un pio Istituto di perfezione che porta molti frutti, vi esorto a guardare con maggior interesse a un altro grande tradizionalista, questi in perfetta comunione con la Chiesa di sempre e di oggi, quella  Chiesa, “colonna e fondamento della verità”,  che è la Chiesa di tutti i Concili, la Chiesa dei Santi, e questo fratello è un teologo domenicano morto in concetto di santità, che penso voi già conoscete e stimate: il Servo di Dio Padre Tomas Tyn, nella cui Causa di Beatificazione io sono indegnamente Postulatore.
In questo uomo di Dio troverete soddisfatte tutte le vostre migliori esigenze di un vero rispetto della Tradizione, senza quegli estremismi, quelle unilateralità, quegli anacronismi, quell’errore di giudizio e quella carenza di docile comunione ecclesiale che purtroppo non sono assenti nei seguaci o sedicenti seguaci di Mons. Lefebvre.
Padre Tomas è un modello di vero equilibrio cattolico, ma soprattutto di santità sacerdotale, alla quale so che tenete molto, e santità nella sapienza e nella verità, valori pure che so essere da voi amati e, per quanto potete, praticati, uomo di grande pietà, valore questo altissimo che so essere al vertice dei vostri pensieri e del vostro volere.

http://www.riscossacristiana.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2125:agli-amici-tradizionalisti-di-p-giovanni-cavalcoli-op&catid=61:vita-della-chiesa&Itemid=123


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