ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 6 gennaio 2013

Impropria e arbitraria attribuzione di proposizionalismo alla Tradizione


La grammatica dell'umano . Nuovi attacchi alla Tradizione dal fronte conciliarista.

Estraggo dall'ultimo articolo di Sandro Magister, che riprende il teologo americano Robert Imbelli[1], questa affermazione che va letta nel suo contesto, ma che, per quanto ci riguarda, mostra un altro tassello dell'inquietante e sempre più arrembante quadro della situazione della Chiesa, in questo nostro tempo calibrata sulle idee portanti della cultura egemone, quella che ormai possiamo definire chiesa conservatorista conciliare, perché davvero dal concilio in poi si è innescata una nuova realtà ecclesiale fondata su parametri nuovi che, con la scusa di riscoprire le fonti, si pongono essi come fonte inesauribile di una nuova idea di Chiesa e quindi anche di fede e di cristianesimo e, infine, di umanità...
[...] Nei documenti del concilio e nel magistero di Benedetto XVI questa "grammatica dell'umano" è in definitiva una grammatica cristologica. All'umano è resa giustizia solo quando è letto nella luce della rivelazione del nuovo Adamo, Gesù Cristo.
Quindi, a mio giudizio, il più profondo "ritorno alle fonti" del concilio è stato un "ritorno alla Fonte": la riscoperta della fondamentale identità in Cristo della Chiesa e dell'umanità. Questo "ritorno a Cristo" è molto più profondo del moralismo sociale dei "progressisti" o dell'immutabile proposizionalismo dei "tradizionalisti ". Piuttosto, esso è l'invito a entrare in una relazione che dà e cambia la vita con il Signore vivente, Gesù Cristo. [...]
Impropria e arbitraria attribuzione di proposizionalismo alla Tradizione

Il proposizionalismo, per venire al sodo, è legato all'astrattezza, e non c'è niente di più falso e pregiudiziale da tirar fuori nei confronti della Tradizione, che è vita non fissismo. E dunque si continua a proceder per luoghi comuni e affermazioni apodittiche. In realtà tutti questi defensores concilii stanno costruendo un dualismo che pone i tradizionalisti dal versante opposto dei progressisti, con la grammatica dell'umano e loro stessi nel mezzo. Ma questo mettere l'accento sulla grammatica dell'umano, se a livello di affermazione e per come è formulato dal Papa è esatto, quando poi invece è legato ad una pastorale che non si cura di espellere l'errore, rischia di diventare uno slogan e forse i veri proposizionalisti sono proprio loro! Penso che si sia completamente fuori strada nell'opporre una conoscenza operativa o relazionale ad una conoscenza proposizionale, che di per sé esiste solo in certi ambiti. L'autentica Tradizione, inverata da persone vive ed in relazione e non da manichini, custodisce vive e trasmette gli insegnamenti di Cristo, è portatrice della Sua Vita. Nei Dogmi, oltrepassati dall'avventurismo conciliare, non ci sono aride formule, proposizioni astratte. Non c'è niente di più concreto e vivo e vitalizzante di quanto il Signore ci insegna e di quanto la Chiesa ci ha sempre proposto di credere. Ed ora ci stiamo perdendo nella danza delle parole, tante parole che non fanno altro che aumentare la confusione e portarci lontano dalla semplicità e dalla verità che ogni vero credente cerca e riconosce quando la incontra o la ascolta.

Giova ricordare che il cristianesimo induce la più vera e autentica e viva delle relazioni uomo-Dio-altri-mondo, perché è l'icona ed anche l'irruzione nel mondo, attraverso il Verbo Incarnato Morto e Risorto, della pericoresi intra-Trinitaria. Quindi è assolutamente improprio negare alla Tradizione la vis relazionale, confinandola in un arbitrario proposizionalismo, solo perché custodisce e difende anche dialetticamente con un linguaggio definitorio e non immaginifico le verità fondanti che imprimono la loro vis intrinseca al pensiero e all'azione dell'uomo e della donna di ogni tempo.

Leggete poi quanto dice Francesco Arzillo, richiamato nell'articolo citato, e troverete gli stessi concetti espressi con altre parole e qualche proposizione in più:
La recente notizia secondo cui nell’Italia settentrionale il numero dei matrimoni civili ha superato quello dei matrimoni religiosi contribuisce a tenere desta l’attenzione sul tema della secolarizzazione e sulle strategie pastorali più adeguate a fronteggiarla, anche in un paese con una diffusa presenza della Chiesa.
È facile immaginare che un dato come questo possa essere adoperato – da parte degli esponenti delle posizioni ecclesiali e mediatiche maggiormente polarizzate in senso “tradizionalista” o in senso “progressista” – per mettere in discussione la scommessa cui è ispirata la pastorale ufficiale della Chiesa italiana sin dall’epoca della presidenza del cardinale Camillo Ruini: scommessa favorevole a valorizzare le peculiarità storiche e culturali di quella che appare essere una vera e propria “eccezione italiana” nel trend apparentemente irreversibile del processo di secolarizzazione europea.
In fondo, le due menzionate linee di pensiero – discordi quasi su tutto – paiono concordi nel denunciare un’eccessiva enfasi della gerarchia della Chiesa sulle questioni bioetiche e culturali, a discapito dell’attenzione al fondamento della fede. Anche se poi di questo fondamento i tradizionalisti e i progressisti danno letture ispirate a prospettive addirittura antitetiche, pur se sostanzialmente coincidenti nell’attribuire al Concilio Vaticano II un ruolo di sostanziale rottura rispetto al passato.
Le posizioni in campo e l'attuale tripartizione

Dunque le posizioni in campo sono tre: progressista, tradizionalista, conciliarista. Stranamente tutte le voci -e ne spuntano ogni giorno di nuove con l'input esiziale di Müller- appartenenti alla posizione della via mediana conciliarista sono concordi nel mettere agli estremi sullo stesso piano progressisti e tradizionalisti, le cui prospettive antitetiche non coincidono affatto nel ruolo di rottura attribuito al concilio, anche perché i "punti controversi" individuati e sviscerati da chi ama la tradizione non inficiano tutto il concilio ma solo alcuni suoi punti ben individuati. La netta convinzione di oltrepassamento del passato dei progressisti, invece, configura direttamente una vera e propria 'rottura', di fatto resa possibile proprio dal concilio e dal suo avventurismo sperimentale, anche se essi ne lamentano la mancata realizzazione fino in fondo; il che dimostra che la 'rottura' non solo c'è, ma che in parte ha anche operato.

E qui qualche problematica viene riconosciuta
[...] Occorre però intercettare più efficacemente questa domanda giovanile, che non è solo una domanda emotiva, ma anche una domanda di intelligenza – di un “senso intelligibile e vero” –, fornendo degli strumenti idonei a meglio pensare la fede, per meglio viverla e meglio comunicarla. E forse a questo fine occorrerebbe anche correggere qualcosa nella formazione del clero, che dovrebbe essere maggiormente centrata sul ruolo della catechesi dottrinale e della liturgia, che sono fondamento autentico di ogni altro operare cristiano. Ma non si può negare che esista una base su cui è possibile continuare a costruire.
Le narrazioni tradizionaliste e progressiste hanno difficoltà a confrontarsi con questo discorso, perché postulano – sia pure in forme diverse – la presa d’atto della fine della cristianità: i tradizionalisti a favore di un cristianesimo che sopravviverebbe in minoranze combattive, isole felici del tutto impermeabili alla cultura contemporanea; i progressisti inverandosi in una sorta di “puro vangelo”, annunziato da una Chiesa minoritaria pronta a celarsi come lievito nel mondo secolarizzato, assumendone per buona parte la cultura.
Anche le narrazioni tipiche dei movimenti ecclesiali incrociano questi due atteggiamenti, pervenendo a posizioni di vario segno, accomunate comunque dalla medesima convinzione di essere minoranza nella postcristianità.
Visione falsa e riduttiva del tradizionalismo

Vedere nei tradizionalisti unicamente minoranze combattive, isole felici del tutto impermeabili alla cultura contemporanea appare una visuale riduttiva e qualunquista da osservatore esterno che ha imparato, come frutto del concilio, ad accogliere la cultura contemporanea senza discrimine ed ora, nel momento in cui molti nodi stanno venendo al pettine, si trova a criticarne i risvolti negativi nella sfera morale (vedi le recenti posizioni anche sociologiche sulla bioetica e sulla negazione del genere) senza considerare che l'etica non nasce dal nulla o solo dalla "legge naturale", ma è impressa nel cuore del credente che accoglie la Verità e la vive spinto e trasformato dalla sua Grazia. Quindi una sana etica nasce da una sana dottrina: tolta questa, se ne recidono i fondamenti.

Il quadro che emerge dallo scenario delineato da Arzillo, realisticamente include anche il fenomeno dei movimenti, ognuno chiuso e nella sua realtà separata e originale, nel senso anche della sua propria particolare visione e applicazione della Rivelazione Apostolica, più o meno avulsa dalle sue sane radici perenni. È un quadro di minoranze separate e non comunicanti anch'esse frutto del concilio; quadro tanto più imprevedibile ed inatteso, se davvero il concilio avesse realizzato la Chiesa-comunione tanto sbandierata come sua scoperta [vedi qui]; come se la Comunione non fosse, da sempre, il collante della Chiesa, proprio perché essa è solo nel Signore e da Lui creata in e tra coloro che condividono non solo i Suoi insegnamenti ma l'adesione alla Sua Persona.

L'analisi prosegue:
[...] Non si tratta, infatti, di una somiglianza stilistica estrinseca, ma di una somiglianza di logica interna: il tentativo, felicemente riuscito, di tenere assieme – come facevano un Agostino e un Giovanni Crisostomo – la radicale essenzialità del fondamento della fede con le dinamiche della società contemporanea, in un discorso mai ideologico e sapientemente articolato sui diversi ma connessi piani del kerygma, della dottrina, della liturgia, della vita.
In quest'ottica anche la grande disputa ecclesiale sul concilio Vaticano II, che lungi dal placarsi acquista toni sempre più radicali, può essere ricondotta nel giusto alveo.
La Chiesa oggi non può non porre al primo posto l’attuazione di questo grande e universale concilio, della cui validità canonica e della cui significatività non sussiste alcun serio motivo di dubitare, per un cattolico.
Ma, proprio per questo, la Chiesa deve distinguere ciò che il concilio ha realmente detto dal groviglio delle sue interpretazioni ideologiche, non rispondenti alla pienezza dell’insegnamento contenuto nei suoi documenti.
Non si tratta di un compito impossibile, se si pensa all’assistenza divina di cui beneficia il "munus" magisteriale, i cui pronunciamenti odierni vengono facilmente disattesi, sia dai progressisti, sia dai tradizionalisti, con l’impiego di letture unilaterali e selettive, come tali neppure rispondenti a un autentico principio cattolico.
Dov'è la Chiesa-Comunione?

Tenere insieme la radicalità del fondamento della fede con le dinamiche della società contemporanea è vero che dipende dal discorso non ideologico sapientemente articolato sui connessi -e inseparabili- piani del kerygma: dottrina-liturgia-vita. Ma ciò che è accaduto è proprio l'aver allentato la retta connessione tra essi, con lo sfaldamento della dottrina e lo scempio della liturgia, il resto non è che conseguenza. Il fatto che la disputa acquisti toni radicali porta a chiedersi se non sia proprio qualcosa di radicale che li ha prodotti e continua ad alimentarli perché evidentemente la pienezza dell'insegnamento dei documenti conciliari esiste solo nella convinzione di chi stigmatizza le cosiddette interpretazioni ideologiche, facendo di ogni erba un fascio. Inoltre, non distinguendo tra interpretazioni innovative e tentativi di riaggancio alla Sorgente, resta a sua volta invischiato nella validità canonica del concilio, che neppure i tradizionalisti mettono in dubbio. Però la discussione non è sulla validità canonica del concilio, ma sui famosi "punti controversi" ormai ben noti a tutti. E, forse la lettura unilaterale e selettiva è anche di quella parte mediana "allineata", che si ostina a credere che risponda ad un autentico principio cattolico, ciò che in realtà ha sfigurato e non poco il cattolicesimo e continua a sfigurarne quel che ne resta: e si tratta proprio di quei famosi fatidici punti che nessuno vuole mettere in discussione. E dunque non si riesce ad uscire dal circolo vizioso nel quale siamo tuttora invischiati...
________________________
1. Robert Imbelli è sacerdote dell'arcidiocesi di New York, docente di teologia al Boston College e autore di note e commenti su "Commonweal" e "L'Osservatore Romano".

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.