ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 9 gennaio 2013

La comunicazione post vatileaks


Burke contro Navarro-Valls, Wojtyła contro Ratzinger

Due filosofie e strategie comunicative diverse per raccontare al mondo il magistero e l’attività del Papa e la Santa Sede


Greg Burke contro Joaquín Navarro-Valls. Ovvero due filosofie e strategie comunicative diverse per raccontare al mondo il magistero e l’attività del Papa e la Santa Sede, ma con due scenari e due Pontefici differenti. All’ex giornalista della Fox è toccato il ruolo di advisor per la comunicazione nella Segreteria di Stato di Sua Santità dopo la vicenda Vatileaks, ovvero dopo la fuga di notizie riservate del Papa a cura di Gianluigi Nuzzi e Paolo Gabriele.

l giornalista spagnolo, invece, ha raccontato la realtà della Chiesa cattolica dal 1984 al 2006, nella veste di direttore della Sala Stampa della Santa Sede, con un Papa, il beato Giovanni Paolo II, che era maestro di comunicazione non solo mediante le parole, ma soprattutto attraverso i gesti con i quali, in quasi ventisette anni di pontificato, compose una vera e propria enciclica non scritta.
Karol Wojtyła, pochi minuti dopo l’elezione nella Cappella Sisitina, il 16 ottobre 1978, si presentò subito al mondo come un Papa comunicatore. Indelebile nella memoria la storica frase destinata a fare titolo su tutti i giornali del mondo e per sempre: «Se mi sbaglio mi corrigerete». Burke, in piena sintonia con il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali presieduto dall’Arcivescovo Claudio Maria Celli, usa oggi lo sbarco del Papa su Twitter per cancellare l’onta gettata dalla vicenda Vatileaks sulla Chiesa di Roma.
Di tweet in tweet il magistero papale si arricchisce di brevi frasi di soltanto 140 caratteri, il limite imposto dal social network per i cinguettii, che si aggiungono alle omelie, ai discorsi, ai motu proprio, alle preghiere, alle costituzioni, all’esortazioni, alle lettere, all’encicliche, alle omelie, alle udienze e ai messaggi. Ma c’è dell’altro nella strategia comunicativa messa in campo in questi primi mesi dall’inizio del suo incarico vaticano da Greg Burke. Benedetto XVI, nei suoi testi, come sottolinea acutamente Andrea Tornielli su Vatican Insider, fa anche il titolo degli articoli giornalistici che dovranno sintetizzare, spesso in modo riduttivo se non addirittura travisandone il contenuto, il suo messaggio.
«Ovviamente - sottolinea Tornielli - l’autore di un discorso papale è il Papa. Ma è ben noto come in molti casi l’entourage giochi un ruolo non secondario, nel proporre bozze e suggerire argomenti». Ha fatto senz’altro titolo l’espressione sullo «spread del benessere sociale», che Benedetto XVI ha pronunciato nel tradizionale discorso di inizio anno al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. «Un caso di titolo quasi preconfezionato - evidenzia Tornielli -, suggerito agli operatori dei media, dopo che nelle scorse settimane la Santa Sede aveva avuto da ridire sul modo in cui era stato comunicato il messaggio papale per la Giornata mondiale della pace, che pure conteneva impegnativi passaggi sulla crisi economica e sul divario tra ricchi e poveri, mentre l’attenzione era stata attirata – in particolare nei media italiani – sul tema delle nozze gay».
Il vaticanista sottolinea, inoltre, che «non va però dimenticato, al di là delle strategie comunicative, che Benedetto XVI nella sua predicazione e nei suoi interventi ha spesso il gusto per espressioni immaginifiche particolarmente efficaci dal punto di vista comunicativo. Nell’agosto 2005, alla GMG di Colonia, davanti ai giovani paragonò la trasformazione del pane e del vino nel corpo e sangue di Cristo, alla "fissione nucleare". Mentre nel settembre 2011, parlando al Bundestag, aveva paragonato la "ragione positivista" agli "edifici di cemento armato senza finestre"».
Insomma non tutto è frutto della strategia comunicativa di Burke nel periodo post Vatileaks. Con Giovanni Paolo II e Navarro-Valls, invece, la Sala Stampa della Santa Sede, come sottolineava Giancarlo Zizola, è divenuta «una istituzione funzionante secondo i migliori risultati della scienza politica delle comunicazioni e della filosofia delle élites al potere: per la prima volta - dopo decenni di pressioni da parte dei giornalisti, e dopo tensioni anche aspre - sono stati adottati procedure e regolamenti moderni, come l’embargo, le conferenze stampa, le comunicazioni off-records, i briefing, eccetera. Abbandonata la sedia gestatoria e la tiara rinascimentale, il papato ha trasformato il proprio potere in un trono mediatico e satellitare.
Contrastando in modo empirico la tendenza moderna a esiliare le attività religiose nell’invisibile, il suo regno ha restituito al programma del cristianesimo il suo diritto di cittadinanza, portando in televisione le sue dottrine morali, per quanto ad alcuni potessero apparire desuete e perfino illiberali». Burke contro Navarro-Valls, Wojtyła contro Ratzinger. Come recita uno dei due motti de L’Osservatore Romano, «Unicuique suum», a ciascuna stagione comunicativa la sua strategia.

Francesco Grana



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