Per entrare nella casa di Dio non si paga il biglietto. Il patriarca Francesco Moraglia richiama i
parroci a considerare le chiese di Venezia esclusivamente come un luogo di culto. Il messaggio è
giunto alle parrocchie un po’ in sordina, attraverso il calendario liturgico diocesano, ma ha già
sollevato un gran polverone. Nella prefazione Moraglia sollecita i sacerdoti e i fedeli a riscoprire
l’autentica sacralità dell’azione liturgica. «È essenziale che ogni uso differente da quello liturgico
sia regolamentato e comunque si svolga sotto la guida dei competenti organi e uffici diocesani.
Anche senza esplicita volontà, è facile usufruire in maniera non consona di spazi liturgici
destinandoli ad un uso improprio per cui non sono stati pensati, progettati e costruiti».
Moraglia si riferisce all’ingresso a pagamento nelle chiese per i turisti in orari non coincidenti con
quelli di culto. Il suo predecessore Angelo Scola, ora a Milano, aveva promulgato un regolamento
che consentiva la prosecuzione dell’attività del circuito di Chorus, l’associazione che da anni
riunisce una quindicina di chiese veneziane con ingresso a pagamento. Si tratta di chiese di grande
interesse artistico, con elevati costi di manutenzione come la Basilica dei Frari, le chiese di San
Zaccaria, del Redentore, di Santo Stefano e dei Miracoli. Il ticket d’ingresso di norma costa 3 euro.
Sono esentati i residenti e quei turisti che vogliono entrare in chiesa per motivi religiosi.
Ma il nuovo patriarca sembra deciso a porre un freno all’utilizzo museale dei luoghi religiosi. «Il
rischio — scrive — non sempre presente a tutti è che una mentalità funzionalistica si affermi in
seno alla stessa comunità dei credenti e alle sue guide; l’uso improprio degli spazi sacri, soprattutto
quando istituzionalizzato, facilità l’instaurarsi di tale mentalità. In tal modo, smarrita, per esempio,
la capacità di percepire il linguaggio del simbolo, ci si interroga sull’uso di un edificio sacro. Non di
rado succede che la mentalità funzionalistica si trasformi in mentalità imprenditoriale; fronteggiare
tale tendenza e soprattutto recuperare il senso del sacro, del mistero e dell’adorazione è essenziale».
Le parole del patriarca sono risuonate come un richiamo fermo al rispetto delle regole. In una città
sopraffatta da 22 milioni di visitatori all’anno, in cui il business turistico prevale su tutto, Moraglia
intende probabilmente proteggere la sacralità della chiesa. E i parroci in queste ore si stanno
interrogando su come interpretare le sue parole.
L’ammonimento finora non si è comunque tradotto in una nuova disposizione. Per eliminare i
biglietti d’ingresso sarebbe necessario un decreto del patriarca e al momento il presidente
di Chorus, don Aldo Marangoni, non ha ricevuto alcuna indicazione in proposito. «Non c’è mai
stata alcuna speculazione nella nostra attività. Stiamo lavorando benissimo con grande
apprezzamento dei parroci e delle istituzioni civili». Inoltre come puntualizza, Ornella d’Andrea,
direttrice dell’associazione, «i fondi raccolti consentono di tenere aperte, pulite e illuminate le
chiese che altrimenti sarebbero chiuse. Gli utili poi, quando ci sono, vengono utilizzati per le attività
di manutenzione delle stesse opere d’arte». Anche fra’ Nicola Riccadona, parroco dei Frari, ritiene
essenziale l’attività di Chorus: «Se non ci fosse il personale non saprei come tenere aperta la
Basilica. Fermo restando che la preghiera è sempre garantita a chiunque voglia entrare in chiesa per
ragioni di culto».
In realtà sono poche le chiese a pagamento in Italia. Poco più di una cinquantina nella città d’arte,
meta di enormi flussi di turisti. Il ticket d’ingresso è però una scelta condivisa anche da
Giandomenico Romanelli, per decenni direttore dei musei civici di Venezia e vicepresidente di
Chorus: «Con una modesta offerta richiesta solo ai non residenti si consente di far fruire a tutti di un
patrimonio artistico in orari allungati».
di Nicola Pellicani
in “la Repubblica” del 5 gennaio 2013
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